I limiti della diminuzione nella grammatica della parola “solo”
Vi sono circostanze nella nostra vita linguistica in cui ci capita di voler operare una diminuzione, per così dire, delle cose di cui parliamo, ossia di presentarle come più piccole o meno determinanti di quanto altrimenti ci apparirebbero. In tali occasioni tendiamo a dire, ad esempio, non che qualcosa accade, o che le cose stanno in un certo modo, ma che qualcosa solamente accade o che le cose soltanto stanno in un certo modo.
Un bambino cade, si sbuccia un ginocchio; gli fa un gran male; noi ci avviciniamo e cerchiamo di confortarlo, gli diciamo: «È solo un graffio». Oppure: qualcuno con cui siamo in confidenza viene da noi, stravolto; descrive un’inquietante visione notturna; comprendiamo il suo stato di angoscia, e gli diciamo: «È stato solo un sogno».
Avvicinare quello che potremmo chiamare «il gioco linguistico del “soltanto”»[1] da un punto di vista analitico potrebbe portarci a dire: a rigore, la parola «soltanto» non cambia niente di essenziale nel senso della frase. Dire che qualcosa è solo un graffio, o un sogno, non contraddice minimamente che si tratti innanzitutto di un graffio o di un sogno. Dunque dire che qualcosa è solo qualcos’altro è, a rigore, sempre legittimo, quando quel qualcosa, a rigore, è davvero quel qualcos’altro.
Tuttavia, in effetti, di questo gioco linguistico fa parte in modo caratteristico che l’introduzione di “solo” in un punto strategico della frase non è affatto un gesto innocente, e anzi cambia il suo senso in modo piuttosto radicale. Immaginiamo un caso non dissimile dai precedenti. Un anello a cui qualcuno teneva molto gli è caduto nello scarico della doccia, e a questo qualcuno, che è disperato, io dico: «Coraggio, era solo un anello». Qui, dove evidentemente è la parola “solo” a fare la parte del leone nella frase, si deve supporre che l’altro mi guardi storto, mi accusi di non capire niente e di essere un insensibile. E io non farei che peggiorare la mia situazione se dall’alto della scienza fisica provassi a rincarare: «Ma, a rigore, era davvero solo un anello».
Allora, forse, dire che qualcosa è solo qualcos’altro non è una precisazione, una qualificazione, del giudizio che qualcosa (soggetto) è appunto quel qualcos’altro (predicato); è, piuttosto, un modo per proporre un punto di vista dal quale il soggetto, quale che sia il predicato, può essere presentato come del tutto, o sostanzialmente, irrilevante. Allora l’espressione «è solo un graffio» potrebbe essere sostituita con «non è nulla»; «è solo un sogno» con «la realtà è ben diversa dal tuo incubo, e ben migliore». E «era solo un anello»? Anche qui tutto sta nel proporre un punto di vista sulla cosa che nega la sua importanza o la sua urgenza nel grande schema di ciò che ha valore; se la consolazione sotto forma di «era solo un anello» raggiunge il suo scopo, lo raggiunge proprio in quanto consolazione, cioè non perché a rigore è vero che era solo un anello, ma perché il punto di vista da cui l’anello è un mero oggetto materiale può essere fatto proprio dalla persona che l’ha perduto, la quale poi può sentirsi meglio per il fatto ad esempio di ricevere dalla stessa persona che le aveva donato l’anello nuove manifestazioni di considerazione e di affetto; e se invece, come pure può accadere, la consolazione sotto forma di «era solo un anello» va incontro a un insuccesso è perché a volte essa, la consolazione, non può assumere la forma di una messa tra parentesi della perdita, ma deve consistere in un farsi pienamente carico del suo peso: «È proprio un disastro che l’anello sia andato perso. Mi dispiace indicibilmente».
Un uso improprio del termine “soltanto”, dunque, può assumere la forma di un’assunzione abusiva circa la marginalità del punto di vista secondo il quale un anello, per esempio, non è affatto soltanto un oggetto materiale. Dire “soltanto” significa contrapporre un punto di vista dal quale la cosa in questione non è decisiva al punto di vista dal quale si tratta invece di uno snodo cruciale. In alcuni casi davvero quel primo punto di vista può accostarsi al secondo, e insidiarlo, e davvero la consolazione può svolgersi e raggiungere il suo scopo facendo prevalere un po’ alla volta, nella persona da consolare, il punto di vista della marginalità del proprio dolore sul punto di vista della sua centralità. Ma in altri casi il suggerimento di delocalizzare in una posizione periferica ciò di cui si parla nei termini di un soltanto va incontro a un semplice rifiuto; fa parte del gioco che ci si possa opporre alla proposta di cambiare punto di vista.
Vi è però un altro uso improprio del termine “soltanto”, non eterogeneo, nell’essenziale, rispetto a questo, ma in un certo senso più radicalmente sbagliato.
Una persona, di nuovo, sogna qualcosa di spaventoso; per esempio un grosso ragno velenoso; noi la rassicuriamo dicendo «accidenti, è davvero un’immagine spaventosa; ma per fortuna era solo un sogno». Più tardi quella persona, trasalendo, ci addita un grosso ragno palesemente velenoso proprio ai nostri piedi; e noi la rassicuriamo dicendo «accidenti, che brutto ragno minaccioso; per fortuna è solo la realtà». Ci si dovrà perdonare se questo esempio è assai meno vicino dei precedenti a ciò che possiamo aspettarci accadrebbe nella concretezza del commercio verbale tra gli uomini: solo ora ci stiamo avventurando su un terreno schiettamente filosofico.
Dire «è solo un x» vuol dire, dicevamo, proporre un punto di vista dal quale quell’x è marginale; e in alcuni casi dirlo suonerà inappropriato perché per il nostro interlocutore risulta semplicemente troppo difficile, almeno all’inizio, abbandonare il punto di vista dal quale quell’x è cruciale. Per alcuni x, però, sembra non accidentalmente difficile, ma logicamente impossibile assumere il punto di vista da cui x è irrilevante. Dire «è solo la realtà» presuppone che vi sia qualcosa di più urgente e importante, o insomma più reale, della realtà, il che è (grammaticalmente, non contingentemente) sbagliato.
Ora, aver escluso la legittimità di espressioni come «non preoccuparti, è solo la realtà» sembra segnare un guadagno ben magro sul libro dei conti della filosofia (e questo nonostante la filosofia sia a volte felice di sedersi sugli allori di una tautologia pur di non impigliarsi nei rovi di qualche contraddizione). Tuttavia la nostra acquisizione non si riduce davvero solo all’aver smascherato l’errore impossibile che consisterebbe nel dire «non preoccuparti, è solo la realtà»; poiché per esempio qualcuno potrebbe trovarsi a dire legittimamente, in un contesto in cui gli sembra che qualcun altro cerchi di cavarsela con un garbuglio di vacuità retoriche, «sono solo parole»; ma ci è ora chiaro che costui compirebbe un’operazione profondamente illegittima se a partire da qui passasse a concludere, un po’ cinicamente, che tutta la sfera della comunicazione linguistica «sono solo parole»: poiché cosa ha senso al di fuori di essa?
E questo rivela, nel nostro impiego della parola “solo”, un’equivocità da cui nascono errori ben più interessanti. Un conto è dire «sono solo parole» nel senso in cui si potrebbe dire: «Vi è un punto di vista dal quale l’insieme delle cose che sono qui in questione è esaurito da un insieme di parole»; un altro conto è dire «queste non sono che mere parole, e ben altro è il luogo in cui andrebbe cercato il valore di ciò che è qui in questione».
E questa confusione è all’origine di un tipo di errore che può non essere facile riconoscere come tale. Il nostro tempo è piuttosto incline (e in ciò, credo, vi è davvero più una ricerca di consolazione che il riconoscimento eroico di una dura verità) a sciogliersi in formule come: «In fondo, è tutto solo un vorticoso interagire di particelle elementari». Ma questa ovviamente non è la constatazione che da un punto di vista fisico le cose stanno così; è, bensì, la proposta di far prevalere il punto di vista fisico come più importante degli altri punti di vista, e come forse l’unico punto di vista realmente importante. Riduzionismo non vuol dire credere che la fisica come disciplina disponga di ottimi modi per render conto dei comportamenti della natura più di quanto anti-riduzionismo voglia dire dubitarne. Riduzionismo vuol dire accarezzare l’idea che dei giochi linguistici diversi da quello della fisica si potrebbe fare a meno, e anti-riduzionismo vuol dire rifiutare questa idea come assurda. Dire che qualcosa è solo qualcos’altro tende a voler dire che i punti di vista da cui quel qualcosa non è affatto solo quel qualcos’altro sono irrilevanti; ma a volte essi semplicemente non sono irrilevanti; e a volte non lo sono necessariamente.
Note
[1] Per queste considerazioni, di ispirazione latamente wittgensteiniana, sono debitore delle lezioni di Paolo Spinicci.