Storia di un Mostro Sacro e del suo eterno bisogno di autogiustificazione
Francis Scott Fitzgerald una volta ha detto, non si sa bene quando, che la parte forse più bella della Letteratura è quella di farci scoprire che i nostri desideri siano universali, che non siamo soli, che non siamo isolati ma «parte di».
Letteratura è prima di tutto esigenza. Si tratta di un’urgenza, un bisogno di duplice provenienza. Essa vive sospesa tra la forza di due poli opposti ma simili. Letteratura c’è chi la fa, nel senso più creativo e pragmatico, e chi la fa vivere. A volte le due istanze possono convivere in un singolo individuo, altre a prevalere è la seconda senza che questo renda meno attivo il ruolo dell’agente. In un famoso saggio Sartre ha detto che la Letteratura è una strana trottola1 che gira solo nel momento in cui vi sia qualcuno a farla girare. Essa esiste solo se vi è qualcuno a farla girare, a leggerla, metterla in atto, vivificarla se pure unicamente nel proprio mondo mentale. Il valore del prodotto letterario e dell’attività deputata a crearlo è certo un tema dibattuto, in auge fin dall’antichità.
Letteratura è prima di tutto autocoscienza, essa sa di essere tale e s’interroga su sé stessa attraverso le questioni di coloro che la fanno e di coloro che, ora possiamo dire, la fanno vivere. Certo si sono dilungati gli antichi, i moderni e ancora lo fanno i contemporanei, su cosa sia Letteratura, questo mostro sacro da alcuni umanizzato con lettera maiuscola, da altri relegato a inutile e obsoleto passatempo di chi non ha altro di meglio da fare.
È stato detto che nell’antichità rispondesse, ad esempio nei termini della tragedia greca, a un bisogno di rappresentazione e autorappresentazione di istanze sociali e politiche, di moti dell’animo da far rivivere in forma catartica agli spettatori o, attraverso la commedia, di presentare pulsioni e tematiche da prendere da lontano, tangibili solo in una condizione mascherata, come sarà poi, in qualche modo, per certa satira del mondo latino. Buona parte dell’impegno letterario medievale del mondo occidentale è nella Letteratura d’indagine, di presentazione della condizione umana, opera magna la Commedia dantesca. Ma non si può dire forse lo stesso per opere dai natali ben più antichi come la Poetica di Aristotele o l’Antigone di Sofocle? Letteratura che da un lato esplora sé stessa, esaminando l’attività artistica umana e quindi, in definitiva, l’essere umano. Letteratura che dall’altro parla di affetti, di una donna che si trova a decidere tra le leggi del cuore e le istanze democratiche contrapposte a una legge civile tirannica e quindi, in definitiva, ancora, l’essere umano? Ma non è forse di questo che ci parlano Romeo e Giulietta, Zeno Cosini e pure Rosso Malpelo? L’essere umano immerso nella sua società? Non è di questo che ci parlano Renzo e Lucia? Il valore della Letteratura è quello di mostrare, di indagare, analizzare l’essere umano immerso nella società.
Questo è, forse, il suo senso ultimo: mostrare l’essere umano in sé stesso e come si comporti nel mondo e come esso si sia visto e si veda, in un dato periodo storico. Certo ridurre la Letteratura a questo è stringente, azzardato e in qualche modo, nella vasta democrazia delle lettere, pure incostituzionale. Si può certo parlare del valore filosofico della lettura delle epistole di Seneca, dello studio dei Promessi Sposi dal punto di vista della questione della lingua o dell’affermazione del relativismo e della psicanalisi attraverso le parole di Svevo o Saba, dell’emancipazione femminile negli scritti della Woolf e via dicendo. Questi sono aspetti fondamentali da mettere certo in luce ma farlo equivale quasi a mostrarsi accondiscendenti nel riconoscere che, effettivamente, sia necessaria e giusta quella esigenza di autogiustificazione cui la Letteratura ha sempre dovuto, si è sempre sentita in qualche modo di dovere di rispondere. Il mondo delle lettere è costellato di autogiustificazioni, di autoaffermazioni del proprio valore e della propria ragion d’essere. Ma deve, davvero, la Letteratura spiegare il proprio valore? O forse essa esprime, già da sola e attraverso sé stessa, nella pratica, la ragione del suo essere? Non lo fa forse attraverso il suo persistere nei secoli? Il suo esistere, praticamente, da quando l’uomo ha avuto modo di riflettere su sé stesso, sul proprio essere e sul proprio percorso esistenziale non rivela già, in maniera efficace e definitiva, il suo intrinseco valore? È giusto domandarsi ancora oggi quale sia il valore della Letteratura? Non è forse giunto il momento di riconoscerglielo a priori, come una laurea ad honorem per il lavoro svolto sul campo? Forse il quesito più impellente, in ogni momento storico, non è quale sia il valore della Letteratura o come spiegarlo, eventualmente per qualcuno, ai propri studenti e alunni. La pratica insegna che la mente più è giovane, più aborrisce le spiegazioni teoriche, più predilige l’insegnamento pratico, la dimostrazione concreta.
Oggi, nell’ecumene della scienza e della tecnica, si rivela inutile spiegare con giri di parole il valore della Letteratura ai propri allievi. Posto poi che, chi ha da insegnarla già le riconosca a priori quanto le spetti. Oggi forse vale la pena di accorgersi che non ha più senso spiegare teoricamente ai ragazzi che studiare i Promessi Sposi li renderà persone migliori, quanto più utile può essere presentargli in maniera attiva l’episodio di Ferrer e mostrare loro, in modo pratico e senza giri di parole, come la demagogia sia nemica della democrazia e di come la conoscenza e lo studio permettano di non lasciare che il potente sia punito solo si es culpable. Oggi nell’insegnamento, forse, non serve più chiedersi quale sia il valore della Letteratura poiché essa ha gambe forti per stare in piedi da sola con le proprie energie. Tutto ciò che l’insegnamento deve fare oggi non è dimostrarla ma mostrarla, dare la prima bicellata alla trottola che, se data con forza e convinzione, sarà certo seguita da altre impartite da piccole dita curiose di tenerla in vita per vedere, almeno, fin dove possa arrivare.
Note
[1] Jean-Paul Sartre, Che cos’è la letteratura?, Il Saggiatore, Milano, 2020
di Gaia Manelli
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