Un gruppo coeso, euforico e selvaggio, con al centro una slegatura, una debolezza da perfezionare. Ne La danza di Matisse, che ricorre in altri Fauves, tutta l’immagine primordiale di un gruppo unito dalla passione pulsante che precede la ragione.
Kkien è il cielo: è blu cobalto, presenta variazioni di intensità quasi impercettibili, infatti risulta netto e brillante, sconfinato. La volta celeste, ispirata al cielo estivo del Mediterraneo, è lo sfondo del dipinto. Li è la fiamma: sono corpi rossi dipinti come il fuoco, stagliati contro il blu cobalto; sono sagome umane che si muovono in cerchio, cadenzate ritmicamente in pose coreografiche. Questi sono gli indizi che tramite lʼesagramma della Compagnia tra uomini possiamo trarre dal dipinto di Henri Matisse intitolato La danza e creato in due versioni differenti, ma praticamente contemporanee: la prima eseguita nel 1909 è conservata presso il Museum of Modern Art di New York; la seconda dipinta tra il 1909 e il 1910 si trova al Museo dellʼErmitage di San Pietroburgo.
Poco prima di queste date (intorno al 1905) un gruppo di artisti parigini un poʼ ribelli, ispirati dal simbolismo di Gustave Moreau, si erano radunati per lʼesposizione al Salon dʼAutomne di Parigi e qui avevano esposto le loro creazioni, fortemente voluti al salone da George Desvallières, il vicedirettore. Alle creazioni di questi giovani artisti dalle idee innovative e poco convenzionali viene dedicata unʼintera sala, che farà spalancare gli occhi ai fruitori del Salon abituati a tele di tuttʼaltro tenore, tendenzialmente appartenenti alla tradizione accademica. Proprio in questa occasione gli emergenti furono stroncati dal critico dʼarte Louis Vauxcelles, che definì infatti la sala dedicata alle loro opere una «cage aux fauves», ovvero una gabbia di belve selvagge, racchiuse tra sale dedicate a pittori accademici, a causa delle loro scelte espressive non convenzionali come ad esempio la stesura del colore puro sulla tela, chiaramente non naturalistico. Come però spesso accade nel mondo dellʼarte, quella che nasce con lʼintenzionalità di una critica negativa viene metabolizzata e ironicamente utilizzata dagli artisti stessi per definirsi e per convalidare una forte identità nel proprio movimento, che diventi così consacrato e riconoscibile nel bene o nel male.
Tra questi pittori selvaggi (André Derain, Maurice de Vlaminck, Henri Manguin, Charles Camoin) cʼera ovviamente anche Henri Matisse, che intrapresa la strada dellʼespressionismo più puro non la abbandonerà più. Lʼincontro di Matisse con la pittura è singolare, avviene durante un acuto attacco di appendicite: nel 1887 Henri si trasferisce a Parigi dalla sua città natale, Le Cateau-Cambrésis, per procedere nella propria formazione universitaria indirizzata agli studi di legge; qui inizia una carriera di impiegato statale, ma dopo un paio dʼanni passati a lavorare nella Ville Lumière si ammala di appendicite. Costretto a letto, proprio durante la convalescenza, scopre la pittura come passatempo… Esplode così la sua vocazione. La scelta immediata di dedicarsi alla carriera dʼartista sarà fortemente osteggiata dalla famiglia, in particolare dal padre, ma questo dolore non lo fermerà affatto: inizia a frequentare lʼAcadémie Julian, ed è qui che incontra Gustave Moreau, suo professore. Si avvicina inizialmente al simbolismo del suo maestro e qui inizia a frequentare altri ribelli dalle idee innovative in fatto di pittura. Tra il 1904 e il 1905 conosce la Parigi del salotto di Gertrude Stein, il pittore André Derain, con il quale approfondisce gli studi sul colore, sviluppando le proprie ricerche vicine allʼastrattismo che lo porteranno a diventare caposcuola dellʼespressionismo francese di lì a pochi anni.
Possiamo in effetti constatare che La danza (1909-1910) è diventato uno dei manifesti di questo movimento, un quadro apprezzatissimo dai colleghi selvaggi per il linguaggio cromatico e per la scelta tematica. Le due versioni di questo dipinto sono composte in tempi lievemente diversi, come accennato, ma in maniera perfettamente sovrapponibile: la componente fondamentale di entrambe è il ritmo, percepibile nelle cinque figure che si muovono con innata armonia, legate in un girotondo. Il secondo aspetto caratteristico di entrambe le versioni de La danza è la semplicità compositiva, legata in maniera imprescindibile alla scelta cromatica altrettanto primaria. Sono solo tre i colori di questo olio su tela: il blu della volta celeste, il rosso dei corpi e il verde della terra. Nella tela di New York i colori sono virati nella loro componente più fredda, mentre gli oli della tela di San Pietroburgo sono caldi, ma sempre squillanti e vividi. Scelta cromatica ribelle, selvaggia e profondamente espressionista.
Ma se torniamo per un attimo alla lettura dellʼI Ching scopriamo che questo testo ci accompagna ancora più in profondità nella lettura del dipinto: lʼoracolo cinese prosegue nella sua descrizione dellʼesagramma della Compagnia tra gli uomini con questa osservazione: «La seconda linea è quella che riunisce attorno a sé le cinque forti per la sua natura centrale […] Qui vi è chiarezza dentro, fuori forza, quale essenza della pacifica riunione degli uomini, che ha bisogno di un tenero fra molti solidi, per essere coerente». E ci fornisce così un ulteriore strumento diagnostico per notare un particolare fondamentale. Osservando il dipinto di Matisse in effetti è immediata la percezione di questa pacifica riunione tra uomini (cinque forti riuniti in una natura centrale), scandita dalla chiarezza del motivo musicale universale che viene facile e spontaneo percepire nelle nostre orecchie. Questo dipinto, grazie al suo linguaggio basilare facilita la comprensione del concetto di armonia tra uomini e di conseguenza è carico di una forza primordiale. Il senso arcaico de La danza è descritto anche dalla forte bidimensionalità della scena e delle figure rappresentate, che riporta i nostri occhi agli antichi disegni degli uomini nelle caverne, corpi delineati da una forte riga nera di contorno. Quasi come dei simboli. Non a caso abbiamo visto che il maestro simbolista Moreau è stato colui che ha formato il giovane Matisse.
È però visibile una piccola crepa, una debolezza, «un tenero tra molti solidi». In basso a sinistra il cerchio si sfalda, quasi si spezza: le mani dei due esseri umani sono tese lʼuna verso lʼaltra, ma non si raggiungono saldamente. È qui lʼelemento di tenerezza, di gioia e di enfasi, ma al tempo stesso di paura e di minaccia della possibile rottura di questa perfetta armonia. In effetti lʼuomo in sé racchiude miriadi di forze centripete e centrifughe, ma la perfezione non è certo una sua caratteristica… e meno male! Henri Matisse e lʼI Ching vogliono ammonirci e consigliarci di continuare a tendere al miglioramento, alla perfezione, ma senza alcuna pretesa di raggiungerla mai, perché la perfezione non ha in sé nulla di costruttivo. Perciò è fondamentale avere sempre davanti ai nostri occhi un margine di miglioramento. La coerenza è data proprio da questo delta tra situazione attuale e il potenziale miglioramento; ciò che rende costante lʼaccrescimento è il fatto che sia sempre possibile.
Nel frattempo però ci ricordano altrettanto lʼimportanza vitale di riuscire a cogliere la potenza che ci deriva dallʼimpegno e di celebrarla con euforia.