Medusa (Tunué 2016, 136 pagine, 12 €) è il primo romanzo di Luca Bernardi. Un giovane di buona famiglia fugge dalla costa tirrenica a quella adriatica inseguito dallo spettro cupo e nevrotico di un delitto orribile, barcamenandosi (tra vanità adolescenziali fuori tempo massimo e ambizioni di semiologo incompreso) grazie alla compravendita di emozioni con un alieno malavitoso. La vicenda è tragica, la scrittura è brillante, e il risultato è anche un libro molto divertente, in cui una narrazione giocata sul filo dello sfaldamento del linguaggio si tiene insieme grazie alla più perfetta padronanza del mezzo letterario. Abbiamo fatto due chiacchiere con l’autore.
Qualcuno ha detto che il linguaggio sperimentale deve descrivere fatti ordinari, poiché i fatti straordinari richiedono un linguaggio piano e diretto. Il linguaggio del tuo romanzo non è certo ordinario, ma non sembrano esserlo nemmeno i fatti. Si tratta allora di un paradigma superato?
Non so se sia un paradigma superato. Credo che ogni storia necessiti di una lingua propria. Trattandosi in questo caso di un libro scritto in prima persona, lo stile doveva riecheggiare il personaggio. E dato che il tratto distintivo del protagonista di Medusa è forse la contraddizione, mi sembrava consono farlo pensare in una maniera ambigua e conflittuale che ho tentato di rendere con l’accavallarsi di ipotassi e paratassi, magniloquenza e turpiloquio, laconicità e parlantina, gergo giovanile e capziosità filosofica.
Nel libro ci sono gli alieni, ma forse sono solo il parto di una mente in disfacimento. Il fossato che separava la letteratura di fantascienza dal mainstream, e specialmente dal mainstream “alto”, è stato colmato?
Mi pare che oggi commistione dei generi e permeabilità tra ricerca e intrattenimento siano fatti conclamati. Si dice poi che per fare un romanzo servano due cose, il mito e lo stile. La letteratura lo stile dovrebbe trovarlo da sé, ma dove pescare un mito fresco nell’inflazionatissimo mercato simbolico della contemporaneità? A mio avviso, lo si può andare a cercare nelle narrazioni più popolari, libri, fumetti, cinema, televisione o altro. Aggiungo che la mia ossessione per gli alieni risale alla preadolescenza. Per quanto possa sembrare assurdo, si tratta per me di un tema estremamente “vissuto”.
La ricerca sullo stile è accuratissima e dà luogo a una lettura estremamente varia, interessante e divertente. Questo riflette una concezione della letteratura?
Ti ringrazio. Quando leggo voglio divertirmi, perciò ho tentato il più possibile di rendere Medusa un libro piacevole. Poiché i temi del romanzo non sono idilliaci, il meno che potessi fare era servirmi dello stile quale veicolo di godimento. Questo non significa che la lingua del libro sia piana, tuttavia è costruita per irretire e contagiare. Spero di aver raggiunto almeno in parte l’obiettivo.
Ma poi c’è il fatto che il protagonista lavora quasi maniacalmente alla stesura di un bizzarro dizionario: il linguaggio è un vero e proprio protagonista di questo romanzo. Si tratta di un prolungamento del gioco letterario o è già una transizione, interna al libro, verso un gioco filosofico?
Il protagonista e voce narrante di Medusa è schizofrenico. Dunque il romanzo è leggibile anche come un tentativo di far impazzire il linguaggio in prima persona. Nella psicosi, mi sembra, non solo viene a nudo lo statuto convenzionale di qualsiasi lingua, ma emerge anche un altro fatto rilevante: che per reggersi il linguaggio è costretto a insistere su alcune opposizioni (singolare/plurale, maschile/femminile, presente/passato: rimango alle due o tre lingue che conosco) e invece a ignorarne molte altre. Con il Dizionario Semiologico Abissale (il cui acronimo potrebbe rimandare ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento) ho voluto giocare su questo aspetto plasmatore del simbolico nei confronti dell’esperienza. Cosa accadrebbe se dall’oggi al domani le coordinate su cui si istaura il nostro rapporto con il mondo venissero rimpiazzate? Ciò detto, non credo vi sia traccia nel romanzo di una posizione filosofica. Semmai, mi sono servito di alcune nozioni teoretiche per tracciare il quadro mentale del protagonista.
Il testo sembra in più punti avere qualcosa di psicanalitico, benché la psicanalisi vi sia anche derisa. Quanto e come è presente Freud – o, se è per questo, Jung?
Ho letto Freud presto e mi ha segnato. Jung lo conosco per vie traverse. Non so se e come la psicanalisi sopravvivrà al XXI secolo, però mi pare ancora una buona fucina di immagini e una rete forse bucata ma non troppo ipocrita da gettare sulla realtà. Sull’irrisione, io credo che si possa sputare in faccia soltanto a ciò che si ama. E poi le interpretazioni psicanalitiche della letteratura mi hanno spesso deluso, dunque lavorando a Medusa covavo forse l’idea di scrivere un libro in grado di adescare l’anamnesi psicologica ma al contempo di farla deragliare, sorta di referto esploso. Non so se ci sono riuscito.
Quanto c’è di autobiografico nel libro? O almeno, di significativamente autobiografico?
Di autobiografico ci sono soprattutto gli ambienti. Tanto lo stabilimento balneare nella prima parte, quanto l’approdo vacanziero nella seconda, con la sua atmosfera post-adolescenziale, sono ricalcati su luoghi che conosco piuttosto bene. Per quanto riguarda il protagonista, certamente gli ho trasmesso alcuni dei miei difetti, dalla smania di controllo al gusto della provocazione.
Il rapporto del protagonista, e dei suoi amici, con il genere femminile può essere considerato un riassunto del suo/loro rapporto con il mondo? (Domanda di riserva: Quanto c’è di semiologico nella nozione di “culo parlante”?)
Bella domanda. Credo di sì, il modo in cui protagonista e comprimari di Medusa guardano agli universi femminili riassume un atteggiamento generale verso una realtà in bilico tra forma-merce e fantasma. Qui si aprirebbe un discorso ampio, e non ricordando molto delle mie vite precedenti mi rendo conto che potrebbe trattarsi di abbagli dovuti alla mia età e all’incapacità di pensare dal di fuori l’epoca attuale, tuttavia ho l’impressione che il discorso sulla sessualità – pornografia, gender, esibizionismo – oggi rischi di assordare la sessualità stessa. Non vorrei suonare apocalittico, ma se qualsiasi esperienza diventa quantificabile (magari in mi piace), il già risicato spazio del piacere nell’esistenza umana potrebbe perdere ulteriore terreno. Infine, il termine “culo parlante” è quasi una parodia della semiologia stessa, congerie testuale di cui molto mi sono nutrito, ma che forse non ha saputo superare l’incanto di guardarsi allo specchio. Un culo parlante resta per definizione senza cuore: aporia senza dialettica.
Ci sono degli autori da cui ti senti particolarmente influenzato, o che comunque in qualche modo sono presenti in Medusa? Viceversa, anche se così so di mettere in difficoltà la tua modestia: in cosa ti sembra che il tuo libro sia essenzialmente originale?
Gli autori verso cui ho un debito sono moltissimi. Citarli sarebbe ozioso e forse malaugurante, data la tendenziale disparità tra lorsignori in frac e la felpa bucata del sottoscritto. Sull’originalità di Medusa non saprei cosa rispondere. Non ho la pretesa di aver scritto un romanzo innovativo. Tanto l’azzardo linguistico, quanto la commistione dei generi e la creazione di un narratore inattendibile sono aspetti già presenti in altre opere.
Come ha funzionato la stesura del testo, la ricerca di un editore, la pubblicazione?
Conoscevo Vanni Santoni, editor e direttore della collana di narrativa di Tunué, da quattro o cinque anni. Gli avevo mandato un altro romanzo, che non lo aveva convinto fino in fondo. Così l’autunno scorso gli ho inviato una delle prime stesure del testo che sarebbe diventato Medusa. Lui ha risposto che bisognava lavorarci molto. Dopo quasi un anno tra fase preparatoria (in cui seguendo sue indicazioni cercavo nuove strade al testo) ed editing vero e proprio (concentrato invece nella fase più intensa degli ultimi due mesi) il romanzo è arrivato in libreria.
Sei già al lavoro su qualcosa di nuovo?
Di ciò di cui non è necessario parlare, si può anche tacere.