Patrizia Cavalli e la sua Poesia universale

La limitatezza non è modesta

“Bella mia vai a dirlo a mamma tua!/ Io sono bella, ma non sono tua.”¹

In alcuni articoli si descrive la produzione poetica di Patrizia Cavalli come una forma semplice, ben organizzata e risoluta in chiave contemporanea del linguaggio lirico, che «le mie poesie non cambieranno il mondo» sia il verso/manifesto di un io lirico pigro, conscio del suo piccolo raggio di azione e modesto nell’interagire, eppure gigantesco. Se la sua grandezza è stata riconosciuta fin dagli esordi, il carattere stilistico e compatto di gran parte dei suoi elaborati scritti ha subito talvolta un incasellamento a mio avviso superfluo e miope.
Dire in chiave ironica che «le mie poesie non cambieranno il mondo» corrisponde a un punto di svolta importante nel panorama poetico italiano. Che in pochi abbiano capito la sua ironia a discapito di una posizione fin troppo consapevole e modesta sul mondo, rende il tutto ancora più indicativo del salto. È tempo di sfatare il mito per cui la modestia debba sempre essere considerata una virtù, soprattutto in ambito letterario e anche più in generale, artistico; del perché la modestia sia spesso indicata come la caratteristica per eccellenza dalla quale partire, affinché il valore di un’opera o di un’autrice possa risultare piacevole e accomodante al vaglio severo del pubblico pagante.
Mi rifiuto di pensare che la soggettività e l’attività artistica di Cavalli possano essere collegate a un anche solo lieve sminuirsi nel confronto con l’esterno; mi risulta invece chiaro quanto sia riuscita a ironizzare con un intero modo di pensare e di concepire la poesia e, insieme, la figura del poeta. Forse senza nemmeno averne la reale intenzione. Scrivo di lei come estimatrice del suo lavoro poetico e della persona che sembra emergere dai pochi filmati d’archivio che la riguardano, attingendo anche dal documentario realizzato da Francesco Piccolo e Annalena Benini, presentato in anteprima alle Giornate degli autori dell’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia (2023).² Non a caso, il titolo del film è omonimo della sua prima raccolta di poesie, pubblicata nel 1974.³

“Qualcuno mi ha detto
che certo le mie poesie
non cambieranno il mondo.
Io rispondo che certo sì
le mie poesie
non cambieranno il mondo.
Qualcuno mi ha detto
che certo le mie poesie
non cambieranno il mondo.
Io rispondo che certo sì
le mie poesie
non cambieranno il mondo.”⁴

Questo è l’affaccio dirompente e caustico di Cavalli, dopo aver ricevuto la benedizione di Elsa Morante. Sfida l’idea della funzione universale della poesia e del poeta che vorrebbero estendersi per l’eternità, lasciando intravedere che non le importi che qualcuno possa dirle che con le sue parole non cambierà il mondo, perché per lei, è evidente, i commenti non lasciano traccia, la poesia invece può farlo. Si denota una certa umiltà ‒ non la posa della modestia ‒ mista a una sorniona indolenza, ma è in questa “limitatezza” formale che viene distrutto ogni tentativo ipotetico di rimpicciolimento del pensiero visuale e critico della poeta ‒ così si definiva, poeta ‒ della sua produzione e del suo essere poeta.
Non c’è alcuna modestia nello scrivere sfacciatamente che quello che si scrive non ha alcun potere di intervento cosmico. Cavalli ha fregato quasi tutti. Se pone in evidenza il dubbio che lei possa non cambiare il mondo, sa e sente che la poesia lo fa, tramite la sua voce o quella di altri. Ma Patrizia si piace, Patrizia se ne frega e se finge di fregarsene la si coglie comunque in una elegante nonchalance lirica. Come per altri autori a cui è stata accostata ‒ Sandro Penna, Giovanni Giudici e Dario Bellezzanon può fare a meno di presentarsi con tutte le sue monomanie, le sue religioni svogliate, contrasti e ossimori ad alta saturazione.

“Non affidarti alla mia immaginazione/ non ti fidare, io non ti conservo, /non ti metto da parte per l’inverno, / io ti apro e ti mangio in un boccone. / ⁵

Ama le parole, ma solo quelle necessarie. È questo medium apparentemente freddo e poco emotivo a renderla irresistibile, nel dettaglio quanto in riprese panoramiche e periferiche. Non c’è alcuna ricerca decorativa o di ricamo dell’elemento descrittivo. Gli oggetti, i luoghi e le persone sono quello che sono, e una volta evocati iniziano a parlare per conto proprio. Si inserisce a pieno titolo in quella chiave esistenzialista, figlia del correlativo oggettivo montaliano, che non pretende più magie o emozioni negative di quanto la realtà delle cose non sia in grado di offrire. È l’esaltazione del quotidiano ‒ colto come una bruciatura o come il finale di un monologo di teatro ‒ a suggellare una sfera personale ed intima che richiama qualsiasi lettore che conosca introspezione, anche in un breve momento di ozio. La metrica è classica, la gestazione delle poesie a volte richiede mesi di correzioni.
Tutta la sua poesia scorre sul filo sottilissimo della folgorazione che deve trovare il modo di spiegarsi senza perdere il registro che la contraddistingue. Io stessa, da lettrice, mi sono ritrovata a rimuginare per giorni su alcune poesie composte da quattro/cinque versi, dopo averle lette; non per difficoltà di comprensione ma per cogliere tutti i possibili risvolti delle sue chiose aforistiche. Suona evidente anche la sua formazione da traduttrice, abituata al trasmigrare di significati in suoni e sillabe da e verso codici differenti. La complessità che può derivare da questa impostazione strutturale non nega mai la ricerca di una semplicità, attaccata nei concetti a verità carnali e maneggiabili. 

È proprio Cavalli a togliere ogni dubbio riguardo alla sua poetica quando dice:

«È proprio la limitatezza che dà valore alla comunicazione. La cornice, cioè il fatto di non voler dire tutto, per me è come dire tutto. E poi purtroppo, non so se è un mio difetto o no, se scrivo una poesia non posso pensare per chi la scrivo, la scrivo e basta. Non so se voglio veramente comunicare delle cose, sono gli altri che decidono se le cose che io scrivo gli interessano o no. Ma non posso deciderlo io, non è nelle mie intenzioni. È lo scrivere nelle mie intenzioni, non il comunicare. Comunicare è una cosa secondaria che non riguarda più me».⁶

Cavalli dice per vie indirette una cosa immensa: l’inserimento di una cornice ben fatta vuol dire far sentire e saper descrivere anche quello che ne sta fuori, con estrema chiarezza dei sensi. Non c’è nulla di limitato nell’avere una piccola cinepresa sulla spalla se si riesce a far intuire un intero piano sequenza di tutto lo spettro sensoriale. È ancora più affascinante se l’aspetto comunicativo viene lasciato agli altri, in balia del disinteresse del poeta, perché il poeta prova vero interesse solo verso quello che scrive. Chi abbiamo veramente di fronte? Non lo sappiamo. Cavalli è umorale, a volte nostalgica ma mai nei confronti di un passato storico, solo emotivo. Non nasconde mai le sue gelosie né i suoi sprizzi di titanismo. E sbeffeggia, incalza il lettore, lo mette davanti a delle verità scomode. Nei suoi reading legge le poesie come se volesse solo liberarsene, ma è solo apparenza.

Poco di me ricordo/ io che a me ho sempre pensato./ Mi scompaio come l’oggetto/ troppo a lungo guardato./ Ritornerò a dire/ La mia luminosa scomparsa.”⁷

Ora, quanti lettori pensano che sia troppo facile comporre poesie di una manciata di versi nel modo in cui Cavalli le ha scritte? E quanti lettori apprezzano e si avvicinano a qualcosa che non li consola apertamente o che addirittura sembra remargli contro nell’empatizzare con il testo? Di sicuro, in una fase iniziale, accentua la curiosità nei suoi confronti. Siamo nell’ossimoro, facilità e complessità convivono, non è una scrittura accomodante. Ma è viva, ruvida e pulsante. È questa miscela tanto organica quanto esplosiva che consacra la poeta come una delle autrici più importanti del secondo Novecento europeo. Senza volerlo essere, si rivela portatrice di una poesia di chiara intuizione e di linguaggio concreto, senza retrocedere sulla metrica e sul contenuto. Quindi, suo malgrado, una vera comunicatrice.

Se la poesia non è ancora di larga fruizione lo si deve anche a delle impostazioni culturali retoriche che nulla hanno avuto a che fare con la realtà degli ultimi cinquant’anni. Cavalli è un esempio completo di anti-retorica. Di certo l’accelerazione spasmodica e la presenza sempre più onnipresente dei media tecnologici ‒ e del prodotto/merce ‒ hanno contribuito ad un godimento dell’oggetto poetico ancora più ristretto oltre a quello che già si presupponeva, ma non si è in malafede quando si scrive che la poesia di Cavalli funziona perché ideale per il formato social? Riusciamo a conferire una forma di serietà che punti alla causa, al fine e non al mezzo? Proviamo a non guardare il dito e a fissare la luna: la capacità di sintesi è congeniale alla rapidità di lettura che dedichiamo allo scroll, al livello di attenzione per come lo conosciamo oggi. Ma la verità è che queste poesie esisteranno e comunicheranno qualcosa di grande anche quando leggeremo le frasi nell’aria, senza il bisogno di nessuno schermo; proprio come Patrizia riceveva le parole, in quel fenomeno da lei definito come “le visioni della lingua”, camminando per strada, mentre i versi le apparivano già costruiti davanti agli occhi. Poi, a freddo, ripenseremo a quelle poche parole ordinate con così tanta nettezza e cura, lette in qualche battito di ciglia, e ne saremo ancora soggiogati. I visionari fanno questo: interpretano il presente con gli strumenti che hanno a disposizione e seducono anche il futuro più lontano.

La nostra società purtroppo attribuisce ancora un titolo sperimentale a tutto quello che non risulta organicamente collegato alla “grande poesia” o ai “grandi poeti” della tradizione italiana, basti pensare allo sfaldamento inesorabile delle idee del Gruppo ’70 e al dimenticatoio dove soggiornano le ipotesi linguistiche di poesia concreta e visiva, che andrebbero riprese a più titolo. Anche senza cercare di introdurre autori e ambiti “di nicchia” è evidente che l’Italia nazionalpopolare concepisca la contemporaneità linguistica ‒ Cavalli compresa ‒ allo stesso modo in cui l’arte contemporanea viene ancora divisa tra “potevo farlo anche io” e “non riuscirei a farlo neanche in due vite”. È veramente deludente che la valenza della “tecnica” su ampio raggio si riduca ad un aspetto morale e decadente, dove ci si può inchinare solo davanti a quello che si ritiene impossibile replicare noi stessi.
In tutto questo si mostra ancora l’idea della “modestia” imperante che rimette tutti al proprio posto. Ma questa è un’altra storia. Intanto, per fortuna, anche le poesie di Patrizia Cavalli iniziano a fioccare sui libri di testo scolastici. La speranza dell’affermazione di un nuovo linguaggio poetico è in mano alle nuove generazioni di appassionati di poesia. Se è facilissimo trovare la poesia in una parola come Rimembri ‒ e sempre varrà come tentativo lirico per quanto abusato dai modesti provate a chiedervi: «In quanti saprebbero racchiudere in pochi versi un universo così armonico e fiero al pari di Patrizia Cavalli?».

“Per questo sono nata, per scendere
da una macchina dopo una corsa
in una strada qualunque e trafficata
e guidata dagli angeli piegarmi
attraverso il finestrino
sopra quei capelli e in silenzio
sentire l’odore di quel viso
dove prima avevo visto
come la bocca e gli occhi
si passavano un sorriso che non si apriva mai
e correndo veloce scompariva
in un attimo e tornava.⁸

Nata nel 1947 a Todi, Cavalli esordisce con Le mie poesie non cambieranno il mondo nel 1974, cui seguono Il cielo (1981), L’io singolare proprio mio/Poesie (1992) fino a Sempre aperto teatro (1999), Pigre divinità e pigra sorte (2006), Datura (2013), Vita Meravigliosa, 2020, la raccolta omnia Poesie (1974/2020) e un unico libro di prose Con passi giapponesi (2020) finalista al premio Campiello. Patrizia Cavalli muore nel giorno del solstizio d’estate del 2022.

di Sara Cerati

Note

1. Patrizia Cavalli, “Poesie (1974/1992)” Einaudi, 1992

2. Annalena Benini e Francesco Piccolo, “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, Fandango, 2023

3. Patrizia Cavalli “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, Einaudi, 1974

4. Patrizia Cavalli, “Poesie (1974/1992)”, Einaudi, 1992

5. Ivi, Einaudi, 1992

6. Annalena Benini e Francesco Piccolo, “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, Fandango, 2023

7. Patrizia Cavalli, “Poesie (1974/1992)”, Einaudi, 1992

8. Ivi., Einaudi, 1992

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