La storia delle figlie di Quchan

Tra memoria e dimenticanza

Agli inizi del XX secolo, nella provincia rurale di Quchan, una zona agricola nel Nord-Est dell’Iran, centinaia di famiglie di contadini si ritrovavano impoverite da un lungo periodo di siccità che aveva drasticamente ridotto i raccolti. Ad aggravare ulteriormente l’economia della regione, basata in gran parte sull’agricoltura, c’era stata un’invasione di locuste senza precedenti, che aveva contribuito a distruggere i già scarsi raccolti.

Non avete sentito la storia delle ragazze di Quchan?

In questa situazione già di per sé molto sfavorevole, i contadini subivano anche una enorme pressione economica, causata da anni di tasse ingiuste e spropositate. Queste tasse venivano spesso decise senza alcun tipo di preavviso e imposte con la violenza, dall’oggi all’indomani, più per un capriccio del governatore della regione, Asef al-Dawleh, desideroso di poter continuare a mantenere alto il tenore della sua vita lussuosa e principesca. Uno stile di vita, il suo, e un modo di governare, che erano retaggio di epoche passate, anche se ancora molto diffuse in alcune regioni del Paese, ma che iniziavano ad apparire a molti come inadeguati.

Ci troviamo nell’epoca Qajar, anni in cui il Governo centrale di Teheran è ancora poco strutturato e ha una scarsa influenza sulla gestione delle province da parte delle autorità locali, legate appunto a un tipo di politica feudale, arcaica e accentratrice. Eppure, di lì a breve, un’ondata di modernità avrebbe cambiato le cose: proprio in quest’epoca avvenne, infatti, una delle più importanti rivoluzioni politiche nella storia dell’Iran moderno: la Rivoluzione della Costituzione. Fu un evento cruciale che lasciò tracce indelebili nella definizione del nuovo modello politico del Paese.

Pensate che, in questo movimento, un ruolo centrale lo ebbe proprio la vicenda delle figlie di Quchan. La provincia di Quchan si trova, più precisamente, nella regione di Khorasan, il cui capoluogo è Mashad, una delle più importanti città dell’Iran e dell’intera comunità sciita, dove si trova il santuario dell’ottavo Imam degli sciiti duodecimani: Reżā. Allora come oggi, la città era meta di numerosissimi pellegrinaggi di fedeli. Tutto ciò rendeva la regione di Khorasan, per quanto periferica rispetto alla capitale, abbastanza importante dal punto di vista culturale ed economico. La regione confinava a nord-est con il Turkmenistan, uno Stato che si trovava sottoposto al controllo della Russia dal 1865.

Il governatore Asef al-Dowleh era un membro della famiglia reale della dinastia Qajar. Anni addietro aveva occupato ruoli molto importanti, tra cui quello di Primo ministro, a Teheran, ma per le sue caratteristiche e perché ritenuto troppo conservatore e politicamente poco responsabile era stato allontanato da ruoli tanto prestigiosi e dislocato a governare la regione di Khorosan. Correva l’anno 1906.

La regione non veniva certo da anni di gestioni lungimiranti e il nuovo governatore si dimostrò ancora una volta miope. Al momento di riscuotere le tasse, non volle sentire ragioni da parte della popolazione contadina, che, come abbiamo detto, si trovava estremamente impoverita dalla siccità e dall’invasione delle locuste.

Non volendo valutare riduzioni o dilazioni dei tributi, Asef al-Dowleh diede ordine a un fidato collaboratore, noto per i suoi metodi autoritari e violenti, Shoja al-Dowleh, amministratore della provincia di Quchan, e ai suoi sgherri di obbligare le famiglie che non possedevano abbastanza denaro a vendere le loro figlie per saldare i loro debiti. Asef al-Dowleh aveva stretto segretamente accordi con i turkmeni della città di Ashgabat per vendere loro le giovani donne iraniane, il tutto all’insaputa della popolazione e dello stesso Governo centrale. In quel periodo storico, il Turkmenistan, economicamente sostenuto dagli apporti finanziari russi, era più ricco dell’Iran e molti turkmeni viaggiavano verso la famosa Mashad in cerca di moglie.

Molte famiglie di contadini si trovarono costrette ad accettare la crudele proposta. Chi mostrava resistenza veniva piegato con la forza; non era raro che gli sgherri di Shoja al-Dowleh ricorressero all’uso della violenza, alle percosse in pubblico, alle torture, al carcere e persino agli omicidi. Fu così che moltissime giovani donne e persino bambine iraniane furono strappate dalle loro terre e fatte prigioniere, per andare a vivere in Turkmenistan come giovani mogli, talvolta prostitute, o in uno stato di vera e propria schiavitù.

Moltissime famiglie contadine, private delle loro figlie, non si diedero per vinte. Avrebbero potuto rassegnarsi, ma non lo fecero e diedero vita a un movimento di protesta che ebbe qualcosa di straordinario.

Ogni provincia disponeva all’epoca di uffici del telegrafo. Decine di contadini vi si riversarono, superando la paura di essere scoperti, decisi a denunciare il fatto al governatore della loro regione, Asef al-Dowleh per l’appunto, che, speravano, avrebbe preso a cuore la questione e li avrebbe aiutati a riportare a casa le loro figlie. Erano chiaramente all’oscuro del fatto che era stato proprio il governatore a permettere, anzi a ideare quella triste compravendita. Le loro richieste di aiuto non ricevettero, infatti, alcuna risposta.

I contadini attesero, ma quando si resero conto che nessuno sarebbe venuto in loro aiuto decisero di rivolgersi direttamente all’unica autorità rimasta: il Governo centrale. A Teheran iniziarono ad arrivare dagli uffici del telegrafo di Quchan decine di richieste di aiuto. Giorno dopo giorno, con costanza, i contadini non si fermavano e non si davano per vinti. Finalmente anche la stampa venne a conoscenza di queste richieste e non stette in silenzio. I giornali iniziarono a scrivere articoli sull’accaduto con fervore e costanza, indagando per ottenere maggiori informazioni. Lo scandalo delle figlie vendute di Quchan divenne presto un argomento caro all’opinione pubblica iraniana che fece pressione sul Governo.

Facciamo un breve passo indietro sulla situazione politica del Paese e sul contesto storico in cui questi eventi si andavano verificando. Fino a pochi mesi prima, in Iran, era stato in vigore un Governo di tipo monarchico, con il potere accentrato nelle mani dello Shah, all’epoca Mozzafar al-Din Shah. Il 6 Agosto del 1906, lo Shah concesse la Costituzione e quindi la creazione di un Parlamento. Questa concessione, fase cruciale di un fenomeno storico più lungo e complesso che prende il nome di Rivoluzione costituzionale persiana, è stata frutto di un movimento politico iniziato nel 1891, con la “Rivolta del tabacco”, che si scatenò quando l’allora Shah Nasser al-Din Shah concesse il controllo delle industrie del tabacco nazionali a una società britannica. La Rivoluzione costituzionale proseguirà poi fino al 1911, nel corso di anni di conflitti tra i costituzionalisti e i sostenitori di un ritorno alla monarchia assoluta, con la partecipazione anche del Regno Unito e della Russia. Le due fazioni si alterneranno più volte al potere, fino a quando il sistema parlamentare avrà definitivamente la meglio e traghetterà l’Iran nell’era moderna.

È importante ricordare, quindi, che gli eventi legati alle figlie di Quchan accaddero in una fase di pieno fermento politico e culturale e assunsero ancora più importanza perché diventarono il primo vero problema politico e sociale su cui il neonato Governo costituzionale e il Parlamento dovettero confrontarsi in cerca di una soluzione concreta, contribuendo in qualche modo a consolidarne la struttura e il funzionamento.

In tal senso, gli esponenti del nuovo Governo colsero l’importanza che la risoluzione di questo problema poteva avere per il Governo stesso e i benefici che avrebbe potuto trarne in termini di credibilità e affidabilità agli occhi dei cittadini. Di fatto, poteva essere la prima occasione in cui la nuova gestione politica e i cittadini si sarebbero ritrovati uniti sotto l’ombrello ideologico di una causa comune.

Infatti non solo i contadini di Quchan, diretti interessati, ma ormai l’opinione pubblica di tutto lo Stato, costantemente informata dalla stampa, si sentiva sempre più coinvolta dalla vicenda. In diverse città, tra cui Tehran e Mashad, la popolazione aveva anche dato luogo a scioperi e manifestazioni, pur senza mai ricorrere alla violenza, tramite la chiusura dei bazar in segno di protesta, l’organizzazione di assemblee e l’assembramento di dimostranti davanti ai palazzi governativi.

Il Governo non aspettò oltre. Convocò a Tehran il governatore Asef al-Dowleh e i suoi complici. In un processo molto pubblicizzato dai giornali chiese loro conto di quanto era accaduto. Il governatore tentò di salvarsi mentendo, affermando che in fondo aveva permesso tutto ciò solo per il bene del Paese, per poter incassare i tributi da inviare all’erario, ma emerse che buona parte delle tasse riscosse, oltre che i guadagni per la vendita delle donne, erano rimasti in realtà nelle sue tasche. Il governatore fu quindi giudicato colpevole, condannato a una multa di 35.000 toman e deposto in via definitiva da ogni carica politica.

Si era così concluso, il 4 giugno del 1907, il primo processo legale dell’Iran costituzionale. Il Parlamento ne dette annuncio al popolo iraniano con la seguente frase:

“Annunciamo a tutti i nostri compatrioti che, grazie a Dio, questo è stato il primo processo legislativo in Iran, ed è necessario per i nostri compatrioti rendere questa giornata una festa nazionale e commemorare questo giorno ogni anno, in ricordo di questa felice celebrazione nazionale. Oggi è il giorno in cui dalla parola si è passato al fare, abbiamo superato ogni disputa e siamo andati dritti a una conclusione”.

Decine di volontari, supportati dai funzionari del Parlamento, si organizzarono per andare a recuperare le giovani donne loro connazionali nel vicino Turkmenistan. Chiaramente non fu un’impresa facile, si calcola infatti che nel periodo in cui Asef al-Dowleh stette al Governo della regione furono vendute circa 500 giovani donne. Tuttavia molte furono ritrovate e ricomprate, altre furono fatte scappare e rientrare in Patria, altre ancora invece non vennero mai ritrovate.

In ogni caso, si pose fine per sempre a un triste fenomeno di compravendita di donne che, se non fosse stato per la determinazione iniziale dei contadini, sarebbe potuto durare ancora a lungo.

La coscienza del popolo iraniano, ormai risvegliata, non si fermò. Da lì a pochi anni, gli iraniani scelsero di riconquistare la propria autonomia, liberandosi, non senza fatiche e dolore, delle pesanti influenze politiche del Regno Unito e della Russia che, da molto tempo, si contendevano il controllo del Paese nella loro gara per l’egemonia sulla regione.

È interessante notare, in questa vicenda, il ruolo della donna. Le giovani donne di Quchan, ingiustamente sottratte alle loro famiglie e alla loro terra, rappresentano la scintilla, la goccia che fa traboccare il vaso e che spinge i contadini a denunciare finalmente le ingiustizie subite e la condizione di povertà in cui si trovavano da anni. Le figlie di Quchan riescono a fare di più, riescono a risvegliare la coscienza comune del popolo iraniano e a spronare il nuovo Governo ad agire. Queste donne diventano, nell’immaginario della popolazione, le donne di tutto l’Iran, anzi di più, diventano tutti gli iraniani. Tutto l’Iran è donna.

Grazie a questo evento, il patriottismo prende la forma di un corpo di donna e la Patria, che fino ad allora si identificava soltanto con dei confini, assume le sembianze di una donna amata o di una madre, che gli uomini devono proteggere dagli invasori. Da qui il concetto della madrepatria, che avrà molte influenze sulla comunicazione politica dell’epoca e sulla letteratura persiana da quel momento in avanti, per tutto il XX secolo. Concetto che ritroviamo anche nella letteratura occidentale e che è arrivato intatto fino ai giorni nostri.

È difficile capire come mai una vicenda così importante sia stata, negli anni, dimenticata e sia finita ai margini della storia, non viene insegnata nelle scuole e non viene ricordata pubblicamente.

In merito a quegli anni si parla spesso della “Rivolta del tabacco”, di personaggi storici come Sardar Asaad Bakhtiari e Sattar Khan, ma è raro sentire nominare le figlie di Quchan.

Credo che questo accada spesso. Nella narrazione della vicenda, così come viene tramandata e ci viene insegnata, il ruolo delle donne appare spesso ridimensionato, oscurato o comunque distorto. Si ha la tendenza a concentrarsi su altri aspetti ritenuti più importanti, a enfatizzare altre figure e altri sentimenti, che riguardano maggiormente la dimensione maschile.

Un esempio lampante riguarda proprio la “Rivolta del Tabacco”. Furono le donne dell’harem dello Shah a sposare la causa, divenendo così le prime partecipati alla sollevazione contro gli accordi tra lo stesso re e i britannici.

Ruppero simbolicamente i narghilè della corte del re, molto utilizzati al tempo, e misero in chiaro la loro posizione sfidando la decisione regia. Eppure questo episodio di grande coraggio non viene ricordato.

Per concludere, nella vicenda delle figlie di Quchan, va sottolineata la particolare qualificazione che possiamo offrire alla reazione che caratterizzò dapprima i contadini e in seguito tutto il popolo iraniano e il Parlamento nazionale.

Fu una reazione che si potrebbe definire mite, pacata, ma allo stesso tempo determinata e imperterrita.

A un’azione violenta nei loro confronti avrebbero potuto tentare di rispondere a loro volta con la violenza; nella storia è sicuramente successo tante volte, eppure i contadini hanno scelto di mantenere la calma, riflettere e calcolare le loro prossime mosse. Così facendo, telegrafo dopo telegrafo, sono riusciti a far arrivare la loro voce al cuore dello Stato e ai suoi organi di informazione e amministrazione, cosa mai accaduta prima di allora. Probabilmente, se avessero tentato di farsi giustizia da soli con la violenza, non sarebbero arrivati tanto lontano.

Questo atteggiamento mite, ma determinato, si trasmise dalle vittime a un intero popolo che proprio su un fattore di appartenenza ed empatia rifondò la propria identità culturale, facendo sentire costantemente un’unica grande voce e mostrando chiaramente l’autorità morale della propria posizione, senza però creare disordini. Tutto ciò ha portato a un risultato forse migliore di quello sperato. Molte ragazze hanno potuto riabbracciare le loro famiglie e si è posto fine a quella tratta di esseri umani definitivamente.

Se dovessimo estendere gli insegnamenti di questa storia e guardare ad altri movimenti politici che ci sono stati, o ci saranno, in Iran e nel Mondo intero, credo che talvolta la mitezza, con cui determinazione e costanza vanno spesso d’accordo, porti a una risoluzione dei problemi stabile e duratura, definitiva appunto, più di quanto non possano fare la rabbia e l’irruenza.

Per chi volesse approfondire, in commemorazione di questo evento, la nota cantante iraniana Sima Bina ha scritto una canzone dal titolo Dokhtar Quchani. Il testo – che inizia con l’emblematica frase: «Il sole sta tramontando, e la ragazza di Quchan si sta preparando» – ripercorre la vicenda storica e racconta la tragedia delle ragazze costrette lasciare le loro famiglie.

Bibliografia

Hekayate dokhtarane Quchan, Tale of the Qochan Girls, Afsane Najmabadi, Editore Baran, Stoccolma 1995.

Tarikh Bidarie Iranian, Nezam al-Eslam Kermani, Tehran 1967, Editore Peykan.

di Niloofar Yamini

Autore

  • Niloofar Yamini, nata nel 1991 a Esfahan, Iran. Ha conseguito una prima laurea in Fotografia all’Università dell’Arte di Tehran. In Iran ha collaborato come foto e video reporter con alcune importanti testate giornalistiche del paese e ha esposto le sue fotografie in diverse mostre. Nel 2014 si è trasferita in Italia e nel 2017 si è laureata in biennio di Arti Multimediali del Cinema e del Video presso l’accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Ha approfondito le sue conoscenze in ambito video giornalistico grazie a un corso presso la Scuola Civica “Luchino Visconti” di Milano. I suoi lavori video e fotografici sono stati presentati durante numerosi eventi. Oggi collabora come video maker e fotografa professionista con diverse fondazioni e aziende.

    Visualizza tutti gli articoli