Il matematico inesistente

di Gabriele Pichierri

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Le grandi menti del gruppo Bourbaki: nella gabbia di matti senza presidente ci si dà sulla voce ma, intanto, si riscrive la matematica. Esercito e Solidarietà a confronto: quale nome migliore di un imbattibile generale di Napoleone III per descriverlo?

A mezzogiorno del 10 dicembre 1934, André Weil insieme a Henri Cartan sedevano nel Café Capoulade in Boulevard Saint-Michel, a Parigi, con un gruppo di amici: Claude Chevalley, Jean Delsarte, Jean Dieudonné e René de Possel. Weil aveva ottenuto da circa un anno una cattedra all’Université de Strasbourg, dove già lavorava Cartan, ed entrambi erano insoddisfatti del corso di calcolo differenziale e integrale, di cui condividevano la docenza, e del libro di testo utilizzato, il Traité d’Analyse di Édouard Goursat. Da settimane Cartan tormentava Weil con dubbi sull’esposizione di alcuni argomenti del corso, e viceversa, ma Weil intendeva risolvere definitivamente la faccenda. I due facevano spesso visita ai loro colleghi parigini, ma quel giorno Weil aveva una proposta: creare un collettivo di giovani matematici che riscrivesse l’ormai obsoleto trattato di Analisi. La Francia, durante la Guerra, aveva tenuto fede all’ideale di eguaglianza, e i suoi accademici avevano perso la vita in trincea come chiunque altro, consegnando ai giovani studenti dei primi anni Trenta soprattutto docenti alla fine della propria carriera: un’intera generazione di matematici andata perduta. La proposta fu accolta con euforia.

Scelto inizialmente il pomposo nome Comitato per il Trattato di Analisi, già nell’estate del 1935 il gruppo preferì lo pseudonimo Nicholas Bourbaki, come il generale di Napoleone III che non perse mai una battaglia. Un nome ancora più arrogante, quasi dispotico, direte voi. Tutt’altro. Quando erano ancora matricole dell’École Normale Supérieure, Delsarte, Cartan e Weil avevano assistito ad una rituale “lezione” tenuta da uno studente più anziano, il quale, spacciandosi per un illustre matematico con barba finta e forzato accento straniero, aveva “dimostrato” una serie di improbabili teoremi che portavano il nome di sconosciuti generali francesi, uno più sbagliato dell’altro, al fine di testare la capacità critica degli studenti del primo anno. L’ultimo, il più ridicolo, era proprio il Teorema di Bourbaki. E dunque, nonostante sarebbe passata alla storia per aver influenzato profondamente la regina delle scienze sotto il nome del generale francese, la gang Bourbaki si fece notare anche per le sue burle. Ad esempio, insistevano che N. Bourbaki fosse una persona vera e propria, cosa che perfino molti matematici credevano, ne inventarono una biografia, fecero richiesta di iscrizione alla American Mathematical Society e istruirono un attore affinché tenesse lezioni a suo nome, presentandolo come celebre professore della fittizia Université de Nancago. Non mancavano certo alcune regole, tanto ferree quanto bizzarre: si entra per cooptazione dopo una sorta di esame, si esce obbligatoriamente compiuti i cinquant’anni (Bourbaki è oggi di trent’anni più vecchio di ogni suo membro). Ma se l’unanimità è richiesta per tutte le decisioni, i dissenzienti possono far valere liberamente la propria opinione. È infatti proprio il metodo di lavoro che più li distanzia dalla disciplina militare. I membri di Bourbaki erano convinti che un carattere anarchico fosse indispensabile, e proprio Weil, leader de facto e fondatore del gruppo, confessa che era addirittura premeditato: «Durante gli incontri del gruppo, non c’è mai stato un presidente. Chiunque parla se ne ha voglia e ciascuno ha il diritto di interromperlo»1 . Dieudonné racconta che «quando qualcuno veniva invitato ad assistere alle riunioni […] ne usciva sempre con l’impressione che si trattasse di una gabbia di matti. Non riuscivano a immaginare come queste persone, gridando anche in tre o quattro per volta, potessero mai approdare a qualche conclusione intelligente»2 .

Eppure già nel ‘35 Bourbaki lavorava al ben più ambizioso obiettivo di una ricostruzione completa e coerente dell’intero edificio della matematica. Il gruppo si divise in sottocommissioni specifiche per le diverse discipline, da subito si stabilì che in ognuna dovesse essere presente un non esperto. Per ogni argomento veniva scelto un primo redattore che alla successiva riunione avrebbe proposto una bozza che il gruppo avrebbe «letto e discusso di nuovo, modificandola o addirittura, come capitò più di una volta, rigettandola a priori»3 . Un secondo membro avrebbe poi presentato una seconda bozza e così via. Commenta così Grothendieck, della terza generazione bourbakista: «Questo principio può sembrare aberrante per un lavoro in gruppo. La cosa straordinaria è che funzionava»4 . L’obiettivo di Bourbaki era diventato paragonabile all’opera di Euclide, e ne trae ispirazione fin dalla prima parola del titolo dell’imponente trattato che avrebbe prodotto: Éléments de Mathématique. Come nel celebre libro di geometria del matematico greco, ogni risultato deve poter essere ricavato da uno precedente, in un corpus autonomo basato puramente sul metodo assiomatico. La conseguenza fu, racconta Cartan, un «nuovo arrangiamento delle branche della matematica. Si dimostrò impossibile mantenere la classica divisione»5 . Così, come nota Armand Borel6 , quel Mathématique al singolare, quando la lingua francese corrente vorrebbe il plurale, testimonia proprio la volontà di rifondare la materia in un’unica organica e intrecciata disciplina.

Bourbaki ha introdotto concetti, formalismi e terminologie usati ancora oggi, a partire dal simbolo Ø, ormai universale per indicare l’insieme vuoto, che Weil prese in prestito dall’alfabeto norvegese7 . Di grande rilevanza furono poi le scelte stilistiche molto decise: trattare gli argomenti nel modo più generale possibile e specializzare poi nei casi particolari, perseguire una astrazione quasi totale, evitare l’uso di figure per assistere l’intuizione8 . L’indisciplinato Bourbaki era un forte sostenitore del rigore dimostrativo, in risposta alla scuola intuizionista che faceva capo a Poincaré, anche se le ultime generazioni optarono per un maggiore pragmatismo, a discapito della più iniziale vena dogmatica9 .

Forse anche per la difficoltà di stare al passo con una materia che evolve con grande rapidità sfuggendo ad una codificazione definitiva10, la pubblicazione degli Éléments è rallentata negli ultimi decenni, ma quel matematico inesistente è ancora vivo, ed ha addirittura un suo ufficio all’École Normale. I Séminaire Bourbaki, istituiti nel ‘48 e tenuti ogni anno a Parigi, rappresentano un’istituzione, una figura di merito per le conquiste nei diversi campi della matematica contemporanea. Se come me siete matematici, siete stati quasi certamente influenzati da Bourbaki, per stile e spirito11. E se matematici non lo siete, ma vi sentite comunque un po’ stravaganti, un po’ incompresi, un po’ geniali, c’è molto di Nicholas Bourbaki anche dentro di voi.


Note:

1. O’ ConnorRobertson, Bourbaki: the pre-war years, MacTutor, 2005

2. Marcus du Sautoy, L’enigma dei numeri primi, tr. it. Carlo Capararo, Rizzoli, Milano, 2004, p. 544.

3. André Weil, The Apprenticeship of a Mathematician, tr. in. Jennifer Gage, Springer, Basel Boston Berlin Birkhăuser, 1992, p. 113.544.

4. Giulio Giorello, Alexander Grothendieck. Il diritto di creare, il dovere di resistere, introduzione a Matematica ribelle. Le due vite di Alexander Grothendieck, a cura di Antonio Carioti, Corriere della Sera Grandi Saggi, Milano, 2014, p. 10.

5. J. J. O’Connor, E. F. Robertson, Bourbaki: the prewar years, cit

6. Ibidem

7. André Weil, The Apprenticeship of a Mathematician, cit., p. 114.

8. Uno stile che venne anche criticato. Come disse Pierre Cartan, bourbakista di terza generazione, i primi libri di Bourbaki vanno pensati come una «enciclopedia della matematica, contenente tutte le informazioni necessarie. […] Se lo consideri un libro di testo, è un disastro» – cfr. Marjorie Senechal.

9. Marjorie Senechal, The Continuing Silence of Bourbaki – An Interview with Pierre Cartier, MacTutor, June 18, 1997.

10. Alberto Conte, Dagli anni ‘30 a oggi, supplemento a: Morris Kline, Storia del pensiero matematico, tr. it. Luca Lamberti e Luisa Mazzi, Einaudi, Torino, 1991, pp.1416-1417.

11. Marjorie Senechal, The Continuing Silence of Bourbaki – An Interview with Pierre Cartier.


Bibliografia:

  • Conte Alberto, Dagli anni ‘30 a oggi, supplemento a: Morris Kline, Storia del pensiero matematico, tr. it. Luca Lamberti e Luisa Mazzi, Einaudi, Torino, 1991.
  • Giorello Giulio, Alexander Grothendieck. Il diritto di creare, il dovere di resistere, introduzione a Matematica ribelle. Le due vite di Alexander Grothendieck, a cura di Antonio Carioti, Corriere della Sera Grandi Saggi, Milano, 2014
  • O’Connor – Robertson, Bourbaki: the pre-war years, MacTutor, 2005.
  • Sautony Marcus du, L’enigma dei numeri primi, tr. it. Carlo Capararo, Rizzoli, Milano, 2004.
  • Senechal Marjorie, The Continuing Silence of Bourbaki – An Interview with Pierre Cartier, June 18, 1997.
  • Weil André, The Apprenticeship of a Mathematician, tr. in. Jennifer Gage, Springer, Basel Boston Berlin Birkhăuser, 1992

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