Vite sotto superficie

I pro e i contro del ristagno idrico

Vi è mai capitato di veder degenerare molto velocemente una pianta nel vostro appartamento? La causa principale di solito è da attribuire a una errata irrigazione, di solito o troppo abbondante o troppo frequente.

Infatti, soprattutto per le piante in vaso, è più facile sopperire a una carenza d’acqua, facendo riprendere la pianta con un po’ di idratazione di emergenza, piuttosto che salvarla da un’eccessiva bagnatura.

Sicuramente questo caso non può definirsi un fenomeno globale negativo, avremo semplicemente una pianta da appartamento in meno e ci servirà a capire meglio come gestire l’irrigazione in futuro. Ma se si pensa questo processo su larga scala agricola, diventa ben diverso l’impatto che può avere.

Il ristagno e le piante

A parte le eccezioni di cui parleremo in seguito, la maggior parte delle piante che subiscono un ristagno prolungato rischiano di sviluppare degli effetti negativi, vale a dire una riduzione dell’ossigenazione radicale che, come conseguenza, può avere effetti a cascata.

Ad esempio si osserva una debolezza della pianta, che risulterà maggiormente soggetta ad attacchi parassitari che possono portare poi a marcescenza radicale, compromissione dei processi ossidativi, denitrificazione e rischio di accumulo di elementi tossici come di solfuri e solfiti e infine peggioramento della struttura con perdita dei colloidi.

Il ristagno è di tipo superficiale e meno invasivo nel lungo termine, se la velocità di infiltrazione dell’acqua nel terreno è inferiore all’intensità della pioggia che cade sul terreno stesso; a quel punto l’acqua rischia di tracimare e ristagnare in superficie.

Questa problematica può derivare appunto dall’avvento di piogge torrenziali concentrate in lassi di tempo brevissimi o dalla cattiva permeabilità del terreno. In ogni caso di solito si tratta di una situazione temporanea e non grave che va risolvendosi.

La terra e il ristagno

Nel caso del ristagno sotto-superficiale il discorso è un altro, questo avviene quando l’acqua resta entro i 50 cm dalla superficie del terreno e occlude tutti i micropori che ossigenano il terreno stesso.

Questo problema può derivare dalla presenza di una falda freatica superficiale (un problema idrogeologico) oppure può derivare da uno squilibrio della porosità del terreno (il problema in questo caso è climatico, dovuto cioè a ingente pioggia su terreni mal formati).

In entrambi i casi di ristagno bisogna rispondere con mezzi che possano far rientrare l’emergenza e quindi poi accelerare il deflusso dell’acqua.

Le baulature sul terreno agricolo, ad esempio, permettono un migliore scarico delle acque. Un’altra soluzione è la creazione di una rete di condotti che effettuino un drenaggio sotto superficiale.

L’adattamento delle piante al ristagno idrico

Le varie specie di piante danno diversa risposta e sensibilità al ristagno idrico. Le igrofite non risentono dell’accumulo idrico nel loro terreno di coltura anzi ne possono anche trarre giovamento, mentre le specie xerofite sono molto sensibili all’eccesso di acqua.

Ogni specie subisce lo stesso effetto se c’è ristagno d’acqua: man mano l’ossigeno nel terreno diminuisce provocando così una riduzione della respirazione radicale. Questo processo, se prolungato, porta a deperimento e a uno stop nella crescita, fino alla conseguenza più grave: l’asfissia radicale e la morte della pianta.

Tante piante come sistema di adattamento sviluppano delle radici superficiali o avventizie, questo da un lato permette di nuovo l’afflusso di ossigeno, ma dall’altro lato purtroppo una crescita radicale superficiale può essere dannosa e causare la riduzione di ancoraggio della pianta stessa.

Esiste poi un gruppo di piante, le specie idrofite, che per sopravvivere hanno bisogno di un’enorme quantità di acqua; queste, infatti, si sono adattate a vivere galleggianti o addirittura sommerse dall’acqua.

Per poter vivere sommerse hanno sviluppato delle caratteristiche fisiologiche differenti rispetto alla maggior parte delle altre specie.

Ad esempio la loro membrana (cuticola) superficiale è quasi inesistente, i loro stomi (si tratta di strutture a ciambella che si aprono e chiudono per permettere lo scambio gassoso tra esterno e la pianta, pensateli come il rispettivo dei nostri polmoni) sono molto meno attivi e praticamente sempre aperti, non hanno necessità di tessuti di sostegno perché è l’acqua che se ne occupa e le radici si sono specializzate per la cattura dell’ossigeno.

Le piante macrofite

Le macrofite poi possono sviluppare fisiologie differenti all’interno della stessa pianta in base alla loro zona emersa o sommersa, ad esempio le foglie emerse avranno una superficie molto ampia, con stomi attivi e cuticola ben sviluppata; mentre le foglie sommerse saranno più che altro nastriformi, con cuticola sottile e stomi inattivi.

In generale poi le macrofite si dividono in: idrofite radicanti e natanti, anfifite che possono colonizzare substrati non sommersi e hanno eterofillia fogliare, ed elofite che sono piante palustri.

Le specie macrofite hanno una fondamentale importanza per le attività degli ecosistemi umani; infatti, possono assorbire gli eccessi di azoto e fosforo presenti nelle acque, quindi fungono da agente bonificante nelle acque inquinate.

Possono anche indicare lo stato di salute di una zona o i cambiamenti ecologici, infatti, se il corpo idrico è ricco di torbidità, erbicidi e questo provoca un declino della flora di macrofite. Oppure se c’è un livello molto elevato di nutrienti, di conseguenza si osserverà un’eccessiva presenza di specie macrofite.

In questo ci forniscono un termine di paragone per valutare nell’immediato lo stato di salute di una nicchia ecologica.

Alcune ricerche confermano inoltre le proprietà terapeutiche di alcune macrofite; la Ludwigia adscendens può inibire la lipossigenasi e l’alfaglucosidasi dimostrando così di avere un’attività inibitoria più potente di alcuni farmaci che trattano il diabete di tipo 2.

Alcune specie ancora vengono utilizzate come alimento, ad esempio il riso selvatico.

La vita sotto la superficie

Per rafforzare il fatto che, anche se stagnante, l’acqua può essere ricca di vita, c’è una ricerca fatta in una miniera in Ontario, dove è stata ritrovata una piscina di acqua sotterranea a più di 2km sottoterra. È stato analizzato che il fluido risale almeno a 1,5 miliardi di anni fa ed è ricco di idrogeno, metano e diversi isotopi di gas nobili come elio, neon, argon e xenon. Questa riserva ha caratteristiche molto simili a una tasca d’acqua ritrovata in Sudafrica, la quale era ricca di attività microbica. Tutto questo studio può essere utile agli scienziati che analizzano lo sviluppo della vita in condizioni ambientali estreme, come quelle del Pianeta Rosso.

Questa ricerca rappresenta un cambiamento radicale nella nostra comprensione del volume totale della crosta terrestre ritenuta abitabile, dato che diversi ecosistemi profondi ospitano organismi chemiolitotrofi è evidente che c’è abbondanza di ossigeno nei fluidi sotterranei. Le analisi, dunque, aprirebbero le porte a future esplorazioni per identificare e studiare la rete globale di siti sotterranei ricchi di acque intrappolate.

Bibliografia:

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