Natura non malevola

L’eusocialità nel regno animale



Una tematica non poco discussa in biologia è quella dell’eusocialità, studiata dalla fine del Novecento da Edward O. Wilson, noto naturalista. Secondo Wilson le transizioni evolutive hanno portato molte specie a sviluppare una netta organizzazione sociale. Per lui le specie sociali sono quelle capaci di formare gruppi cooperativi che privilegiano spesso il vantaggio comune a scapito di quello individuale.

Secondo Wilson l’evoluzione è costituita da varie tappe: la prima dovuta all’assemblaggio delle molecole viventi che ha permesso la formazione dei primi Archea, la seconda fase che portò alla formazione di strutture più complesse come le cellule eucariote, la terza riguardante la differenziazione per sessualizzazione degli organismi, poi man mano la formazione di organismi pluricellulari sempre più complessi; infine l’ultima transizione, per Wilson, riguarda l’origine di gruppi eusociali. Questi ultimi sarebbero contraddistinti da un alto livello di cooperazione reciproca.

Lo studio di Wilson si è poi indirizzato verso lo sviluppo dell’altruismo nelle specie all’interno della selezione naturale, secondo diverse analisi la transizione da specie individualiste a specie eusociali avviene tramite dei processi che man mano promuovono l’interazione cooperativa degli individui, annullando la competitività per favorire la comunità.



Parlare però di altruismo in biologia desta non poca perplessità, poiché si tratta di comportamenti che implicano una consapevolezza di scelta. Per questo la teoria eusociale è stata criticata e messa poi da parte rispetto alla selezione naturale, in contrasto con essa.

Resta il fatto che esistono, se pur poche, specie che sviluppano nettamente un comportamento eusociale, che hanno sviluppato quindi una evoluzione indipendente su questo carattere.

Wilson lo aveva spiegato con questa teoria: utilizzando la fitness inclusiva e non quella biologica. Sosteneva infatti che la fitness inclusiva riconosce che le informazioni genetiche non devono solo essere scambiate tra generazioni per discendenza diretta, ma anche attraverso parenti di sangue. Cioè l’attitudine biologica dell’animale in questo caso non si baserebbe soltanto sulla sua riproduzione, proprio perché anche i suoi parenti condividono con lui parte del corredo genetico; quindi, anche la trasmissione dei geni non diretta darebbe comunque beneficio riproduttivo dello stesso pool genico. Seguendo questo ragionamento potrebbero esserci dei geni che codificano per il fattore altruistico biologico; questo concetto è stato poi riassunto in una semplice equazione: RxB > C, secondo cui R è la relazione genetica tra ricevente e donatrice, B è il beneficio e C é il costo riproduttivo. Questa semplice formula spiegherebbe ad esempio il comportamento di molti imenotteri, ma nella realtà non è poi così tutto riduttivamente semplice.

Come detto però ci sono in effetti delle specie che sviluppano indubbiamente caratteri eusociali, infatti l’ordine degli imenotteri, di cui fanno parte api e formiche, hanno comportamenti di cooperatività e altruismo.



Nelle colonie di Polistes versicolor vi è una netta divisione dei ruoli, le matriarche depongono le uova, costruiscono le celle per le larve; dall’altra parte le operaie nutrono le larve e cercano cibo al di fuori del nido. Esempi simili si possono fare per quanto riguarda le formiche: le operaie o le formiche soldato attuano dei veri e propri comportamenti di protezione nei confronti delle sorelle o della regina proprio perché va affidato a loro il lignaggio genetico.

Se però non consideriamo gli invertebrati e in particolare gli imenotteri il concetto di eusocialità sparisce quasi del tutto, a parte due specie di mammiferi di ratti talpa, della famiglia Bathyergidae, che fanno eccezione. Nel loro caso, la maggioranza degli individui si prende cura della prole, originata da una sola femmina. L’eterocefalo vive in colonie simili a quelle di formiche e api, costituite da 70/80 individui che abitano gallerie più o meno grandi e fino a 70 metri di lunghezza. Gli operai sono gli esemplari più piccoli e svolgono compiti ben precisi come scavare i tunnel, cercare cibo, accudire i piccoli ecc. I soldati invece devono occuparsi della difesa della colonia. Esiste solo una regina che vive circa 13-18 anni e che è l’unico individuo prolifico della colonia, e anche il più grande, fa tendenzialmente 5 figliate in un anno con in media 14 piccoli a volta.

Alla sua morte la regina viene sostituita da un’altra femmina; tutti questi comportamenti sono molto simili a quelli degli insetti sociali citati poco sopra.



L’eterocefalo glabro è una specie interessante anche per un altro fattore, è molto longevo, sembra infatti che i suoi tessuti cellulari siano più stabili e meno soggetti a quegli stress ossidativi che ne causano l’invecchiamento; infatti, può vivere anche più di 15 anni. Sembra proprio che ci sia anche una correlazione tra la cooperazione sociale e la longevità di questa specie, i loro comportamenti sono volti alla protezione della regina e della colonia. La teoria evolutiva dell’invecchiamento sostiene che quando le specie hanno una mortalità ridotta, dovuta a fattori esterni, allora viene ritardata la riproduzione e di conseguenza anche la senescenza. Tutto questo e la sua attinenza all’eusocialità porta l’eterocefalo a essere una specie molto longeva.

Sarete ormai convinti che la teoria non faccia una piega vero? In effetti è calzante, ma dal punto di vista della spiegazione biologica e matematica non funziona così bene. La teoria è stata riassunta e posta in modo davvero molto riduttivo e non rappresenta né le dinamiche evolutive effettive né tiene conto della distribuzione genetica, per poterla considerare quella corretta.



Quello che si può sicuramente dire è che l’eusocialità tra le specie animali esiste e anzi crea delle circostanze evolutive molto positive per quelle specie, ma ancora oggi non si spiega cosa possa portare quegli individui a propagare un comportamento di cooperazione simile.

Si stanno ipotizzando nuove teorie tenendo soprattutto conto della coesione e della persistenza dei gruppi eusociali, poiché proprio in questo modo gli alleli dei geni che codificano l’eusocialità probabilmente vengono trasmessi in modo più mirato alle successive generazioni.

Ci sono ancora molti punti da spiegare ma sicuramente rimarrà un tema molto studiato dalla comunità scientifica.

di Veronica Fiocchi

Bibliografia:

  • Johnson, r. M., Harpur, B. A., Dogantzis, K. A., Zayed, A., & Berenbaum, M. R., Impronta genomica dell’evoluzione dell’eusocialità nelle api: uso alimentare floreale e “fioriture” di CYPome. Insetti Sociaux. 2018.
  • Orak, M. A., Tarnita, C. E., & Wilson, E. O., L’evoluzione dell’eusocialità. Natura, 2010.
  • Malte Andersson, The Evolution of Eusociality, “Annual Review of Econlogy and Systematics”, 1984.

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