La solidarietà



Il simbolo dell’I Ching, emerso durante l’ultima presentazione della rivista, ha raccolto grande entusiasmo. Si tratta dell’esagramma n. 8, intitolato: La Solidarietà. Per il nostro gruppo rappresenta un punto importante, essendo giunti a metà del nostro cammino, alla trentaduesima edizione della Tigre di Carta su 64 esagrammi disponibili dal Libro dei Mutamenti. Ricordiamo, a chi non c’era agli albori, che la rivista nacque con l’estrazione dell’esagramma n. 7, ossia quello che precede la Solidarietà e ha come titolo: L’Esercito. Un simbolo che narra della necessità, da parte di un gruppo disorganico, di unirsi per fare fronte comune – ovviamente, abbiamo invalidato l’istanza militaresca del libro cinese.

È curioso che la differenza fra l’Esercito e la Solidarietà stia nell’unica linea intera Yang che dal secondo posto sale al quinto, invertendo di fatto gli elementi naturali: nel primo l’Acqua sta sotto la Terra, nel secondo sale sopra. Anche la nostra rivista, in effetti, è nata lanciando le monete dell’I Ching nelle cripte dell’Università Statale, cioè sottoterra. Oggi, alla luce della sede presso il teatro Corte dei Miracoli, evidentemente la fertile acqua è venuta a galla.



Il testo dell’I Ching fantastica sull’immagine dei fiumi che, scorrendo attraverso i solchi e i greti nella terra, confluiscono tutti insieme in un impeto di comunanza. Per muoverci in Oriente, pensiamo alle leggende siberiane sui fiumi Angara ed Enisej, emissari e immissari del grande lago Bajkal.

In effetti, lo scenario di una fiumana di persone che si radunano per uno scopo comune è in primo piano nella storia moderna dei Paesi asiatici. Esempio fulgido, la marcia del sale indetta da Gandhi nel 1930. Tuttavia, appunto per non confondere la solidarietà con la mobilitazione bellica, distinguiamo altri fenomeni come la lunga marcia di Mao, che ha imposto il comunismo in Cina, dal collettivo del Satyagraha che ha invece favorito in India una rivoluzione pacifica, attraverso il concetto di ahiṃsā (non-violenza), fungendo da modello per tentativi più recenti come quelli propugnati dall’attivista birmana Aung San Suu Kyi.  

Per tenere il discrimine, è utile aggiornare un po’ l’interpretazione della forma grafica del simbolo dell’esagramma. L’I Ching, infatti, fa leva soprattutto sul fatto che le cinque restanti linee Yin – cioè spezzate, deboli – abbiano bisogno di fare nucleo attorno all’unica linea Yang che, salendo al quinto posto, si trova nella sede dell’imperatore.



La posizione dei leader orientali è sempre stata certo tanto carismatica quanto controversa, da Alessandro Magno a Gengis Khan, da Akbar a Chiang Kai-shek. In questa sede, trovo perciò più interessante rilevare un dettaglio diverso che si cela nel simbolo dell’esagramma, ovvero il fatto che la sesta linea, la quale rappresenta solitamente il Cielo, è spezzata (Yin) tanto quanto le linee più basse. Si evince che l’idea di solidarietà coinvolge tanto gli strati subalterni della società, quanto i riferimenti divini e ultraterreni come riflesso di quest’ultimi.

È precetto del Corano, ad esempio, commutare l’impossibilità di seguire certi dogmi, come il Ramadan, attraverso la solidale elemosina ai poveri elargita in moschea. È tipico della fase più matura del buddhismo – come scrivevamo nell’introduzione al numero 30mettere in contatto il bodhisattva con l’intero consorzio umano, nel segno di una salvezza collettiva attraverso l’istinto della karuṇā, termine che in sanscrito sta per “compassione”. La solidarietà fa poi da sfondo alla maggior parte dei credo salvifici e millenaristi, come l’Amidismo, dove il buddha Amitābha viene riconosciuto attraverso pratiche devozionali collettive. D’altronde, il senso di legame e comunione fa effettivamente da tappeto all’idea stessa di credenza, se diamo retta all’etimologia di “religione” fornitaci da Lucrezio nel termine latino religare, che sta per “legare insieme” uomini e divinità. Esempi più iconici di questa coesione, che fa da sostrato al panorama rituale e mitologico, possono essere la rete di Indra, simbolo dell’interconnessione di tutti gli enti del cosmo, l’usanza shintoista di congiungere fra loro attraverso dei cordami gli elementi naturali, come alberi o rocce, per sottolineare il panteismo, oppure il concetto Zen di nazoraeru, traducibile dal giapponese come “agire-in-funzione-di”. Si tratta di una chiave filosofica per spiegare, di fatto, l’azione a distanza e l’interscambiabilità dei fenomeni magici. Le statuette dogū del periodo Jōmon, per dirne una, tenute legate al collo in quanto rappresentanti della persona raffigurata, attirano su di loro per simpatia sovrannaturale tutto ciò che potrebbe capitare al portatore, esattamente come nelle pratiche vudù. L’idea di solidarietà nasce perciò in quest’humus.



Vorrei concludere con una breve incursione in un ambito poco esplorato ma molto suggestivo, che è quello dei canti sciamanici coreani. Nel loro folklore, l’idea di solidarietà e fratellanza che unisce gli uomini alle divinità, i membri della famiglia fra di loro e le forze naturali in reciproca risonanza è molto ricorrente. Troviamo la figura di Samgong, divinità protettrice contro le influenze nefaste contratte nel chŏnsang, ossia il karma delle esistenze precedenti. Samgong rappresenta la terza figlia, incompresa nella sua sincera devozione al genitore, alla stregua della Cordelia del Re Lear. Oppure abbiamo Sŏngju, santo custode della vita domestica e del pater familias, il quale però a sua volta è inerme senza l’apporto solidale della sua consorte. La chiusa di una delle muga (canti tradizionali), in suo onore, recita così:

«Sŏngju è il re della casa / Il padrone di casa è il re della casa / E anche la padrona di casa è il re della casa / Per favore mantenete uniti i quattro re della casa / In modo che insieme siano indivisibili / Come le foglie mosse dal vento ma sempre salde sull’albero / Concedete, dopo che questa sciamana ha recitato / Felicità per i primi tre giorni / E lunga vita gli ultimi tre giorni / Su una montagna dei Sette Tesori / Concedete un numero infinito di covoni di grano.»

di Federico Filippo Fagotto

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Autore

  • Federico Filippo si risveglia dal sonno dogmatico nella bella facoltà di Filosofia in Statale e si riaddormenta con gli studi a Venezia. Tornato a Milano, dopo il gong della laurea in Scienze Filosofiche, inizia collaborazioni con la cattedra di Estetica e nel frattempo, in fuga dall’accademismo, ha la fortuna di radunare un gruppo di ragazzi pieni di stoffa e fondare la rivista di arte e cultura La Tigre di Carta, cui segue l’Associazione culturale La Taiga che gestisce il teatro e circolo culturale Corte dei Miracoli. Fra editoria ed eventi, gioca col violoncello il bridge e lo yoga. Tutto ciò non fa bene alla salute... meglio scrivere!

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