La musica interetnica di Jordi Savall
Jordi Savall è un musicista catalano, pioniere della musica antica e della viola da gamba, diventato celebre presso il grande pubblico anche grazie alla colonna sonora da lui curata del film Tutte le mattine del mondo (1991), ispirato alla vita del musicista Marin Marais (1656-1728). I progetti realizzati con i musicisti degli ensemble fondati con la sua collaborazione però spaziano notevolmente dalla musica medievale alle tradizioni musicali degli schiavi deportati, fino al repertorio sinfonico ottocentesco.
Di lunga data la collaborazione con la moglie, Montserrat Figueras, voce di rarissima sensibilità, deceduta poche settimane dopo l’uscita delle registrazioni del doppio cd Mare Nostrum (2011); fra queste tracce resta una testimonianza della sua inestimabile ricerca sulla vocalità delle tradizioni musicali del Mediterraneo.
I due cd includono realizzazioni di melodie della tradizione sefardita, magrebina, araba, greca, balcanica e turca, affiancati fra gli altri da musicisti palestinesi e israeliani, il tutto corredato da un ricco contributo testuale sulla storia politica e religiosa di questi popoli. Il senso originario dell’espressione “mare nostrum” derivante dallo strapotere dell’egemonia romana successiva alla vittoria nelle guerre puniche si muta qui nell’immagine solidale di simbolo dell’incontro dei popoli, con la sua storia tragica, con i suoi contrasti mai risolti, una costellazione di orizzonti in costante movimento.
Il nome dell’ensemble, Esperion XXI, richiama la denominazione antica delle sponde del Mediterraneo a ovest della Grecia, dall’Italia alla penisola iberica, con il nord dell’Africa, e il sud della Francia. Affiancano Mare Nostrum nel loro intento i progetti Orient-Occident (2006) e Orient-Occident II (2013), quest’ultimo un omaggio alla tradizione musicale siriana, una risposta dell’arte e della bellezza agli eventi della guerra civile.
L’ensemble, nella ricchezza della commistione dei timbri dell’assortimento strumentale e la ricercata ornamentazione melodica, segue la linea già percorsa con il repertorio occidentale medievale rinascimentale e barocco nei progetti dedicati, dove si trova una cura affine per l’incarnazione della materia prima, il melos, in energia sensuosa del suono in atto.
Lo stile caratteristico delle oscillazioni dell’intonazione della voce tipiche della musica araba non è estraneo, nella sostanza, a quello che avviene nella musica barocca, dove le note della melodia sono continuamente inframmezzate da note intermedie di ornamentazione, sulle quali sa liberarsi l’energia di un buon interprete: «In certi pezzi quasi ogni nota reca un abbellimento. Suonando per qualche ora sul violino nient’altro che appoggiature doppie, trilli e mordenti le dita sembrano cariche di elettricità»1
Oscillazioni che si presentano inscindibili da un sapore etnico alle nostre orecchie intimidite da un’espressività dirompente di cui non è immediatamente facile riconoscere il gusto e la misura.
Coinvolto da sempre nella riflessione riguardante l’estemporaneità nella musica, nelle interviste Savall parla deluso dell’attuale rapportarsi del mondo della musica classica con l’improvvisazione:
In questo momento nel mondo classico non c’è più creatività. Ci sono grandi interpreti, grandi compositori, ma non sanno creare, improvvisare. Prevale la routine, una certa ritualità formale. […] Per me, esiste un primo momento, che è quello della preparazione, in cui si elabora l’idea di ciò che si vuole fare, un concetto il più rigoroso possibile […] Il secondo momento, che è dove emerge questo aspetto che potremmo dire “mediterraneo”, è quello del concerto. Quando si suona è importante lasciare che sia la musica a parlare, seguire ciò che ci dice, dando libertà e spazio all’improvvisazione. […] Arriva il momento in cui è la musica a cominciare a parlarti e a dirti “qui più, qui meno” con totale naturalezza. È come nelle relazioni, d’amore o d’amicizia, se non senti ciò che ti dice l’altro non è possibile alcuna relazione. Una relazione è fatta di ascolto e reazione e così funziona il nostro rapporto con la musica.2
L’ambizione di Savall e dei suoi collaboratori non è meramente quella di ricostruire fedelmente il suono di un passato perduto, ma di dare vita a un presente della musica attraverso le forme che lo studio della storia della pratica musicale ispira attraverso la sua metabolizzazione.
Il fanatismo e l’elitarismo alzano a bandiera la Rivelazione o la purezza di forme superiori, per congelare il rassicurante legame con valori idealmente inalterabili.
Ma è propria dell’esperienza di popoli esiliati, nomadi o esploratori del possibile, la necessità di trovare un equilibrio al di fuori della perseveranza severa e stantia dei propri modelli: la virtuosa disposizione a vedere il proprio metro emotivo tradursi in evoluzioni inattendibili.
Osserva lo storico della musica Giulio Confalonieri: «Nel rinascimento marinai e commercianti fra le isole dell’oriente e i mercati difficili del sultano vedevano e facevano più cose di quanto non pensassero o immaginassero. Il loro desiderio lirico non era di liricizzare idee, ma di liricizzare fatti e visioni».3
Un canto ereditato dalle madri o dall’estasi della celebrazione resta come un filo di perle che abita la memoria: geometria senza corpo; è la vita dei popoli a dare carne al suo mistero. Viaggia senza occupare spazio, attraversa con il viaggiatore i mari e le fatiche, senza aggiungere alcun peso. Quando lo incontriamo nella voce di chi viene da lontano godiamo di orizzonti inaccessibili; e mentre ci tiene per mano possiamo essere come nati altrove: per grazia del suo incantesimo è un ricordo della culla a parlarci, e non più il pregiudizio di non poter capire.
Invitati a danzare i passi di un altro modo di celebrare, a cantare le note di un altro modo di commuoversi, a seguire il racconto di un altro viaggiare, superato l’imbarazzo e la diffidenza gli estranei si riconoscono allo stesso modo viventi, e non resisteranno in seguito dall’attingere a queste. Gli strumenti entrano spontaneamente nella vita dei popoli diversi, scambiati da una riva all’altra del mare: «Non ci sono frontiere tra la musica occidentale e quella orientale. Basta osservare gli strumenti che suoniamo in questi concerti, figli dell’immensa tradizione europea, mediorientale e asiatica che ci unisce. Il nostro liuto, l’oud arabo, il duduk armeno, il santur persiano, i tanti diversi tamburi».
Le loro sonorità tornano evocate per parodia, nella fascinazione distante, e quando da più vicino, nello studio profondo, nella scoperta dell’ispirazione fondamentale, e nelle forme che la parola poetica guida con il suo ritmo.
La musica non è una lingua universale, eppure sa raggiungerci senza bisogno di dizionari o intermediari, e tutte le stranezze sono sapori a cui ci abituiamo disponendoci a frequentarla, quando lo facciamo senza trattare le nostre aspettative come prerogative inguaribili.
I confini dei “dialetti” della musica non seguono i confini disegnati dalle guerre o dai trattati di pace e nemmeno dalle montagne dai fiumi o dai mari. È proprio la forza di contagiare chi le è estraneo, come un virus, che si innesta come un coinvolgimento innocuo, che sa farsi pervicace, e che lega più saldamente degli accordi cercati ai tavoli delle trattative.
«Nei brani di Mare Nostrum c’è un’evidente diversità, ma anche una forte omogeneità. Quando facciamo musica con i nostri amici mediterranei, stiamo così bene insieme! Dagli israeliani, dagli arabi, dagli africani, impariamo i loro modi e ritmi, assai più complessi dei nostri europei. Con la musica ci possiamo capire».
Parlando dei diversi stili musicali dell’epoca barocca, lo stile italiano, francese e tedesco – fra i più importanti – in una recente intervista Savall ricorda come la vicinanza politica dei paesi europei è storicamente preceduta da quella musicale, che da sempre ha costituito gli scambi più vivaci: la possibilità di ascoltare lo spirito di una terra straniera, di incontrare il suo stile, i suoi caratteri, è un evidente privilegio a cui l’umana curiosità e il desiderio di godere della storia dell’altro da sé non ha mai saputo resistere. E se già esiste nella millenaria influenza reciproca dei suoni della nostra musica, nonché nelle arti e nelle scienze, è giusto poter sperare di guardare a un giorno. fosse anche lontanissimo, in una solidarietà partecipata con emozione dai popoli del nostro mare, potendo pronunciare quel nostro come un plurale allargato a tutte le sue sponde.
di Alessandro Guarneri
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Note
1 H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, Mondadori, Milano 1955, p. 89.
2 Da un’intervista a Savall.
3 Giulio Confalonieri, Storia della musica. Sansoni, 1968, p.104.