Le dimensioni non contano…

Animali di dimensioni modeste e il loro modo di destreggiarsi nell’ambiente

Visto che questo esagramma ha creato non pochi grattacapi per la mia rubrica, dato che di modestia e umiltà in ambito naturale ce ne sono ben poche, vi racconto di dimensioni modeste in natura e del fatto che non debbano per forza rappresentare uno svantaggio.


L’evoluzione spesso descrive un trend che tende in realtà ad evolvere verso forme di vita via via più complesse e più grandi. Ad esempio, nel Carbonifero le quantità molto elevate di ossigeno nell’atmosfera permettevano l’aumento di dimensioni di molte specie, lì si potevano trovare millepiedi lunghi 2,6-2,9 metri: un incubo.


Essere di taglia grande porta poi a vari vantaggi: sicuramente la difesa contro predatori, ma anche la difesa contro il freddo. La stazza permette di avere una minore dispersione termica e di conseguenza di mantenere costante la propria temperatura interna e sempre attivo il metabolismo.


Ma inevitabilmente adesso come anche nel Devoniano si sono sviluppati rami evolutivi con diverse specie anche di ridotte dimensioni, come alcuni anfibi.

Esiste una specie di rane di piccola dimensione che viene utilizzata dalle popolazioni indigene come arma velenosa, sono le Dendrobatidae, o rane freccia. Le loro dimensioni si aggirano tra i 3 e 4,5 cm, hanno una pigmentazione scura, fatta eccezione per delle macchie bianche/gialle intense.

È un anfibio territoriale, timido e delicato che purtroppo ha avuto una contrazione demografica a causa della distruzione di parte del suo habitat a scopi agricoli. Ha una prima fase larvale come girino acquatico, poi in seguito alla metamorfosi sviluppa i polmoni. I dendrobatidi, al contrario di moltissime rane, depongono poche uova, alle quali dedicano cure parentali.


Il loro habitat naturale è la foresta pluviale del Sud e Centro America, dove il tasso di umidità è costante all’80% e permette quindi loro di vivere, nel caso in cui la percentuale di umidità scenda queste rane morirebbero immediatamente.


La famiglia delle Dendrobatidae comprende centinaia di specie, ma quelle più studiate e allevate sono appartenenti a otto generi: Dendrobates, Epipedobates, Minyobates e Phyllobates le più importanti, poi Allobates, Aromobates, Colosthetus e Mannophryne.

La caratteristica peculiare di queste ranette modeste e schive è che inspiegabilmente producono tossine sul loro dorso. Sono stati fatti numerosi studi per capire come fosse possibile che le rane producessero delle tossine, sono stati infatti analizzati circa 500 alcaloidi nella pelle delle rane appartenenti alle Dendrobatidae.

Pare che le tossine vengano però direttamente immagazzinate nelle ghiandole epidermiche in seguito all’ingestione di alcuni tipi di artropodi che contengono quegli alcaloidi.

Le ricerche iniziarono negli anni Sessanta e furono condotte dal dottor B. Wikton e poi continuate dal dottor J.W. Daly; inizialmente la prima tossina isolata fu la batracotossina nella specie Phyllobates blicolor e aurotaenia, poi man mano si distinsero le classi degli alcaloidi dei dendrobatidi. Sono state classificate 22 classi strutturali delle molecole, che dipendono dalla posizione dell’atomo di azoto, dagli anelli e dalla presenza e il numero di gruppi ossidrile, metile o catene laterali.

Cinque di queste 22 sono considerate le classi principali e sono: batracotossine, pumiliotossine, istrionicotossine, indolizidine e decaidroquinoline; quelle più tossiche sono le batracotossine e le pumiliotossine, entrambe presenti nelle specie Phyllobates ed entrambe in grado di provocare la morte dell’organismo in dosi sufficienti.


Inizialmente si pensava appunto che fossero le rane stesse in grado di sintetizzare le tossine mortali, furono scoperte delle ghiandole granulari e quindi l’immediata associazione fu che erano responsabili di contenere gli enzimi necessari alla sintesi degli alcaloidi tossici.

Il problema, che iniziò a creare dubbi, fu che tutte le specie nate in cattività non sviluppavano più la caratteristica tossica ma rimanevano delle piccole rane innocue, mentre, quelle catturate, anche dopo lunghi periodi di cattività non perdevano comunque la loro capacità velenosa.

Il dottor Daly prese in esame degli individui di Dendrobates auratus nelle zone di Panama e Costa Rica, identificando diversi composti chimici di tossicità; prese poi una popolazione delle Hawaii e trovò ancora una divergenza negli alcaloidi. Negli animali nati e allevati in cattività invece, ancora una volta, si fallì nel cercare componenti tossiche.


Per questo dagli anni Novanta la ricerca virò su altre ipotesi, che fosse la dieta a provocare la tossicità delle rane. Gli esemplari vennero nutriti quindi con Drosophile spolverate di alcaloidi, quest’ultimi venivano poi rinvenuti nelle ghiandole epidermiche delle rane.

Formiche, coleotteri e millepiedi sembrano essere l’origine della presenza delle decaidroquinoline, di alcune izidine, coccinelline e spiropirrolizidina od ossime ritrovate poi nella pelle delle rane; gli alcaloidi sopra indicati però sono appartenenti ai gruppi minori, quelli più importanti non sono stati riscontrati in nessuno degli insetti di cui si alimentavano.


Per questo Daly suppose che le rane assumessero dei precursori e provvedessero da sé all’ulteriore sintesi delle tossine. Non solo sarebbero quindi in grado di essere immuni alle tossine trasmesse dagli insetti di cui si cibano, ma anche di sintetizzarle ulteriormente in altri alcaloidi più tossici e letali.


In seguito a questi studi è stato scoperto anche un composto, l’epibatidina, che sembra possedere proprietà analgesiche molto più forti della morfina; è stata estratta dalla specie di rana Epipedobates anthonyi.

Costituisce un’utile scoperta perché, a differenza della morfina, lavora sui recettori nicotinici centrali, mentre la morfina è un agonista oppioide. Purtroppo, però l’epibatidina così com’è può creare effetti indesiderati, quindi, non potrà essere usata direttamente, ma sarà studiata come composto campione per tutti quei pazienti che hanno reazioni avverse agli oppioidi e quindi non possono tollerare la morfina.


Composti come questi se già si trovano in natura facilitano molto di più gli studi farmacologici piuttosto che effettuare le sintesi da zero in laboratorio.

È questo il motivo per cui tanti di quegli animali che noi riteniamo modesti e poco incisivi (non solo le rane freccia ma anche scorpioni e molti altri insetti) producono tossine più o meno letali che non sono da sottovalutare, sia per la pericolosità sia per la loro utilità scientifica.

Bibliografia

  • Solís, F., Ibáñez, R., Jaramillo, C., Chaves, G., Savage, J., Köhler, G., Jungfer, K., Bolívar, W. & Bolaños, Dendrobates auratus, F. 2008.
  • Zanella F, Paoletti C., Vassallo P, Dendrobatidi, Edizioni Wild, 2006.
  • Carroll, F. Ivy. Epibatidine structure-activity relationships. Bioorganic & Medicinal Chemistry Letters, 2004.
  • Frost D.R. et al., Dendrobates Wagler, 1830, American Museum of Natural History, 2014.

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