Tecnocrazia: FAQ

Che cos’è la tecnocrazia? Letteralmente, «potere della tecnica». Potremmo anche dire: potere delle macchine, della tecnologia, dei tecnici.

Tecnocrazia sarebbe, quindi, ciò che accade quando al potere salgono le macchine, e/o chi le manovra. Già: ma le macchine o chi le manovra? La tecnica o i tecnici? La tecnologia o chi la sa usare, e la usa per indirizzare per una via o per un’altra le sorti dell’umanità?

Sono i tecnici a governare il mondo per mezzo delle macchine, o sono invece le macchine ad essersi in qualche modo rese autonome e ad aver preso il controllo, adoperando per i loro fini gli stessi tecnici?

Ma anzitutto: chi sono i tecnici?

Ma anzitutto: chi sono i tecnici? Gli scienziati, gli operai, o i burocrati? E quali scienziati? I grandi matematici e fisici teorici, ormai divenuti icone di massa, o i grigi e anonimi amministratori dell’applicazione delle scoperte scientifiche all’industria?

E quale industria? Farmaceutica, militare, culturale? E poi, quali operai? Specializzati o non specializzati? E specializzati in cosa? Nell’avvitare il bullone diecimila volte al giorno, come ci immaginiamo l’operaio grazie a Marx e a Chaplin, oppure in complesse mansioni cognitive e creative, o addirittura emotive e relazionali?

E quali burocrati? Chi, oggi, può essere definito burocrate, e chi operaio? Un politico è un burocrate? Oggi se lo chiedono in molti: «governo tecnico» è un’espressione sulla quale tutti vogliono dire la loro. E un ricercatore è un burocrate?

Molti ricercatori oggi si sentono tali, e se ne lamentano; le scartoffie digitali, dicono, prendono sempre più il posto della scienza, della ricerca, del pensiero. Un ricercatore è forse un «operaio cognitivo»? E un insegnante? E un data analyst? E un HR?

Nella nostra società neoliberale, anche gli infermieri e i poliziotti si sentono sempre più burocrati e operai. L’aspetto «tecnico», in una qualche accezione della parola, prevale sempre più nello svolgimento di innumerevoli lavori e mansioni, determina sempre più il successo lavorativo, la retribuzione economica, la distribuzione di status sociale.

Eppure, quanti di questi «tecnici» si sentono vicini alla stanza dei bottoni, capaci di influenzare almeno un po’ il corso del mondo dalla loro stanza d’ufficio o dalla loro postazione da smartworkers?

Esiste una possibilità che la tecnologia si autonomizzi dal controllo dell’uomo fino a sottometterlo?

Ma se non si tratta dei tecnici, se dunque non sono i tecnici ad aver preso il controllo, che significa che sarebbero state le macchine ad averlo preso? Forse, letteralmente, che esiste una possibilità che la tecnologia si autonomizzi dal controllo dell’uomo fino a sottometterlo?

Non sono solo gli scrittori di fantascienza a pensarlo, ma anche i transumanisti che profetizzano o perseguono l’avvento della «singolarità», o le università che investono valanghe di soldi sulla ricerca attorno al cosiddetto «rischio esistenziale».

O forse, l’autonomizzazione della tecnologia significa qualcos’altro? Significa forse che dalla rivoluzione industriale in avanti lo sviluppo tecnologico ha non soltanto conosciuto un progresso irresistibile, ma ha anche colonizzato le forme umane dell’esperienza, della percezione, della cognizione, del desiderio, dell’intrattenimento, dell’orientamento etico e valoriale, dello stare insieme?

Significa forse che, a fronte dei valori imposti dalla meccanizzazione, dall’automazione, dal progresso tecnologico, ogni resistenza viene meno, e la pluralità dei costumi e delle credenze lascia il posto ad un’omologazione sconfortante?

Significa forse che, asserviti a ciò che noi stessi abbiamo prodotto, diventiamo tutti più stupidi, insensibili, monodimensionali?

Frequently Asked Question

Tante domande. FAQ, Frequently Asked Questions, domande poste frequentemente: dai grandi critici della società industriale, senz’altro, ma anche dai suoi apologeti, almeno quelli più scaltri, che vogliono conoscere i propri nemici.

Spesso se le pongono persino meglio di loro, dei cosiddetti critici. Spesso sono proprio loro – i tecnocrati? – ad approntare preventivamente i canali editoriali e mediatici, spazi protetti e innocui, entro i quali i cosiddetti critici provano ad articolare queste domande, convincendosi di essere tali – i critici! – giocando a ruggire l’uno più forte dell’altro, ma ciascuno ben sistemato nella propria gabbia nel grande zoo della «cultura».

Frequently non significa un cazzo, se non per i tecnocrati, che infatti spesso parlano inglese, e se noi poniamo e riproponiamo tutto questo gran ventaglio di domande è perché la tecnocrazia, qualunque cosa essa sia, ci fa davvero vomitare.

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