Un bel sogno ricorrente

Dalla Società delle Nazioni alla nascita dell’ONU



Con il saggio Per la pace perpetua del 1795, Immanuel Kant toccava la vetta del repubblicanesimo costituzionalista nato in seno all’Illuminismo, progettando un ordinamento giuridico mirato al mantenimento della pace mondiale.

Nel 1864, la Prima convenzione di Ginevra, vide gli Stati Uniti e vari Paesi europei accogliere la proposta dell’imprenditore filantropo Jean Henri Dunant per la creazione della Croce Rossa. Sotto la spinta dello zar russo Nicola II e l’incoraggiamento di Theodore Roosevelt Jr., nel 1899 e nel 1907, si tennero le celebri Convenzioni dell’Aja. Nacquero così il diritto bellico moderno e la prima organizzazione intergovernativa mondiale per la risoluzione delle controversie: la tutt’ora esistente Corte permanente di arbitrato, per la cui sede il magnate scozzese Andrew Carnegie finanziò la costruzione del Palazzo della Pace. Il giurista neokantiano tedesco Walther A. Schücking definì i Paesi coinvolti in quest’ultima convenzione la Confederazione degli Stati dell’Aja, proprio per rappresentare la necessità di unire sempre più questi Stati nel quadro di un diritto internazionale davvero vincolante. Non a caso Schücking fu una delle figure di spicco del vero grande antecedente dell’ONU: la Società delle Nazioni, la cui fondazione fu un aspetto essenziale del Trattato di Versailles, il 28 giugno 1919.

Essendo priva di un proprio esercito, la SDN poteva solo fungere da crocevia diplomatico ed esercitare pressioni morali sui propri componenti per imporre loro risoluzioni e sanzioni, mirate soprattutto a frenare le corse agli armamenti. Benché la sua nascita fosse stata fortemente voluta da Woodrow Wilson, che soprattutto per questo ottenne il premio Nobel per la pace di quell’anno, la netta opposizione del Partito Repubblicano portò gli Stati Uniti a non prendervi parte. Gli statunitensi consideravano la guerra una piaga molto più euroasiatica che americana e non erano disposti ad autolimitare la propria libertà d’azione in fatto di politica estera.

Esautorata da uno dei suoi stessi padri, la SDN non poté nulla contro la corsa alle armi che seguì il primo dopoguerra e precipitò il mondo intero in un secondo e ben più terribile conflitto globale. Wilson non era veramente riuscito a evitare che la Germania incorresse in un’instabile pace punitiva e a Versailles era stato chiaro che i governi europei intendessero rimanere rigidamente imperialisti, affogando nel protezionismo la possibilità di un libero mercato globale e nell’ultranazionalismo quella di una smilitarizzazione generale.

Il timore di una guerra nel Pacifico portò a una serie di accordi che limitarono momentaneamente la costruzione di corazzate e sottomarini, nonché a un freno per l’espansionismo coloniale. Nel 1929, James T. Shotwell, professore di storia della Columbia University, convinse il ministro degli esteri francese Aristide Briand a proporre un patto con gli USA che bandisse ogni possibile guerra futura tra i due Paesi. Dopo aver ricevuto petizioni con oltre due milioni di firme, il nuovo ministro degli esteri statunitense Frank B. Kellogg si spinse a ideare un patto simile aperto a tutte le nazioni. Il 27 agosto 1928, a Parigi, quindici nazioni sottoscrissero il Patto Briand-Kellogg che le impegnava a rinunciare alla guerra come strumento di politica nazionale. Molti altri Stati lo sottoscrissero in seguito, fino a raggiungere sessantadue adesioni. Era l’anima di un pacifismo disimpegnato e utopista che cozzava completamente con l’inflessibilità dimostrata dagli Stati Uniti nell’esigere dagli Alleati la restituzione degli oltre dieci miliardi di dollari che avevano prestato loro durante il conflitto, pur sapendo che questi ultimi avrebbero cercato di derivarli tutti dalle riparazioni imposte agli sconfitti. Quando poi la SDN dimostrò di non riuscire a frenare la crescente aggressività dei militari giapponesi di stanza in Manciuria che platealmente miravano a sottomettere l’intera Cina, la catena degli insuccessi diplomatici iniziò a srotolarsi e il trionfo dei fascismi precipitò la situazione nella guerra peggiore di sempre.

Il 14 agosto 1941, la corazzata HMS Prince of Wales si trovava al largo dell’isola di Terranova e ospitava un incontro tra Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill che culminò nella firma della Carta Atlantica. Il documento impegnava i firmatari a perseguire l’autodeterminazione dei popoli, la libertà di commercio, il libero accesso alle materie prime, la collaborazione internazionale per il progresso economico-sociale, la libertà di navigazione e il disarmo. In quell’occasione, citando un passaggio del Pellegrinaggio del Cavaliere Aroldo di Lord Byron, Churchill usò l’espressione “Nazioni Unite” per descrivere la prospettiva di quell’accordo e Roosevelt la ufficializzò nella Dichiarazione delle Nazioni Unite, firmata a Washington dalle prime ventisei nazioni il primo gennaio del 1942.

Fu così che, a San Francisco, i primi cinquantuno membri delle Nazioni Unite ne elaborarono e firmarono lo Statuto che venne poi ratificato il 24 ottobre, data di nascita ufficiale dell’organizzazione. Il 19 aprile 1946, la SDN fu invece sciolta definitivamente.



Lo scopo dell’ONU andava ben oltre la pace in sé stessa, puntando invece a forgiare per l’intera umanità un futuro di benessere diffuso, basato sulla fratellanza dei popoli, la solidarietà e il progresso tecnico e sociale. Fu quindi dotata di istituti specializzati come la FAO e l’UNICEF per combattere la fame e tutelare l’infanzia di ogni essere umano. Sul finire della guerra, nel luglio del 1944, i Paesi industrializzati avevano anche stipulato il Bretton Woods Agreement che prevedeva la nascita del Fondo monetario internazionale, capace di vigilare sulla stabilità monetaria e offrire prestiti ai Paesi a rischio di collasso economico, onde evitare disastri simili a quello che aveva condannato la Repubblica di Weimar, facilitando l’ascesa dei nazisti.

L’elemento che più rese l’ONU innovativa rispetto alla SDN fu l’UN peacekeeping, ovverosia la possibilità per il suo Consiglio di sicurezza di organizzare coalizioni militari internazionali, aventi per scopo unicamente la riduzione delle violenze e dei conflitti armati. I cosiddetti caschi blu, soldati muniti di armamenti leggeri o addirittura disarmati, venivano mandati in aree ad alto tasso di conflittualità per fungere da osservatori, mediatori e moderatori. La neutralità di queste truppe doveva essere garantita dalla varierà delle loro cittadinanze e dalla garanzia che essi potessero costituire unicamente una forza di interposizione. Ebbero un peso notevole durante varie escalation legate alla guerra fredda e al tramonto del colonialismo, come la crisi di Suez del 1956. Nel 1988, il Nobel per la pace fu assegnato proprio a queste Forze internazionali e nel 1992, terminato lo scontro tra superpotenze, nacque il Dipartimento per le operazioni di pace, al fine di gestire il crescente numero e la complessità di missioni che venivano multilateralmente richieste per queste unità. Eppure, fu proprio allora che iniziarono a moltiplicarsi i loro insuccessi, i peggiori dei quali furono il genocidio del Ruanda del 1994 e il massacro di Srebrenica del 1995. Lo scarso armamento necessario a rendere credibili le intenzioni pacifiche dei caschi blu li rendeva purtroppo anche incapaci di contenere le violenze peggiori, tanto che i soldati serbi e bosniaci li ribattezzarono “puffi” e praticamente ne ignorarono la presenza. A peggiorare le cose, fu la scoperta che nei Balcani e in Cambogia i caschi blu avessero contribuito significativamente allo sfruttamento della prostituzione, anche minorile.

Ancora nei primi anni Novanta, i bambini ereditavano dai decenni precedenti un cospicuo bottino di cultura pop che dipingeva l’Organizzazione delle Nazioni Unite come il simbolo tangibile di un futuro radioso per l’umanità: il logo della Federazione in Star Trek è platealmente una variazione della famosa bandiera bianca e azzurra, ma anche la Società Internazionale di Salvataggio nel classico Disney Le avventure di Bianca e Bernie ha sede in un cavedio del Palazzo di Vetro. Quella fila di bandiere parificate in altezza e dignità, quell’ideale luogo di incontro tra culture diverse, all’insegna del rispetto reciproco, sembrava davvero un aspetto culminante della “grande storia”, una lucente lapide piantata per sempre sulla morte dei conflitti su vasta scala, nonché una condanna delle incomprensioni e degli egoismi che li avevano nutriti. Se già allora quella visione stava lentamente sfumando, oggi possiamo annoverarla tra i tanti sogni infranti del recente passato.

Al periodo della sua massima espansione, la SDN contava 57 Stati, l’ONU ne conta attualmente 193 dei 206 esistenti e pertanto quasi l’intero pianeta ne fa parte. Con il Brahimi Report del 2000, l’organizzazione ha prodotto una propria autoanalisi critica e da allora ha fatto molto per migliorarsi, proponendo anche la ristrutturazione dei caschi blu in una forza di reazione rapida, cioè in un gruppo permanente che riceva truppe e finanziamenti dai membri in carica del Consiglio di Sicurezza. Questi mutamenti sono ancora in corso e l’ONU rimane pur sempre l’apice di un lungo percorso virtuoso radicato nella storia contemporanea, incarnazione di uno dei più lunghi e prosperi periodi di pace finora vissuti perlomeno dall’Occidente. Tuttavia, bisogna ammettere che la sua vitalità sia drammaticamente limitata dallo scivolamento verso un mondo pregno di rinnovati blocchi contrapposti, un mondo nel quale credere nel valore assoluto della pace sta diventando sempre più difficile, sempre meno conveniente per i leader più corrotti e sempre più importante per ciascuno di noi.

di Ivan Ferrari

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Autore

  • Laureato in filosofia, redattore della Rivista e socio collaboratore dell'Associazione culturale La Taiga dai giorni della loro fondazione, ha interessi soprattutto storici e letterari.

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