A distanza di oltre vent’anni dalle prime due, che rivoluzionarono la nozione di serie televisiva, tra circa un mese andrà in onda in Italia la terza stagione di Twin Peaks. Negli episodi del 1990-91 l’immagine della protagonista assente, Laura Palmer, svolge un ruolo ambiguo e interessante, che può essere chiarito tramite la filosofia della fotografia di Walter Benjamin.
Sembra una mattina qualunque a Twin Peaks, cittadina americana (fittizia) al confine con il territorio canadese, e invece compare sulle rive del fiume locale un telo di plastica che avvolge qualcosa: è il corpo senza vita di Laura Palmer, liceale modello e amata da tutti. Da questa premessa ha inizio una delle serie più importanti e brillanti nella storia della televisione, Twin Peaks, andata in onda in America tra il 1990 e il 1991. Non solo un crime drama che segue la ricerca del colpevole: alle indagini si sovrappone il costante brulicare di passioni, segreti e peccati degli abitanti del paese. Laura stessa e i suoi amici, parafrasando una celebre citazione della serie, «non sono quello che sembrano».
Allo spettatore non restano molte occasioni per conoscere Laura direttamente: la vittima compare in un numero di scene straordinariamente limitato. La sua immagine è tuttavia indelebile, e David Lynch (creatore della serie insieme a Mark Frost e tra le menti più visionarie del cinema contemporaneo) ci riesce in due modi: attraverso l’imposizione di un suo doppio (la cugina Maddy, che avrà un ruolo rilevante e che al di là degli accorgimenti dell’autore è identica a Laura ed è interpretata dalla stessa attrice) e tramite l’offerta allo spettatore di almeno due documenti. Il primo è una foto di Laura, sorridente e impreziosita dalla corona da reginetta del liceo cinta sul capo, collocata nel salotto di casa Palmer; il secondo è il video di un picnic in compagnia della migliore amica Donna e di una terza persona. Quando l’interesse del pubblico sembra spostarsi su una delle altre vicende che si sviluppano a Twin Peaks, immediatamente queste immagini fanno da stella polare e lo riportano al mistero principale, il centro del labirinto lynchiano che sorregge tutto il resto della struttura. La foto di Laura e il video del picnic sono le immagini dell’innocenza; in esse, Laura è felice e radiosa, luminosa nella sua spensieratezza. Osservandola dalla carta della fotografia o dallo schermo di una televisione, Laura ricambia lo sguardo e ci sorride. In fondo, più che contenere un’immagine della ragazza, i due medium sembrano custodirne l’essenza più pura e incontaminata; al loro confronto le altre rappresentazioni di Laura, quelle offerte da chi la conosceva o quelle che emergono dalle indagini, sembrano volgari falsificazioni.
Viene in mente Walter Benjamin e il suo concetto di aura, applicabile all’opera d’arte ma non solo: secondo una definizione molto poco chiara, «un singolare intreccio di spazio e di tempo: l’apparizione unica di una lontananza, per quanto possa essere vicina»[1]. E a proposito di una specifica fotografia aveva scritto: «una tecnica esattissima riesce a conferire ai suoi prodotti un valore magico che un dipinto per noi non possiede più. […] L’osservatore sente il bisogno irresistibile di cercare nell’immagine quella scintilla magari minima di caso, di hic et nunc, con cui la realtà ha folgorato il carattere dell’immagine»[2]. L’impressione che si ha davanti all’istantanea di Laura è molto simile. Essa, in realtà riproducibile all’infinito, diventa traccia unica e preziosa, dotata di valore magico come l’opera d’arte prima della modernità o come le prime fotografie (che non a caso erano spesso ritratti). Come queste – ecco il magnifico incanto di Lynch – possiede l’hic et nunc che «costituisce il concetto della sua autenticità»[3]. Secondo Benjamin, l’opera d’arte originaria si integrava nel contesto della tradizione e «trovava la sua espressione nel culto»[4]: allo stesso modo le immagini da Twin Peaks diventano reliquie e Laura è elevata a icona o a vestale (e il suo omicidio assume così l’attributo del rito sacrificale).
Nell’analisi di Benjamin l’opera d’arte dal valore cultuale era un prodotto storico superato e quella di oggi «diventa una formazione con funzioni completamente nuove, delle quali quella di cui siamo consapevoli, cioè quella artistica, si profila come quella che in futuro potrà venir riconosciuta marginale»[5]. Di certo non basta il caso dell’immagine di Laura Palmer per affermare che Benjamin si è sbagliato e che il concetto di aura, comunque da precisare, è ancora attuale; ma altrettanto azzardato sarebbe il negare ogni possibilità di valore metafisico all’opera d’arte contemporanea. Qui basta ricordare come un caso del tutto particolare esemplifichi le potenzialità infinite dell’immagine, anche quando essa è contenuta in un’altra immagine (la foto di Laura all’interno della serie televisiva).
Nuove puntate di Twin Peaks verranno trasmesse fra circa un mese, a ventisei anni di distanza dall’ultima. Per lo spettatore interessato c’è quindi ancora tempo per recuperare l’immagine dell’innocenza di Laura Palmer, e seguire uno dei più affascinanti esperimenti mai proiettati sul piccolo schermo.
Note
[1] Walter Benjamin, “Piccola storia della fotografia”, in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, tr. it. di Enrico Filippini, Einaudi, Torino 2000, p. 70.
[2] Ivi, p. 62.
[3] Walter Benjamin, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cit., p. 22.
[4] Ivi, p. 26.
[5] Ivi, p. 28.