Hala Mohammad, una farfalla siriana

La Siria è a una svolta epocale: dopo cinquant’anni di dittatura degli Assad, è di pochi mesi fa l’ingresso a Damasco dei jihadisti islamici ribelli e della fuga di Bashar al Assad, finora sempre sostenuto da Iran e Russia. Il mondo intero s’interroga su come evolveranno gli avvenimenti storici, che si susseguono sotto i nostri occhi. Per questo sono rimasta colpita, sfogliando una vecchia rivista, Poesia, del grande editore Crocetti, del 2019, dalla personalità poetica ma anche e soprattutto umana della poetessa e regista siriana Hala Mohammad.

Hala è una dei cinque milioni di siriani che dal 2011 hanno lasciato la Siria, martoriata dalla sanguinosa guerra civile, costata la vita a milioni di siriani. Un massacro silenziato dalla stampa ufficiale dei paesi più ricchi, che intrattenevano ottimi rapporti con Bashar Al Assad, convinti che potesse tenere sotto controllo il terrorismo islamico. La storia è un susseguirsi di eventi, dove mascherati burattinai e miseri burattini opprimono e raggirano le masse; per questo facciamo parlare la poesia, leggiamo la poesia, che è essenza d’umanità, per capire il senso della vita.

Il sorriso
che ignorava la strada del mio viso
in giorni felici
come vento silenzioso
come pietra tombale
mi schiude la bocca
nel dolore.

Con quale potenza ci investono questi versi, o meglio versicoli, schizzi di parole che ci catapultano senza filtri dentro l’emozione di chi, schiacciato sotto una spessa coltre di oppressione dittatoriale, istauratasi in Siria negli anni Settanta del secolo scorso, ricorda un tempo sereno che schiude il viso al sorriso. Quel ricordo è la forza che la dittatura non abbatte. Quel sorriso, che ha il sibilo del vento insidioso e la forza tonante della pietra tombale, schiude la bocca, per dare aria all’angoscia, speranza alla vita anche nel dolore più assoluto. È “Il sorriso“ una quartina sonante, seguita dall’endecasillabo “che ignorava la strada del mio viso“, che mi ricorda quello stampato sul volto dei nostri partigiani, in quelle foto in bianco e nero sbiadite dal tempo, che dovremmo guardare più spesso, per trovare quel coraggio che ci hanno necrotizzato con hamburger e patatine.

Hala Mohammad è nata a Lattakia nel 1959, dove ha vissuto l’infanzia e la giovinezza, poi si è trasferita a Damasco, dove ha studiato cinematografia presso l’università francese Vincentes Saint Denis. Si è distinta come regista di documentari e cortometraggi, in particolar modo uno di denuncia dei crimini commessi dalla dittatura di Bashar al Assad nella prigione di Tadmor. Figura scomoda al potere ha subito persecuzioni e per questo nel 2012, insieme a tanti altri artisti siriani, è emigrata.

La barca della luce
nel mare del tappeto rosso
si appaga.
Sulla riva
scrivo poesia
e imploro
l’umido.

Hala Mohammad (credits: worldzine.fr)

Attraverso lo strumento della parola e della poesia noi entriamo nell’anima e conosciamo in profondità la condizione e la formazione del poeta e del mondo che la circonda. La poesia d’inizio e questa qui, fatta di versicoli così asciutti ma pieni di colore, appartengono alla raccolta Un poco di vita, del 2001. Sono liriche giovanili, nelle quali l’autrice oggi non si riconosce più, come fossero state scritte da altri, talmente il peso degli eventi storici, i massacri, la barbarie che sembrano non avere fine, hanno cambiato per sempre la sua vita e quella dei siriani.

Nei versi della poesia successiva, che invito a leggere con tutti i sensi, soprattutto l’olfatto, visto che si parla di basilico, l’aria è cambiata, il tempo si è rarefatto e la speranza di un cambiamento è frantumata.

Non c’è tempo per il basilico
tombe
come fuggenti.
Non è morte questa morte.
I corpi roventi
ridenti
torridi
liberi
come viventi
come non morti.

La morte entra prepotente con il suo odore acre e pungente a investire l’allegro verde odoroso del basilico. La morte però non fa morire i corpi, che ridono liberi “come non morti“. È la forza dell’idea che non muore, è la tenacia di chi crede nella vita come “disperata vitalità“, per scomodare Pasolini, verde e odorosa come il basilico, quella che si lancia in avanti e resiste.

Il tiranno
annienta la morte tomba per tomba
fino a esaurimento
perché non resti
possibilità di tomba per lui.

“Il tiranno” da solo è una quartina, riveste uno spazio fisico che lo rende superiore anche nei versi. Il dittatore è tanto forte che la morte la annienta, ingolfando le tombe di cadaveri di chiunque si ribelli, sperando così di esorcizzare la sua fine. L’uso sapiente della parola, ci restituisce pulita la sensazione di cosa sia un “tiranno “, una “dittatura“. L’oppressore soffoca ogni lirica, ogni bellezza, ogni musica, non resta che un’immagine, scattata in fretta, quasi una saetta per il lettore.

A petto nudo
cadono i quaderni
le lezioni di scrittura e lettura
i pezzi di pane fresco
e i formaggini a triangolo.
I portamine
i genitori aiutano ad appuntarli
in casa
a ordinarli nello zaino di scuola
dalle mine
distrutta.

[…]

Il combattente analfabeta
insegna al figlio adorato
a colorare
di rosso
l’album da disegno:
la strada.

Un’elaborazione poetica della guerra civile sanguinosa del 2011, che ha seminato morte e odio, che ha distrutto scuole, case, lasciando dietro di sé campi pieni di mine, che continueranno a uccidere per molti anni ancora. Una guerra che soffocata dalla violenza del regime, non fa altro che diffondere la radicalizzazione islamica tra la popolazione analfabeta e povera.

Ebbero
i fili dei panni le tende
panni colorati
a occhi chiusi sotto il disco solare come colombi
e nell’ombra
trama per trama
sgocciola la storia
che le farfalle vestono
di colori
a scongiurare il morso della solitudine
e dell’oscurità.

Queste poesie sono tratte dalla raccolta del 2013 dal titolo Dice Una Farfalla, e sono le prime liriche pubblicate dopo l’esilio in Francia. Tornano a svolazzare le farfalle, i colori dei panni stesi e delle tende, i ricordi prepotenti di una terra lontana ma vicina nel cuore che è appeso a quel filo teso. E poi c’è l’amore per la scrittura, per quello sgocciolare d’inchiostro, che si consegna alla storia e alla memoria e che nella disperazione è l’unica ancora di salvezza per non sprofondare nel “morso della solitudine“.

Le farfalle
emigrate con le famiglie
sui fagotti dei vestiti
sugli abiti a fiori delle figlie
nelle tasche delle nonne
nella supplica delle mamme
al confine
svestono i colori
entrano in esilio:
foto ricordo
in bianco e nero.
Le pareti
frugano nelle tasche della casa cercando
una finestra.

Prestami la finestra, straniero è una raccolta pubblicata nel 2017; il verso di queste liriche sembra allargarsi, le parole si moltiplicano e sono meno avare ma non per questo meno pungenti.

Credits: repubblica.it

L’amore per la sua terra e per il suo popolo nella lontananza si fanno più acuti e dolorosi. La condizione di straniero, vissuta come l’essere senza corpo, senza anima, alla continua affannosa ricerca di aria, che per metonimia è rappresentata dalla necessità di una finestra.

Prestami la finestra, straniero

Prestami la finestra, straniero,
prestami questo momento
ti prego
prestami il momento del tramonto
[…]
che si affaccia sulla Siria.

Ci salutiamo con questa poesia bellissima, politica e al tempo stesso lirica. Lo spirito indomito di chi crede nei valori fondanti della libertà di pensiero e di cultura emerge prepotente da questi versi, che si presentano con immagini quasi serene che, di rigo in rigo, si distruggono come le case “distrutte dai tiranni“, cui sono rimaste solo le finestre, dietro le quali sono sparite le ombre.

I siriani amano stare seduti alla finestra

I siriani amano stare seduti alla finestra,
i siriani amano stare seduti al parco
davanti a case con le finestre affacciate sul parco
all’ombra di case lontane in riva ai laghi
i siriani amano case con finestre sincere
affacciate sui balconi
e balconi affacciati sulle case dei vicini
le case dei vicini con le finestre grandi
i siriani amano scorgere gente che si muove dietro le finestre
dietro le tende trasparenti
amano case luminose
i siriani sono esperti di finestra
e della sua attesa bruciante
le loro case le hanno distrutte i tiranni e sui vecchi portali di ferro
sono ancora incisi messaggi:
siamo passati e non vi abbiamo trovato, ma la finestra
era aperta

Le poesie sono tratte da un articolo di una rivista di Crocetti Editore, Poesia n. 354 del Dicembre 2019, a cura di Elena Chiti, che ha tradotto in modo esemplare questa poeta siriana e che ringraziamo, per la sua opera meritevole.

Per chi volesse approfondire alcuni link utili:

Hala Mohammad Rondini, su I sensi della poesia 26 gennaio 2016;
Siria, Poesia della resistenza, su I sensi della poesia, 11 febbraio 2015;
Mario Biancato, La Siria promessa di Hala Kodmani, su LetteratitudineNews, 15 aprile 2021;

Autore

  • Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.

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