[R]evolution

di Filippo Scacchi

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L’accrescimento delle specie, il progredire dell’adattabilità di piante ed animali all’ambiente, in un parola: l’evoluzione. Pensando alla descrizione dell’I King, tuttavia, non bisogna farsi venire l’idea di un miglioramento o di un finalismo. Immaginiamo piuttosto lo scorrere di un fiume.

L’accrescimento è qualcosa di cui, nelle scienze naturali, si parla spesso; gli esseri viventi crescono, le montagne si alzano e le popolazioni aumentano. Ma la prima cosa a cui ho pensato quando è stato estratto l’esagramma 42 non è stato qualcosa di fisico ed osservabile, ma un invisibile e misterioso fenomeno che chiamiamo comunemente “evoluzione”. Se come me siete cresciuti a Pokemon (o a Digimon, in qual caso mi dispiace un po’ per voi) potreste avere un’idea falsata di come funzioni esattamente il processo evolutivo; e se vi è stato detto, come spesso si sente dire, che “l’uomo discende dalle scimmie” potreste aver immaginato uno scimpanzé che di punto in bianco decida di assumere una postura eretta, espandere la propria corteccia cerebrale e incominciare a depilarsi.

Quello che ci racconta il buon Charles Darwin, consolidato poi nella lunga e fruttuosa diatriba che è seguita alla pubblicazione de L’origine delle specie, è che l’evoluzione opera attraverso il lento accumulo di minuscoli cambiamenti che, in un tempo abbastanza lungo, possono portare a significative e a volte sorprendenti differenze. Questi minuscoli cambiamenti avvengono a livello del DNA, che nella trasmissione tra una generazione all’altra può andare incontro a mutazioni casuali. Se queste mutazioni comportano un vantaggio anche piccolo per il portatore è più probabile che questi possa sopravvivere, riprodursi e tramandare il proprio patrimonio genetico (con la mutazione) alla generazione successiva, che a sua volta avrà un piccolo vantaggio che le permetterà di sopravvivere, riprodursi e così via. Al contrario se la mutazione è svantaggiosa è più probabile che il portatore non riesca a sopravvivere e riprodursi. In questo modo una mutazione comparsa casualmente si può consolidare o può venire eliminata in una popolazione. Questo meccanismo è ciò che chiamiamo selezione naturale. Questo semplice principio ha avuto un effetto tanto dirompente e rivoluzionario che Theodosius Dobzhansky, uno dei genetisti e biologi evoluzionisti a cui si deve la sintesi delle teorie darwiniane con i nuovi risultati della genetica, disse:

In biologia niente ha senso se non alla luce dell’evoluzione.

Dobbiamo però stare attenti ad evitare un altro errore concettuale comune: spesso siamo portati ad intendere l’evoluzione come un “miglioramento” della specie o un aumento di complessità degli organismi; ciò che in realtà mutazione e selezione producono è adattamento all’ambiente e può portare in determinati casi anche alla perdita di caratteri e di complessità: per esempio organismi che si adattano a vivere in luoghi bui spesso presentano una riduzione della capacità visiva (che può essere però legata alla evoluzioni di altri sensi, come l’ecolocalizzazione) e gli organismi che si sono adattati a uno stile di vita parassitario presentano spesso mutazioni ancora più varie, legate all’ambiente estremamente particolare in cui vivono.

Infine c’è da notare che l’evoluzione non è un meccanismo finalistico, che spinge gli organismi verso un fine ultimo: le giraffe non hanno evoluto un collo più lungo allo scopo di mangiare le foglie più alte e i maschi di pavone non hanno evoluto code più appariscenti allo scopo di sedurre le femmine, ma le giraffe che avevano casualmente il collo più lungo erano avvantaggiate rispetto a quelle con il collo più corto e i pavoni con la coda più appariscente si trovavano ad essere scelti dalle femmine più spesso; questi caratteri si sono consolidati nella popolazione e adesso tutte le giraffe hanno il collo lungo e tutti i pavoni hanno una coda appariscente.

Nell’esagramma, l’I King ci parla del «progresso infinito ogni giorno» e dice che «tutto si accresce senza restrizioni», ma noi siamo costretti a notare che, almeno nel mondo delle scienze naturali, c’è sempre un limite e l’accrescimento non è mai infinito: dopotutto non vediamo giraffe con il collo lungo cento metri. Per l’oracolo c’è un’unica forza che ci sospinge verso «un luogo in cui andare» ma nel nostro mondo ci sono numerose forze che spingono in diverse direzioni e i posti dove andare sono molteplici: nel caso dei pavoni di prima, anche se è sicuramente vero che una coda molta lunga attrae le femmine, presenta anche un grosso impedimento al volo e rende molto più difficile sfuggire ai predatori. Le forze che agiscono sui maschi sono quindi almeno due, una che spinge verso una coda più lunga, una che spinge verso una coda più corta; la lunghezza della coda che osserviamo dipende quindi dalla risultante di queste forze, che trovano naturalmente un equilibrio. Ma se le condizioni ambientali dovessero cambiare, se per esempio sparissero i predatori, osserveremmo probabilmente che, nel corso di alcune generazioni, la lunghezza media della coda dei pavoni aumenterebbe.

Ci si potrebbe allora chiedere, se i cambiamenti sono così lenti e costanti, senza grandi balzi e differenze improvvise, come è che classifichiamo gli organismi in contenitori chiusi e univoci come le specie? Naturalmente questi cambiamenti avvengono all’interno di una popolazione, i cui membri hanno la possibilità di riprodursi e le varie mutazioni casuali possono emergere o venire eliminate. Cosa succede però se per un qualsiasi motivo questa popolazione viene divisa da un qualche evento e le due parti non hanno possibilità di comunicare e soprattutto di riprodursi tra una popolazione e l’altra? Le mutazioni continuano ad apparire casualmente indipendentemente nelle due popolazioni, che ora si trovano a vivere in condizioni ambientali leggermente diverse l’una dall’altra. Se passa abbastanza tempo è possibile che queste due popolazioni accumulino abbastanza differenze da non essere più in grado di riprodursi con l’altra popolazione. In questo modo da una sola specie se ne sono create due, indirizzate verso due destini molto diversi. Questa differenziazione può non dipendere da una separazione geografica (speciazione allopatrica) ma da una separazione delle nicchie ecologiche (speciazione peripatrica e parapatrica) o perfino all’interno della stessa popolazione se la mutazione insorta fa sì che gli organismi portatori della mutazione si riproducano prevalentemente fra loro (speciazione simpatrica).

Gli organismi che vediamo sono solo il risultato finale di un processo di cambiamento continuo, in cui è difficile trovare delle tappe precise; se pensate alla vostra vita non credo che possiate indicare un momento in cui siete passati da essere bambini ad adolescenti, da adolescenti ad adulti e così via. Il modo più facile di comprendere l’evoluzione è, a mio parere, immaginarla come un fiume che scende verso valle: il fiume si muove seguendo le vie di minore resistenza, privilegiando i percorsi più adatti, senza uno “scopo” ma con delle cause ben precise, e si divide in diversi corsi d’acqua che, pur derivando dal medesimo fiume, scelgono direzioni diverse e lentamente assumono caratteristiche e identità proprie. Seguendo il fiume dalla sorgente alla foce si vede il corso d’acqua mutare, passando da un fresco torrente di montagna a un placido fiume di pianura, ma non possiamo indicare il punto preciso in cui il torrente si trasforma in fiume, il cambiamento è lento e graduale. Il nostro è però uno di quei fiumi pieni di curve e di meandri, di braccia che si separano dal corso principale e che ci si rituffano, ricco di deviazioni e di vicoli ciechi. Per questo lo studio dell’evoluzione è una scienza particolarmente complessa, perché cerca di ricostruire qualcosa che è passato osservandone gli effetti sul presente, e a volte ci si sente detective che cercano di mettere insieme gli indizi che arrivano da fonti diverse; i paleontologi che studiano le differenze nelle ossa, i genetisti che le studiano nel DNA, per non parlare di filogenetisti, cladisti, tassonomi e modellisti.

Un’ultima nota doverosa, l’evoluzione è una teoria complessa, soggetta sicuramente a innumerevoli critiche e che è andata incontro a numerose correzioni e revisioni dalla prima stesura di Darwin nel 1859, ed è tutt’altro che definitiva e perfetta; ci sono ancora numerosi punti oscuri e problematiche da affrontare ed è in continua mutazione. Tuttavia, l’evoluzione è dimostrabile e in quanto tale, secondo il processo scientifico, vera; molte persone tuttora ne contestano la verità, con argomentazione sia scientifiche che pseudoscientifiche che ideologiche; se qualcuno ne dimostrasse la falsità sarebbe un ottimo candidato al Nobel (ahimè non è vero, non esiste il Nobel per la biologia). Fino a quel momento, per quanto spiacevole sia, siamo costretti ad ammettere che c’è una lunga catena di scimmie che si danno al sesso nel passato di ciascuno di noi.

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Immagine semplificata dei rapporti evolutivi tra i principali taxa di esseri viventi.

Autore

  • Laureato in Scienze Naturali e appassionato di subacquea, è scappato sei mesi alle Maldive. Lui sostiene che stesse facendo un master, le foto con tartarughe e squali sostengono il contrario. È uno dei redattori interni della rivista e gestisce la rubrica di Biologia.

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