Solidarité

Il quarto lemma del motto rivoluzionario



Nato come categoria giuridica nella Francia prerivoluzionaria, il concetto di solidarietà è da qualche anno divenuto centrale nel discorso pubblico. Alla solidarietà si sono richiamate istituzioni nazionali e internazionali, specie nei periodi di crisi e sconvolgimenti. “Solidali” vengono definiti coloro che lottano per difendere diritti e minoranze sociali. “Solidaristici” sono chiamati alcuni contratti stipulati tra le aziende a rischio fallimento.

E così, un concetto i cui confini erano già vagamente definiti, ha visto negli ultimi anni l’estensione pressoché illimitata del proprio campo semantico, diventando la chiave di lettura preferita di una molteplicità di situazioni tra loro differenti.

A rifletterci con un minimo di attenzione, il paradosso salta agli occhi: in un’epoca di sfrenato individualismo e di crisi delle forme di organizzazione e azione collettiva, la solidarietà sembra assurta a fondamento stesso del vivere consociato. E tuttavia, forse, proprio l’abuso di questo concetto dovrebbe indurci a una più attenta riflessione, a partire dalla genesi storica di questo termine.

«L’espressione francese solidarité deriva da solidario, che a sua volta proviene dalla formula giuridica obligatio in solidum o in solidum obligari, presente nel diritto romano privato: un’obbligazione tra più soggetti contraenti, detti solidari, “nella quale ogni creditore ha diritto di pretendere la prestazione per intero oppure ogni debitore ha l’obbligo di eseguire l’intera prestazione”» (Volpe 2023, p. 21).

Come accennato in incipit, il termine “solidarietà” nasce in ambito giuridico per indicare una responsabilità collettiva nel rapporto debitorio. Con questo significato è attestato ancora nel Code Civile napoleonico del 1804, la cui quarta sezione è intitolata appunto Des Obligations Solidaires. Per trovare le prime attestazioni del termine “solidarietà” nel significato ormai divenuto usuale, dobbiamo aspettare ancora qualche decennio. Solo a metà dell’Ottocento, infatti, sull’onda degli imponenti processi di industrializzazione dell’epoca, i primi teorici socialisti si appropriano della parola e le imprimono una forte torsione semantica in senso morale e politico.

Alla più antica fraternité, terzo lemma del motto rivoluzionario, il movimento operaio sente la necessità di opporre un concetto nuovo. Un concetto che non sia identificato e identificabile con la concezione liberale e borghese della società, sia pure in un periodo storico in cui la borghesia rappresentava una forza realmente progressiva e rivoluzionaria.

Già la fraternité, a ben vedere,rappresentava una metabolizzazione e un superamento di alcuni concetti più radicati nel discorso politico-morale occidentale e che risalivano alla tradizione antica e medievale.

«L’idea di fraternità è erede, da un lato, del concetto di armonia pagano-repubblicana (harmonia, concordia) e di amicizia civica (amicitia, πολιτική φιλία), e, dall’altro, delle idee di fratellanza cristiana (fraternitas) e di amore del prossimo (caritas)» (Volpe 2023, p. 22).

La fraternità invocata dai rivoluzionari francesi, di contro, è una parola d’ordine della lotta e per la lotta: contro la società dei privilegi di Antico Regime e per un mondo in cui gli esseri umani potessero riconoscersi eguali tra loro. Non a caso, appunto, alla fraternità si accompagna l’uguaglianza e la libertà.

Tuttavia la fraternità, in quanto parola d’ordine borghese, nata e rivendicata nel fuoco della lotta contro il vecchio mondo, scontava due contraddizioni insanabili. La prima di carattere immediatamente teorico, essa esprimeva il bisogno di un universalismo, a prescindere da ogni determinazione. Era l’universalismo tipico del pensiero liberale, che a partire da una irriducibile scissione tra individuo e società, concepisce quest’ultima come sommatoria di individui, monadi tra loro equivalenti e indistinte, che debbono e possono rapportarsi tra loro come eguali, almeno formalmente nella sfera della legge e del diritto. Un universalismo che più propriamente potrebbe essere definito come “generalismo”, per sottolinearne il carattere astratto, meramente formale appunto, dell’“uno uguale a uno”.

La seconda contraddizione, intimamente connessa a questa, era (ed è tutt’ora) essenzialmente pratica. L’obiettivo di costruire una società in cui viga un’uguaglianza meramente formale è possibile infatti soltanto a condizione di scindere, e mantener scissa, la sfera della società politica da quella della società civile. Quest’ultima viene così concepita come il luogo dove gli individui si trovano a relazionarsi sulla base della stipulazione di una qualche forma di contratto. Due sono le condizioni presupposte a questa relazione. In primo luogo, il diritto alla proprietà individuale, ossia all’esercizio insindacabile e assoluto della volontà individuale su qualcosa. Solo se io sono proprietario di un bene, o se lo possiedo,posso alienarlo, ossia posso entrare in una relazione contrattuale (di vendita per esempio) con un’altra persona. Ecco però che in questo modo, l’uguaglianza formale presupposta si trova a essere immediatamente negata. La difformità delle proprietà e la loro distribuzione diseguale, infatti, rende gli individui, da uguali che erano, diseguali; e la società civile, da luogo di esplicazione dell’uguaglianza formale, diviene il regno della disuguaglianza sostanziale, dove ciascuno è chiamato a una guerra perpetua con i propri consimili, una competizione sfrenata per accaparrarsi le risorse sociali, ossia per far valere il proprio diritto di proprietà.

Il movimento operaio opponeva a questo modello di società, un diverso modo di concepire le relazioni interpersonali. Non la fraternité, ma piuttosto un senso di appartenenza universale e particolare al tempo stesso. Il concetto di solidarietà serviva a esprimere questa tensione. Solidali infatti erano tra loro gli appartenenti alle classi sfruttate e subalterne. Ed erano solidali perché le loro condizioni di vita erano simili, i loro interessi erano i medesimi, i loro propositi uguali: l’emancipazione ad opera di una parte dell’umanità, quella sfruttata, dell’umanità tutta da ogni forma di asservimento e sfruttamento.

«Le condizioni economiche avevano dapprima trasformato la massa della popolazione del paese in lavoratori. La dominazione del capitale ha creato a questa massa una situazione comune, interessi comuni. Così questa massa è già una classe nei confronti del capitale, ma non ancora per se stessa. Nella lotta […] questa massa si riunisce, si costituisce in classe per se stessa. Gli interessi che essa difende diventano interessi di classe» (Marx 1986, p. 120).

Solidarietà è allora un concetto che al tempo stesso fonda la relazione con qualcuno e la non-relazione con altri: si è solidali con e contemporaneamente contro. Al pari della fraternité, la solidarietà è una parola d’ordine di lotta e trasformazione. Ma a differenza della prima, essa permette di far emergere le faglie che attraversano la società e ne determinano l’antagonismo.

Non solo. Al suo interno è contenuta una dimensione teleologica, uno scopo per cui si è solidali. Una dimensione che può includere gli interessi individuali e collettivi dei singoli soggetti tra loro solidali, ma che può anche trascenderli: non l’utile, e men che meno l’utile immediato del singolo, fonda il rapporto di solidarietà, ma il senso di appartenenza a una causa comune.

«La causa in comune definisce […] il gruppo solidale, la sua dimensione e i suoi confini ideali, presentandosi come qualcosa che non potrebbe essere realizzata dagli individui da soli» (Volpe 2023, p. 52).

La tensione teleologica immanente al rapporto solidaristico non è però meramente formale. Il rapporto solidaristico, in altre parole, non può costituirsi attorno a un fine qualsiasi, ad esempio un fine meramente egoistico e privato. Il carattere eusociale della relazione, infatti, ne determina il contenuto. La solidarietà può quindi fondare solo fini che riconoscano e valorizzino la socialità umana, che non entrino in contraddizione con questa. E che, conseguentemente, risolvano positivamente la scissione propria del pensiero liberale tra individuo e società, tra società civile e società politica.

Invertendo l’ordine dei fattori contenuti nell’affermazione di Hans-Jürgen Khral – secondo cui «l’organizzazione politica del proletariato […] implica […] un superamento del lavoro astratto, dell’isolamento degli individui, ed implica dunque forme di relazioni solidali» (Krahl 1973, p. 322) –, si potrebbe affermare che la solidarietà implica forme di organizzazione politica delle classi subalterne in grado di sovvertire lo status quo e costruire una società in cui il «libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti» (Marx Engels 1999, p. 37).

Bibliografia
A. Volpe, Solidarietà. Filosofia di un’idea sociale, Carocci, 2023
K. Marx, Miseria della filosofia, Editori Riuniti, 1986
K. Marx F. Engels, Manifesto del partito comunista, Laterza, 2005
H. J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, 1973

di Simone Coletto

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Autore

  • Laureato in Filosofia, in Scienze filosofiche e poi anche in Storia per onorare il proverbio secondo cui non ci può mai essere il due senza il tre, si occupa di politica mentre attende sia il momento di fare la rivoluzione. Nel frattempo fa anche MMA, per cui quando sarà il momento converrà essere dal suo stesso lato della barricata.

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