Il Macbeth di Verdi – Un accrescimento imposto dal fato

di Matteo Mario Cesare Costanzo

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La conquista graduale del potere con ogni mezzo che, una volta raggiunta, porta alla disperazione e al pentimento: nel Macbeth di Verdi il ruolo del personaggio shakespeariano esprime bene la parabola dell’eroe e, insieme, l’evoluzione del gruppo che esautora un re ormai impazzito.

L’accrescimento, tema di questo mese, si fonda sull’idea del cammino graduale di un personaggio verso la sua realizzazione. Tra il vasto arsenale che la musica colta propone, abbiamo scelto per questo numero di soffermarci su Macbeth, un’opera di grande fascino, che deve la sua complessa e articolata quanto avvincente trama all’omonimo dramma di Shakespeare.

La prima scena vede il protagonista, Lord Macbeth, in compagnia di Banquo sulla strada del ritorno da una battaglia contro dei rivoltosi. Appaiono tre streghe che, con il loro vaticinio, pongono il protagonista sul suo cammino verso l’accrescimento, così parlando ai due:

Salve, o Macbetto, di Glamis sire!
Salve, o Macbetto, di Caudor sire!
Salve, o Macbetto, di Scozia re!

Ed a Banquo:

Men sarai di Macbetto eppur maggiore!
Non quanto lui, ma più di lui felice!
Non re, ma di monarchi genitore!

Subito le tre donne spariscono, ed ecco giungere un messo a recare notizia dell’avverarsi della prima profezia: Duncan, re di Scozia, ha concesso a Macbeth il titolo di “sire di Cawdor”! Il protagonista, molto turbato da quanto gli accade, scrive subito alla moglie, annunciando il suo ritorno e raccontandole dell’oracolo. Entra così in scena Lady Macbeth, uno tra i personaggi più complessi e singolari che il Teatro dell’Opera possa offrire, la figura psicologicamente più complessa di tutta l’opera. Ella incarna i naturali ideali della femminilità, presentandosi all’apparenza come una creatura candida e fragile, ma nasconde una fiamma ardentissima, una sete inestinguibile di potere, un anelito potente. Così reagisce alla lettera del marito:

Tu sei Macbetto… Alla grandezza aneli,
ma sarai tu malvagio?
Pien di misfatti è il calle
della potenza, e mal per lui che il piede
dubitoso vi pone, e retrocede!
Vieni t’affretta! Accendere
ti vo’ quel freddo core!
L’audace impresa a compiere
io ti darò valore;
di Scozia a te promettono
le profetesse il trono…
Che tardi? Accetta il dono,
ascendivi a regnar.

Come spesso accade, le battute d’entrata già svelano molto della natura del personaggio. L’audace impresa cui fa riferimento la donna è quella che, di lì a poco, suggerirà al marito: Duncan si trova a cena da Macbeth e, nella notte, questi lo pugnala; la moglie sporca poi col sangue regio le guardie, onde vengano accusate di tradimento.
È molto interessante analizzare, a questo punto, le differenti reazioni dei due al contatto con il sangue del re, ingiustamente sparso per causa loro:

Macbeth: Oh! Questa mano!
Non potrebbe l’Oceano
queste mani a me lavar!
Lady Macbeth: Ve’! le mani ho lorde anch’io;
poco spruzzo e monde son.
L’opra anch’essa andrà in oblio…

Dopo Liù, che abbiamo incontrato nello scorso numero, dedicato a Turandot, designandola come la figura più forte della vicenda, l’eroina della bontà, della grazia, dell’amore, troviamo ora in Lady Macbeth l’emblema di un altro tipo di forza: la malvagità, la mancanza più assoluta di scrupoli nel percorrere l’erto cammino che porta al potere.
Poco tempo dopo Macbeth ascende al trono. Il figlio di Duncan, Malcolm, è infatti fuggito la notte dell’assassinio e per questo accusato di patricidio. Resta quindi da eliminare Banquo e la sua progenie che, secondo quanto asserito dalle streghe, dovrebbe giungere a regnare sulla Scozia. Macbeth sceglie questa volta di affidarsi ad una squadra di sicari che riesce però ad uccidere solo Banquo: suo figlio Fleanzio riesce a fuggire. Re Macbeth, perseguitato dalle apparizioni del fantasma dell’amico fatto assassinare, si reca nuovamente dalle tre streghe che evocano questa volta degli spiriti a svelare il futuro.

O Macbetto! Macbetto! Macbetto!
Da Macduff ti guarda prudente.
O Macbetto! Macbetto! Macbetto!
Esser puoi sanguinario, feroce:
nessun nato di donna ti nuoce.
Sta’ d’animo forte:
Glorioso, invincibil sarai
fin che il bosco di Birna vedrai
ravviarsi, e venir con te.

Macbeth agisce in fretta: ordina l’uccisione di Macduff e di tutta la sua famiglia. Tuttavia anche Macduff riesce a fuggire e si unisce, con i profughi della tirannia del re, all’esercito di inglesi che Malcolm è riuscito a radunare per muovere contro l’usurpatore. Tutti si trovano nei pressi del bosco di Birnam e, per meglio mimetizzarsi, ogni soldato regge una fronda davanti a sé.
Nel palazzo, intanto, Lady Macbeth è in preda ad una fatale malattia: il rimorso. Non basta più poco spruzzo per mondare le sue mani: continua a sfregarle, ma il sangue dei giusti che le macchia non le abbandona, e rivive perennemente la notte del grande delitto. La maestà lesa la perseguita.

Una macchia è qui tuttora…
Via , ti dico, o maledette!…
Una… Due… gli è questa l’ora!
Tremi tu?… non osi entrar?
Un guerrier così codardo?
Oh vergogna! … orsù t’affretta!…
Chi poteva in quel vegliardo
tanto sangue immaginar?

Lady Macbeth muore e ad un indifferente re Macbeth viene annunciato che si vede il bosco di Birnam muovere contro il palazzo: ecco l’avverarsi di quanto detto dagli spiriti! Ma il sovrano si fa ancora forte del fatto che nessun nato di donna può nuocergli, e si prepara alla battaglia…
Macduff e Macbeth si ritrovano così uno dinanzi all’altro a combattere. Il re ammonisce il suo avversario: «Fuggi! Nato di donna uccidermi non può!»

Nato non son; strappato
fui dal seno materno.

Macbeth cade così per mano di Macduff e il tutto si conclude con il ristabilirsi del naturale equilibrio delle cose.
Chiaramente l’opera non può che dirsi aderente al tema del mese, nonché all’I-King stesso. Tutta la vicenda è retta da una profezia: è nell’inseguire il compiersi di quella che il protagonista si lancia in un escalation di crudeltà ed efferati delitti, in un cammino di accrescimento del potere e, correlato a questo, della malvagità, della forza bruta, dell’indifferenza… Un accrescimento che, nel portare il protagonista al compiersi per intero del suo destino, lo svuota del suo essere una creatura umana quasi trasfigurandolo in un automa specializzato nell’annientamento. Persino quando la moglie muore Macbeth non è in grado di dire altro che «La vita… che importa?… / È il racconto d’un povero idiota; / vento e suono che nulla dinota!». Forse la riflessione del mese può essere che talvolta è meglio lasciar perdere le profezie e gli oracoli, lasciando passivamente che queste non si compiano: inseguire un detto perché lo si assume come vincolante può essere molto pericoloso, scomodare il fato porta alle volte alla distruzione… Tanto meglio per tutti che la rivista, come annunciato, esca bimestralmente!

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Bozzetto della Scena II Atto I, per la messa in scena del 1865 al Théâtre Lyrique

Autore

  • Ufficialmente il suo nome è Matteo Mario Cesare Costanzo, ma dato che sembra un patrizio d’età tardo romana, vi basterà chiedere di Oscar. Oltre a esperienze nello studio della Giurisprudenza e della filosofia, vive la passione per la musica lirica grazie all’amata zietta, ex cantante del coro della Scala, che adesso gorgheggia all’Auditorium.

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