D’appresso.
L’inverno arreso al tanto che sento. La madre,
Di dietro, al trapasso.
Cresce.
Il giorno fa un compasso. Chi sono io che non
Ne percepisco il verso.
È l’anniversario: tu sei bellissima. Il pomeriggio
Del tuo funerale.
Cresce –
Qualcosa d’altro. Come ti avessi festeggiato già
Con lo spirito sul dorso.
Come avessi un senso in più. Un chiodo per farti
Commossa.
Finisce –
Il giorno con me che ho un anno, e non mi basta.
Un ronzio di mosche
Madre che fugge, è mio padre che fugge di seguito.
E fugge la parola che lenta affanna nella sua stessa
Lena. Tornare, per essere figli, tornare a ribadire
Di essere noi stessi. Nel più fragile e materno pericolo.
Questo fuggitivo che è il tempo per noi.
È mio padre che fugge, è mia madre che fugge
Di seguito. Il giorno che tutto rovescia e si sbriglia.
All’infuori del nucleo
Livido attorno al labbro più secco.
Ghiaccio che si dirama
All’infuori del suo nucleo
Di torrente adunco, di salma
Nevosa, pacificata.
Nel taschino un messaggio
A te morto, e col bruciare
Giungere al colmo della propria
Quieta esistenza.
Sulle guance un prato smunto
Di aggrovigliati allineamenti carnali,
Eternamente irrisolti.
Le farfalle negli aranceti
Crescimi, ché nella bocca abbia i flutti,
Le affezioni.
Le farfalle nelle mani dei miei fratelli
Più violenti, sepolti dal sole che batte
Le vite negli aranceti. Nascosto
Tra le foglie, è il nostro corpo. Un minareto
Al fastidio delle parole. Le gambe,
Nei prati, quando tuonavano i cieli:
Ci siamo persi,
In questo mare il cui polmone è un padre
In pensione, e d’acqua piovana i fiori si tolgono
La vita. Come il sale fosse un sapore tra
Le cose da dimenticare: la vanità del rumore
E l’inutilità del tempo.
Una lenta vertigine
Nell’intonaco delle guance. Mangiano e
Trascinano
Il dolore in un’unica direzione,
Dove bianco è il letto
Di un inferno che scorre: il collo,
Un morbido vaso
Di girasoli e poi il volto –
La nascita e il supplizio.
Questo ballo è una lenta vertigine
E le guerre sono un guanto
E la mia mano…
La mia mano che legavi al nodo
Di una quercia in fiore. Dicevi:
– Seduta in cima è la madre dei
Veleni, i cui polsi ricordano una
Regata frastagliata alla deriva.