15 lug 21:00 | Come un pesce in un pagliaio
Bisogna essere uguali, appartenere alla categoria normale , se no guai!
L’appartenere a una categoria specifica come a quella delle z..z..zeta rende diversi. E questo è il massimo disonore. Che peccato spaventoso uscire in qualche modo dalla norma: la scommessa che fa con sé stesso questo cretino di uomo nascendo è di non commettere scandalo perché chi commette scandalo frega tutti gli altri, rivelando che nell’ uomo, in tutti gli uomini, la possibilità di scandalo esiste.
Un pesciolino, Pasolini 1957
Due donne in riva a un fiume che pescano, parlano, pensano e pregano che qualcosa abbocchi. La metafora visiva dell’attesa di due zitelle che, come la Donna Rosita di Garcia Lorca, hanno perso la speranza eppure stanno lì. Alice e Paola si raccontano senza pudore e con autoironia in una quotidianità tragicomica. Un flusso di coscienza che ha la forma di un “duologo” diretto con lo spettatore, nel quale si spalleggiano, si sfidano, si sostengono, alla ricerca di una normalità che le faccia sentire comode anche in scena. Un percorso fatto di tentativi, in cui si sperimentano soluzioni registiche bizzarre e si ravana nelle autobiografie di ognuna per cercare di capirci qualcosa su chi si è: perché bisogna partire dalle proprie famiglie per capire da dove si arriva e ricordare tutti i ricordi per capire dove si va.
Le due attrici si presentano per come sono oggi, ansia inclusa, e si fanno guardare nella loro confusione piena di domande alle quali piano piano non hanno più risposte da dare.
Voglio essere normale? Quando mi sento normale? Cos’è per me normale? E alla fine come sto? Bene, grazie… come un pesce rosso che mangia, nuota, evacua e quindi vuol dire che sta bene. O no?
Note dell’autore
Il testo scritto da me, già vincitore del Premio Giovani Realtà del Teatro 2016, era pensato per essere un monologo. Fortunatamente mi rendo conto presto che da sola non ce la faccio e chiedo aiuto. L’arrivo di Paola trasforma quello che stava diventando un monologo potenzialmente noioso, in uno spettacolo vivo, al quale arriviamo attraverso una scrittura scenica che ci permette ogni sera una grande libertà di improvvisazione e gioco con lo spettatore. Il testo è basato su vicende autobiografiche più o meno imbarazzanti, seduti a tavola a Natale con i miei fino a improbabili dialoghi con la cassiera bionda del supermercato. Il linguaggio è molto semplice, diretto, immediato.
In scena siamo io e Paola, ma ci sono anche le nostre famiglie, madri, padri, nonni, nonne, sorelle, e tutti quegli incontri che ci hanno reso ciò che siamo, e quelle cose regalate e negate, e quelle corse sulla spiaggia la cui potenza emotiva abbiamo realizzato solo una volta in scena, e tutte quelle parole dette e non dette.
E quei messaggi d’amore, che hanno bisogno che per loro io vada a capo, fatti di parole importanti che rimangono con noi impressi su un nastro, per sempre.