Dall’aquilone all’aeroplano

di Michele Lavazza

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La storia degli eventi che portarono al primo volo di un essere umano a bordo di un aereo è la storia di uno sviluppo graduale, fatto di coraggio e imprudenza, di eroismi romantici e paziente lavoro tecnico.
Il primo volo del Flyer dei fratelli Wright, il 17 dicembre 1903

Il primo volo del Flyer dei fratelli Wright, il 17 dicembre 1903

Il 17 dicembre 1903 era un giorno freddo e ventoso a Kill Devil Hills, nel North Carolina. Quella mattina un leggerissimo biplano, che i suoi creatori avevano chiamato “Flyer”, decollò per quattro volte da una rotaia in legno per atterrare poi ogni volta, dopo aver coperto distanze sempre maggiori, sulle dune di sabbia morbida. Al termine dell’ultimo volo, che era durato 59 secondi, l’aereo si schiantò con violenza al suolo danneggiandosi seriamente, ma senza lesioni per il pilota. Non sarebbe più stato utilizzato.

Questi quattro voli dei fratelli Wright – due di Orville, due di Wilbur – segnarono incontestabilmente una pietra miliare nella storia dell’aviazione. Quasi universalmente il 17 dicembre 1903 è considerato la data del primo volo umano a bordo di una macchina “più pesante dell’aria”. Non si trattava tuttavia né di un inizio né di una fine, sia pensando alla vicenda dei Wright che alla storia del volo umano in generale. Il lavoro di Wilbur e Orville Wright, pur rigoroso e propriamente scientifico quanto quello di pochi sperimentatori era stato prima, si fondava su presupposti che erano stati fissati poco alla volta da diverse generazioni di precursori e pionieri del volo tra il XVIII e il XIX secolo.

Per millenni l’imitazione degli uccelli da parte dell’uomo era stata oggetto di storie e miti, da quello greco di Dedalo e Icaro a quello cinese di Lu Ban; mentre già nel Medioevo è documentato in modo attendibile qualche intrepido (Abbas Ibn Firnas nella Spagna musulmana, Eilmer di Malmesbury in Inghilterra) che tentò di spiccare il volo appeso a bardature di tela sorrette da stecche di legno, ora simili a rudimentali paracadute, ora ad alianti primitivi.

Il rinascimento vide al contempo la prosecuzione di pericolose improvvisazioni e l’affinarsi degli approcci osservativi al problema del volo. Leonardo da Vinci studiò con penetrante spirito naturalistico gli uccelli, producendo inoltre intuizioni tecniche in enorme anticipo sui tempi. Nella seconda metà del Seicento il gesuita Francesco Lana de Terzi, sulla base di una precisa concezione scientifica e di calcoli rigorosi, progettò una nave che, in accordo con il principio di Archimede, si sarebbe dovuta sollevare grazie a quattro grandi sfere metalliche in cui fosse stato creato il vuoto.

E fu appunto con Archimede che nel 1783 prima i fratelli Montgolfier, poi, a distanza di pochi giorni, Jacques Charles, fecero volare con successo i primi palloni aerostatici, rispettivamente ad aria calda e a idrogeno.

L’Ottocento, il secolo del progresso e della lunga pace europea, del ferro e del fuoco votati, per parecchi decenni di seguito, più al costruire che al distruggere, salvo preparare forse le distruzioni peggiori mai viste, vide un’accelerazione senza precedenti anche negli studi aeronautici. Già a fine Settecento il teologo e filosofo svedese Emanuel Swedenborg aveva ideato una «macchina per volare» in cui si superava il concetto intuitivo dell’ala battente in favore della separazione tra l’organo che produce la portanza (l’ala) e quello che produce la spinta (una primordiale elica). L’inglese Sir George Cayley produsse, a cavallo dei due secoli, la prima trattazione esatta delle principali forze fisiche rilevanti per il volo e disegnò un aliante di concezione per alcuni versi assai avanzata, con una coda separata destinata al controllo della traiettoria. Tale aliante nel 1853 compì con successo un breve volo ai comandi del riluttante cocchiere di Cayley, che, terrorizzato, si licenziò dalle sue dipendenze subito dopo l’impresa.

L’ovvio passo successivo fu quello di applicare al volo la potenza del moderno motore a vapore. Questo fu fatto però in molti casi con relativa ingenuità, quasi a risolvere il problema con la forza bruta: le macchine progettate negli anni 1840 da William Samuel Henson, come quella realizzata negli anni 1890 da Hiram Maxim, erano enormi e pesantissimi mostri con potenti propulsori a vapore, del tutto inadatte al volo da un punto di vista aerodinamico. Qualcosa di simile valeva anche per i goffi pipistrelli del francese Clément Ader, che, sebbene fossero progettati con estrema cura e montassero motori a vapore eccezionalmente leggeri, per essere motori a vapore, riuscirono ad alzarsi da terra di appena pochi centimetri – per l’irritazione dell’esercito francese, che vi aveva investito una somma non indifferente.

Su un altro fronte, con fondi e risonanza mediatica assai minori, altri pionieri continuavano a studiare il volo senza motore. Il francese Alphonse Pénaud costruì alcuni modellini propulsi da una banda elastica attorcigliata che risultarono capaci di coprire in volo decine di metri. Frustrato dall’impossibilità di ottenere fondi per realizzare progetti su scala maggiore, malato e depresso, Pénaud si suicidò nel 1880 all’età di trent’anni; ma proprio un modellino di elicottero basato su una sua analoga costruzione avrebbe ispirato i fratelli Wright, una generazione più tardi, a interessarsi appassionatamente alla questione del volo.

Francis Herbert Wenham, inglese, sviluppò l’idea del multiplano ad ali sovrapposte, scoprì i vantaggi aerodinamici delle ali lunghe e strette, costruendo persino la prima galleria del vento; Octave Chanute, francese naturalizzato statunitense, sperimentò felicemente alcuni moderni alianti biplani dotati di un impennaggio cruciforme e raccolse in un prezioso volume, Progress in Flying Machines, tutte le informazioni disponibili sugli esprimenti aeronautici svolti fino al 1890; Otto Lilienthal, tedesco, realizzò alcuni alianti con cui riuscì a percorrere in volo anche 250 metri. (Lilienthal morì nel 1896 in seguito allo schianto che pose termine all’ultimo dei suoi oltre 2000 voli. Prima di spirare si limitò a dire: «Bisogna fare sacrifici».) Costoro, e altri, portarono il volo a vela a un livello di raffinatezza aerodinamica assai prossimo a quanto serviva per realizzare un vero aeroplano.

Secondo fallimento dell'Aerodrome di Langley

Il Great Aerodrome di Samuel Pierpont Langley registrò il suo secondo e ultimo fallimento l’8 dicembre 1903. L’aereo ebbe un cedimento strutturale e si accartocciò in volo, precipitando quindi nel fiume Potomac

L’ultimo grandioso ed eroico insuccesso della preistoria del volo fu quello dello statunitense Samuel Pierpont Langley. Direttore della prestigiosa Smithsonian Institution, sovvenzionato da cospicui fondi dell’esercito, con alle spalle il notevole successo di due modellini a vapore che avevano volato per centinaia di metri, egli con sgomento vide precipitare per due volte nel fiume Potomac (senza danni per lo sfortunato pilota) il suo Great Aerodrome, dotato di un potente motore a benzina ma troppo pesante e strutturalmente debole.

Il primo volo dei Wright avvenne meno di due settimane dopo l’ultimo tentativo di Langley. La più grande innovazione che essi introdussero fu un sistema di controllo del volo capace di agire su tutti e tre gli assi (verticale, longitudinale, trasversale). Questo rendeva possibile gestire le raffiche di vento e le instabilità della macchina in modo tale da ridimensionare significativamente l’estrema pericolosità degli esprimenti precedenti. Influenzati da tutti i progressi di Cayley, Wenham, Pénaud, Lilienthal ecc. attraverso il testo di Chanute, con il quale collaborarono anche personalmente, essi combinarono con il proprio sistema di controllo un piccolo ma efficiente motore a scoppio e una doppia ala incurvata e allungata. E il Flyer mantenne la promessa del suo nome.

Senza tutti i precedenti successi e insuccessi, però, la vittoria del Flyer contro la gravità non sarebbe stata nemmeno concepibile. D’altro canto, la stessa impresa dei fratelli Wright non fece che aprire la strada agli incredibili passi avanti che nel giro di cinquant’anni avrebbero portato l’aereo oltre il muro del suono e che nel giro di un secolo avrebbero reso il trasporto passeggeri su larga scala e a basso costo una realtà quasi universale.

Dicevo però che anche per Wilbur e Orville il 1903 fu solo un momento di passaggio. Essi avevano iniziato a studiare il problema del volo nel 1899 e, transitando per molti ingegnosi esperimenti aerodinamici, anche in galleria del vento, avevano costruito un aquilone e tre alianti prima del Flyer; dopo il Flyer avrebbero costruito una serie di aeroplani che, tra il 1905 e il 1908, avrebbero garantito loro l’autentico dominio dell’aria e l’indiscussa superiorità sulla concorrenza internazionale. La loro storia, dal negozio di biciclette al successo al declino, è lunga e complessa: non si può ridurre al singolo (presunto) primato.

Il bizzarro velivolo 14-bis di Alberto Santos-Dumont, che è considerato il primo aeroplano ad aver volato in Europa (nel 1906), fu collaudato appendendolo sotto un dirigibile

Il bizzarro velivolo 14-bis di Alberto Santos-Dumont, che fu (nel 1906) il primo aeroplano a volare in Europa, fu collaudato appendendolo sotto un dirigibile

La stessa questione se i Wright siano stati i primi a far volare un aeroplano nel senso proprio del termine, in effetti, è controversa; ma l’importanza di tale questione è tutto sommato secondaria. Che il 17 dicembre 1903 abbia o meno avuto luogo il primo volo umano con una macchina motorizzata più pesante dell’aria dipende essenzialmente da quanto è forte la definizione che si vuole dare della parola “volo”. Siamo, come di fronte a ogni accumulazione progressiva, all’antico paradosso del sorite: quello di cui siamo certi è che la vite aerea di da Vinci non volava, e che l’Airbus A380 invece lo fa; a che punto tra i due estremi si voglia collocare il primo “vero” volo è in larga misura soggettivo, e l’oggettività deve dipendere da una convenzione. La questione se a volare per primo sia stato Clément Ader nel 1890 o Alberto Santos-Dumont nel 1906 (entrambe tesi che alcuni sostengono) si riduce alla questione se per volare sia sufficiente staccarsi da terra di una spanna in modo incontrollato o se sia necessario decollare facendo affidamento solo su un motore e un carrello di atterraggio, senza avvantaggiarsi (come avevano fatto inizialmente i Wright) né del vento contrario, né di una rotaia di legno. Il fatto che in generale i fratelli Wright siano considerati i detentori della palma significa solo che, in base alla definizione più largamente condivisa, per poter dire di aver volato è necessario staccarsi dal suolo di almeno qualche metro e atterrare in modo sostanzialmente controllato; ma è sufficiente farlo con l’ausilio di una rotaia e con un forte vento contrario. Tutto qui.

I Wright hanno in questa storia dei primi battitori delle vie del cielo un ruolo molto importante, il cui senso storico però si coglie pienamente solo se lo si pensa in funzione quello che era avvenuto prima e di quello che sarebbe avvenuto dopo. Il lento nascere dell’aviazione è stato una grande avventura collettiva, uno sviluppo graduale e continuo senza alcun salto netto – se si esclude, cioè, il salto delle ruote di un aereo, e delle viscere di un uomo, con cui comincia quasi ogni volo.

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