Quantité Nègligeable

Ovvero il ristagno dell’Io nella metropoli



“Stacco dall’ultima call e ci vediamo alle 19.00 per un aperitivo, una cosa veloce però perché alle 19.45 ho una cena sociale al volo che poi vado all’evento di…” e poi concerti, teatri, Design Week, Book City, Piano City, et al.

Milano oggi con la sua vita metropolitana è un sistema che ci porta verso un sovraccarico sensoriale, con un’abbondanza straripante di stimoli che rappresenta la libertà di avere tutto ma che nel concreto porta solo verso un’iperstimolazione che ci ammala. E così eccoli: troppi stimoli, poche emozioni, l’atteggiamento blasé che appiattisce la realtà emotiva e la necessità di “sentire qualcosa”.

Così l’umano metropolitano diventa sempre più una quantité nègligeable, scriveva Simmel, un granello di sabbia, e quell’umano siamo noi.




Vita nervosa – Una questione di stimoli

«La città fa fare incubi» scrive Matilde Tarchetti in un articolo sulla Tigre di Carta online, affermando come in questa si crei «un circolo vizioso composto da bisogni alterati e necessità poco ascoltate, di trascuratezza e illusorietà». Più di un secolo fa, invece, Georg Simmel rifletteva su come la metropoli fosse il luogo della massima intellettualizzazione dell’uomo, dell’oggettificazione della libertà e che allo stesso tempo si ergesse su un concetto di «intensificazione della vita nervosa». In ogni caso il risultato è lo stesso, chiaro e semplice: la realtà metropolitana ci sommerge di possibilità e di stimoli, ci fornisce la libertà di aderire a tutti gli strumenti possibili ma il risultato finale è quello di un appiattimento emotivo. La quantità smoderata di piaceri a cui avere accesso rende blasé l’emotività umana perché sollecita con costanti, forti e numerose interazioni la nostra percezione emotiva, così che alla fine questa smette di reagire. Non è una malattia bensì una difesa, ma come tutti i meccanismi difensivi dell’uomo, biologici, psichici e sociali, alla lunga diventano essi stessi la patologia.

Per spiegare il perché e il come di questo fenomeno, che d’altra parte non ha bisogno di ulteriori presentazioni in quanto parte della vita di una gran parte dei contemporanei, il pensiero sociologico si è speso abbondantemente e in modo diretto, dall’analisi della modernità percorsa da Simmel e Bauman – benché con focus differenti – e indiretto, come nelle ipotesi di funzionamento dei gruppi sociali teorizzate da Tajfel, Moreland, Levine et al. Tuttavia, il funzionamento psichico e sociale aderisce anche a esempi concreti, alcuni dei quali forniti dalla stessa biologia.
Mi piace portare un esempio dalla fisiologia umana. Questa emotività blasé, di fatto, non opera in maniera differente dal funzionamento dei neuroni afferenti (o sensoriali) che portano gli impulsi nervosi dai recettori sensoriali che si trovano in periferia verso il sistema nervoso centrale. Senza addentrarci troppo nei particolari bioelettrici, è sufficiente dire che ogni neurone afferente è dotato di un potenziale di membrana a riposo, pari a -70mV. Se la cellula riceve uno stimolo depolarizzante (entrata di cariche positive all’interno della cellula) sufficientemente elevato da spostare il potenziale di membrana fino a raggiungere un certo “potenziale soglia”, allora si verifica una depolarizzazione rapidissima che supera lo zero fino a una quasi totale inversione della polarità. Questo è l’evento che permette il passaggio dello stimolo sensoriale. Successivamente, però, si registra una ripolarizzazione altrettanto rapida che riporta il potenziale di membrana non solo fino ai livelli originali ma anche oltre causando una momentanea iperpolarizzazione. Di fatto, dopo un certo stimolo, perché si raggiunga nuovamente il potenziale soglia sarà necessario un input più forte del precedente.
Questo è il motivo, facendo un esempio concreto, per cui una volta indossato un capo d’abbigliamento il nostro senso del tatto non registra più costantemente e uniformemente la sensazione del tessuto sulla pelle, se non in determinati casi (per esempio nel crescere dell’intensità di fastidio o di dolore). Questo avviene per non sovraccaricare il nostro sistema nervoso centrale di informazioni ridondanti, permettendo quindi una spesa energetica più efficiente a livello sensoriale.

Allo stesso modo ecco che la nostra psiche, di fronte a un costante stimolo sensoriale esterno, reagisce con un appiattimento emotivo, come se la risposta di fronte a un’iperstimolazione non sia altro che un innalzamento della soglia necessaria da raggiungere perché qualcosa possa giungere veramente alla nostra attenzione.

La città fa fare incubi, sì, e vivere stanca, direbbe Claude Izzo.


Vita blasé – Una questione di libertà

Lo stimolo, da sé, non vuole nulla ma sopraggiunge per una necessità alta che è quella della libertà. Ma se «si può disporre di leggi meravigliose e rimanere persone del tutto immorali», come dice Jung, allo stesso modo si può disporre di una libertà totale e rimanere comunque prigionieri?
Secondo Freud la libertà di agire in base a esigenze, inclinazioni, impulsi e desideri propri da un lato, e i limiti imposti a beneficio della sicurezza, dall’altro, sono entrambi indispensabili a una vita soddisfacente tollerabile. Così la schiavitù non è altro che sicurezza senza libertà, mentre al contrario finiamo nel disorientamento.

Freud poi ribadirebbe che la civiltà è un compromesso: ma nel mondo contemporaneo non si tratta più di scegliere tra sicurezza e libertà, bensì tra quantità e origine di quest’ultima. Cosa succede quando, pur di avere qualsiasi possibilità, ci adeguiamo a necessità che non vengono dal sé ma dall’altro da sé, quando le nostre esigenze si perdono nella folla di stimoli e non sappiamo più riconoscere cosa è importante e cosa meno?

È forse qui che nasce la FOMO (Fear of Missing Out), la paura e ansia sociale di essere esclusi da esperienze ed eventi, di essere disconnessi. I pensieri relativi all’esclusione possono generare ansia che si traduce in un comportamento finalizzato a ridurre lo stato di ansia stesso. Nell’umano contemporaneo, questo si traduce nel controllo costante della presenza di connessione internet, nell’aggiornamento ripetuto delle pagine web, nell’uso prolungato dello smartphone e nel bisogno di partecipare a esperienze allo scopo di poter condividere la propria partecipazione agli altri. Contemporaneamente l’altro diventa qualcosa di estraneo dalla relazione ma si caratterizza per il rendimento oggettivamente calcolabile: la metropoli vive quasi esclusivamente della produzione per il mercato, dice Simmel, per cui l’abitante metropolitano si confronta con l’altro come con un fornitore o un cliente, con egoismo economico dove la moneta di scambio è la propria individualità, dispersa chissà dove nel plateau emotivo dove si immerge e ristagna.


Umano metropolitano

Quindi eccolo, l’umano metropolitano: l’anello evolutivo tra l’appiattimento emotivo e la FOMO sfrenata. Figli delle stelle, soprattutto di quelle televisive, del consumismo e delle crisi economiche, degli opinionisti a qualunque costo e delle infinite sfumature, incapace di notare differenze tra le cose, siamo come dispersi in una foresta sconosciuta in cui non siamo capaci di distinguere il colore verde di due piante: una ci uccide, l’altra ci salva. E poi ancora e ancora, leggiamo Krishnamurti ma ci fermiamo al titolo dei libri perché non c’è tempo di indagare, bisogna già andare oltre. Viva i Guru e la formazione online, viva i mi piace e le reactions, viva la libertà e viva pure Jovanotti.

Quindi come siamo sopravvissuti fin qui, viene da chiedersi a questo punto? La risposta è semplice: non siamo sopravvissuti.

di Simone Petrucci

Autore

Lascia un commento