La stasi del saṃsāra nell’iconografia tibetana
Presso il Museum of Art di Philadelphia è conservato un dipinto murale tibetano, datato tra il XIX e gli inizi del XX secolo, la Bhavacakra (in sanscrito bhava significa “nascita, divenire” e cakra può essere tradotta come “ciclo, ruota”). È un thanka, termine tibetano che indica una pittura che rappresenta un concetto buddhista, in questo caso è qui rappresento il concetto di saṃsāra.
Questo termine indica l’infinito ciclo delle esistenze le quali ristagnano in questo continuo divenire fino a che l’individuo, attraverso le buone azioni e l’abbandono di qualsiasi forma di desiderio, non raggiunge il nirvana, la condizione di coscienza dove si estingue l’illusione che esista davvero l’Io.
L’origine di questa raffigurazione, così è raccontato nel Sahasodgata Avadana, spetta a Buddha che indica di dipingerla fuori dai monasteri per insegnare alle persone una parte importante della dottrina anche quando i monaci non sono presenti per farlo di persona[1].
La ruota, simbolo ricco di significati nel buddhismo, ha una circonferenza non misurabile e «nello spazio mediano tra l’io e il non-io, essenza e natura, giacciono la processione e la recessione, il bene e il male, gioia e dolore, luce e ombra, nascita e morte, tutti i movimenti locali e gli affetti»[2].
Al centro della ruota troviamo un gallo, un maiale e un serpente: rappresentano Avidità, Illusione e Avversione ovvero le radici del Male, presenti nei nostri cuori, e sono le cause della stagnazione delle anime nel continuo vagare delle esistenze. Il gallo, simbolo di avidità, è rosso e tiene nel becco la coda di un maiale nero, simbolo dell’illusione e dell’immobilismo nella ricerca della via dell’Illuminato, a sua volta tiene tra le fauci l’estremità di un serpente verde che è personificazione dell’avversione che emerge quando non otteniamo ciò che vogliamo e viceversa. Si mordono vicendevolmente perché si influenzano e non esistono separate; sono dipinti su uno sfondo blu e questo per dimostrare che, sebbene siano potenti, non hanno sostanza reale e sono vuote, come lo sono tutti gli altri elementi della nostra esperienza.
Il primo anello dopo questo cerchio più interno è diviso in due parti, una con lo sfondo bianco e l’altra nero. Nella parte bianca si possono vedere delle persone che rappresentano la comunità buddhista, chiunque pratichi il percorso della buona condotta nella mente, nella parola e nel corpo e procedono verso l’alto dedicandosi pienamente alla pratica del Dharma. Nella parte nera dei personaggi cadono verso il basso e sono nudi, questo simboleggia la mancanza di vergogna nel fare il male e il loro disordine mostra la caratteristica del male di causare disintegrazione e confusione.
L’anello seguente è diviso in sei parti, questi sono i sei mondi dove un essere senziente si può reincarnare in base al karma, la legge di causalità per cui ogni azione delle vite precedenti influenza la vita successiva. I tre spazi in alto raffigurano, rispettivamente, a sinistra il mondo degli esseri umani (manushya), in centro il mondo degli dei (deva) e a destra quello dei semidei guerrieri (asura); questi rappresentano i “Tre Destini Benevoli” (kusálagati) nei quali si sperimentano sia grandi virtù che piacere e dolore. Gli spazi sottostanti raffigurano invece i “Tre Destini non Benevoli” (akusálagati) dove non esiste la virtù e prevalentemente si soffre; a sinistra vediamo il mondo degli animali (tiryagyoni), al centro il mondo dell’inferno (naraka) e a destra quello degli spiriti affamati (preta).
La zona dell’Orlo, l’anello più esterno, rappresenta raffigura i Dodici Anelli della Coproduzione Condizionata (pratītyasamutpāda), sono legami che incatenano l’intero universo degli esseri al rinascere e alla sofferenza. Questa catena influenza tre vite poiché sebbene il presente sia l’unico tempo reale, è stato modellato nel passato ed è nel presente che produciamo il karma che interverrà sul futuro e solo con la pratica del Dharma si può rompere questa sequenza che porta dalla nascita alla morte.
Oltre la ruota, dove c’è solo la non-esistenza dell’irrazionale, vediamo Yama, il dio che presiede gli Inferi ornato da una pelle di tigre per incutere maggior timore, sostenere la Ruota delle Esistenze; rappresenta l’Impermanenza e la sua corona mostra la sua autorità su tutti i mondi, è pronto a divorarli e sono tutti, paradisi e inferni insieme, tenuti saldamente nella presa delle sue mani artigliate.
Lo scopo di questa raffigurazione è quello di mostrare come tutto sia impermanente e che per colpa di azioni cattive che condizionano le esistenze si ristagni continuamente nel ciclo delle nascite e delle morti ma, una volta capita la loro transitorietà e seguendo la via del Dharma, si possa interrompere tutto questo.
Chiudiamo questo viaggio iconografico con i versi che, secondo la tradizione, sono stati dettati dallo stesso Buddha per accompagnare la raffigurazione della Bhavacakra:
Cominciate, lasciatevi alle spalle (il vagabondaggio),
concentratevi fermamente sull’Insegnamento del Buddha.
Come Lui ha messo in rotta Nalagiri[3],
così dovresti mettere in rotta e sconfiggere le schiere della Morte.
Chiunque in questo Dharma andrà per la sua strada
sempre vigile e si impegnerà sempre con impegno,
possa porre fine al dolore
e lasciarsi alle spalle la ruota di nascita e morte del Samsara.
di Marco Saporiti
LEGGI TUTTI I NOSTRI ARTICOLI DI ARTE
[1] La Ruota della Nascita e della Morte, di Bhikkhu Khantipalo. Access to Insight (edizione BCBS), 30 novembre 2013, http://www.accesstoinsight.org/lib/authors/khantipalo/wheel147.html .
[2] A. K. Coomaraswamy, L’albero, la ruota, il loto. Elementi di iconografia buddhista, p. 37, Bari, 2009.
[3] Nome di un elefante aizzato da Devadatta, cugino geloso di Buddha. Mandato di corsa verso l’Illuminato per ucciderlo, da questi viene calmato e il pachiderma per gratitudine si inchina ai suoi piedi.