Gli imperi dell’elemosina

Il welfare state nell’Islam e negli stati musulmani: Zakat, Waqf e Bonyad

L’Islam si fonda su cinque pilastri importanti, gli Arkan Al Islam. Tra questi, il terzo è la Zakat, generalmente intesa come elemosina legale, o come una tassa per aiutare i più deboli. Nel pratico, è un principio secondo cui, tolti dai guadagni di ogni musulmano tutti i soldi/beni che gli servono per vivere dignitosamente la sua vita, un quarantesimo (l’importo è estremamente variabile, la letteratura lo indica tradizionalmente al 2,5%) del surplus che resta deve essere devoluto: questa è la Zakat.


Raccontandola così oggi, a molti potrebbe ricordare una sorta di 8×1000 alla Chiesa, ma non è proprio così. Anzitutto perché è una misura fondamentale e cogente, un Pilastro dell’Islam originale (622 A.D.). Ha in sé la forza di essere un dogma per tutta la Umma, per l’intera comunità dei fedeli dell’Islam (2 miliardi di persone su 8, ad oggi).

Aldilà di ciò che è nel pratico, la Zakat rappresenta un concetto cardine per l’Islam.

Essa è la giustificazione – morale e dottrinale – della ricchezza nella vita terrena per i musulmani. Spiega dunque le disuguaglianze sostanziali, e ha come corollario la concezione islamica della ricchezza. Difatti, per l’Islam la ricchezza non è un fine, ma un mezzo, un dominio in cui i fedeli possono impiegare il loro libero arbitrio, esercitare la loro capacità imprenditoriale per guadagnare e poi redistribuire parte di ciò che con la loro arguzia e fortuna riescono a generare.

Il poter accumulare ricchezze in autonomia genera infatti una responsabilità morale nei confronti del mondo per averle acquisite, ma questo diventa – grazie alla Zakat – un modo per prendersi cura del creato.

In sostanza, alla domanda “come posso aiutare gli altri della Umma, della comunità dei fedeli?”, una risposta legittima è “acquisendo ricchezza, che poi ridarai a chi ne ha più bisogno, e così la tua ricchezza sarà giusta, buona, legittima”. La genesi di questo principio – come sostanzialmente dell’intero Islam – è da ricercare nella biografia di Maometto e nella sociologia beduina dell’Arabia altomedievale: l’essere rimasto orfano in giovane età, in una società commerciale come quella dell’Arabia del VII secolo, poneva al profeta il problema di dover trovare il compromesso tra la libera iniziativa del mercante, e il dovere di questo nei confronti dei più disagiati della comunità.

Nel Corano, figurano in moltissime Sure (i capitoli del libro) le attenzioni e gli aiuti che devono essere dati ai diseredati, ai mutilati, agli orfani e alle vedove. Quindi redistribuzione: sostegno ai poveri e aiuto ai deboli. Tuttavia, questa non è lasciata dall’Islam all’iniziativa singola e volontaria, alla buona volontà o al capriccio del bravo fedele (come è nel cristianesimo). Il Corano, somigliando a una legge fondamentale, in quanto scrittura che nasce per normare la vita di una società, della Umma (lingua, politica, guerra, economia), tramite una legge, la Sharia, prevede anche una misura di Welfare State, non facoltativa, che è appunto la Zakat. Il libro garantisce questo stato sociale e lo rende un dovere da adempiere per i benestanti – un diritto di cui godere per i poveri, rimarcando come i beni terreni siano solo un ornamento di questa vita e che, dopo la morte, solo ciò che ci sarà presso Allah (ossia l’anima e la condotta passata del singolo) conteranno nell’eternità. Alla Sura 28 (il Racconto), si legge:


“Tutti i beni che vi sono stati concessi non sono che un prestito di questa vita, un ornamento per essa, mentre quello che è presso Allah è migliore e duraturo. Non comprendete dunque?”

Ora, chiarito il concetto di Zakat, resta da chiedersi cosa sia diventato questo principio nei successivi 1400 anni dalla sua istituzione. È un importo, ma a chi deve essere dato? Come lo si paga? Come si è configurato ed evoluto nei secoli? Quest’ultima domanda permette di rispondere a tutte le altre, in quanto – essendo una misura di welfare sancita dalla scrittura fondamentale – la Zakat è sempre esistita in tutte le conformazioni statuali assunte dall’Islam/popolate da musulmani nel corso dei secoli.

la Zakat è sempre esistita in tutte le conformazioni statuali assunte dall’Islam/popolate da musulmani nel corso dei secoli.

Si tenga in mente che il concetto di Umma è qualcosa che travalica confini nazionali e le culture locali, ma che per certi periodi storici ci sono state delle entità statali che cercavano di sovrapporsi alla Umma stessa per generare lo Stato dei fedeli: Il Califfato.

Non è possibile trattare qui l’intera storia dell’Islam e degli arabi, e per questo motivo si è scelto di esaminare 3 modelli, 2 passati e uno presente per vedere come la Zakat e i suoi corollari ( i beni Waqf, tra poco discussi) sono andati configurandosi con le esigenze pratiche e i contesti culturali, economici sociali e geopolitici. I primi a rendersi conto di questa complessità fiscale – sociale furono difatti i Rashidun, i quattro califfi “Ben Guidati” che guidarono la Umma subito dopo la morte del Profeta. Il periodo Rashidun è per i musulmani – a differenza dei millenaristi occidentali – un’età dell’oro che non deve ancora venire, bensì che è già venuta, c’è concretamente stata e che rappresenta l’esempio storico, tangibile e pratico di vero dispiegamento dell’Islam. Il Califfato Rashidun è IL primo stato islamico, governato da uomini che avevano conosciuto personalmente il Profeta: suoi amici e suoi parenti.


In questo soggetto statuale, ch’è l’impero arabo che possiamo individuare tra il 631 AD e il 661 AD, la Zakat era stata addirittura causa della seconda guerra civile araba.

La prima era stata tra il Profeta e i pagani meccani, dopo l’esilio Medinese noto come Egira. La seconda, combattuta da Abu Bakr, primo dei quattro Rashidun, era stata la “Guerra della Ridda”, il conflitto per imporre alle tribù di Arabia Felix e Petrea l’Islam, proprio nel modo in cui era stato rivelato dal Profeta. Sura 9. (il Pentimento):


“Se poi si pentono, eseguono l’orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore, misericordioso.”

Molte tribù, difatti, avevano accettato la Preghiera e gli altri 3 pilastri, ma rifiutavano di pagare la Zakat, risultando così come miscredenti, e non semplici evasori fiscali (proprio perché col rifiuto rendevano illeciti i loro averi). In questo trentennio, Maometto stesso aveva provveduto, prima della sua morte, a incaricare alcuni compagni della riscossione della Zakat, e come esattori itineranti costoro giravano città, oasi e villaggi e facevano defluire il raccolto verso Mecca e Medina, ove il califfo organizzava le redistribuzioni.


I capi della Umma dovevano curarsi dei membri della comunità stessa, e il complicato compito portò alla nascita di corpi intermedi che gestivano meglio fisco e welfare. Anzitutto venne istituito da Umar – il secondo califfo Rashidun – il Bayt al Mal, la Casa dei Beni/Denari; sostanzialmente il “Ministero del Tesoro” della Umma, che si occupava di aiutare i poveri impiegando la Zakat ma anche dei bottini di guerra da condividere con tutta la comunità. In secondo luogo, nasceva il concetto di Waqf, in italiano reso con “Manomorta”, per quanto limitante. Con Waqf si intendono delle proprietà (ovviamente da gestire) che i singoli fedeli hanno lasciato – per donazione o testamento – a tutti gli altri fedeli. Ad esempio, si può passare da 10.000 dirham lasciati a una moschea per pagare il cibo al Muezzin che chiama alla preghiera, fino a interi acri di campi da far coltivare ai nullatenenti affinché beneficino del raccolto.


Con l’espandersi del califfato, il problema della riscossione delle tasse si complicava, sia perché si incontravano diverse tassazioni pre-arabe, che gli arabi conquistatori cercavano di mantenere per comodità, cooptando l’elité burocratica preesistente, sia perché nasceva il distinguo tra Zakat, appunto la tassa di welfare a cui i musulmani sono tenuti, e la Jizya, la tassa che i NON musulmani devono pagare al Califfato. Una distinzione molto forte fino al IX secolo, quando l’impero arabo era divenuto un impero di musulmani, riducendo di molto i numeri di cristiani e zoroastriani, oramai convertitisi.

Impero ottomano


Dopo il Califfato Rashidun, da cui scaturirono i grandi califfati medievali Omayyadi e Abbasidi, l’entità statale musulmana più importante, protagonista della storia Moderna e Contemporanea, è l’Impero Ottomano. La Sublime Porta (1453-1917) si trovava al momento della sua costituzione e per l’eterogeneità di popoli e culture che la popolavano in un Patchwork daziario, sicché le diverse regioni avevano tassazioni differenti.

La Zakat era semplicemente una di queste e figurava quasi come imposta pro-capite.


Nell’Impero Ottomano, è sui beni Waqf che si vide una profonda evoluzione concettuale. Le Waqf, ossia le donazioni, diedero vita a degli istituti molto particolari: essendo beni privati dati alla collettività, le Waqf diventavano esentasse in quanto beni religiosi, ma a gestirli dovevano comunque essere delle persone incaricate. L’Impero Ottomano permise ai gestori di queste donazioni, istituendo uno strumento legale, il waqfiyah (documento fondativo di Waqf), di poter agire in economia pur mantenendo le finalità caritatevoli. Queste persone, che avevano così mandato di gestire beni e denaro attenendosi a una finalità di puro welfare testimoniata da un documento ufficiale, iniziarono a divenire noti, e a ricevere numerosa beneficenza grazie allo status di ufficialità.


Ciò che è interessante è il modello economico che venne scelto per creare welfare: la redistribuzione alla Umma avveniva sia tramite aiuti gratuiti ai più poveri, che tramite prestiti di piccolo importo e minuscolo interesse, che permettevano a molte persone di superare momenti di difficoltà o di migliorare la propria condizione. Erano degli antenati islamici delle casse di risparmio. Queste cosiddette “Cash Waqf” hanno notevole affinità al progetto di Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace 2006, col suo microcredito Grameen Bank.

Le “Cash Waqf” erano una risposta al protocapitalismo mercantile rinascimentale che si generava in Europa e poi evolveva verso la rivoluzione industriale. Nel dibattito odierno e novecentesco interno all’Islam, nato proprio dopo il crollo dell’Impero Ottomano – che era IL califfato moderno – spicca una domanda posta dai musulmani a se stessi che è necessaria per capire il Medio Oriente oggi, per spiegare il terrorismo fondamentalista e finanche alcuni eventi come la nascita di ISIS, ed è la seguente: “Come è stato possibile questo dominio anglo-europeo sul nostro mondo? Che risposte dare?”. Ecco, sul tema economico, riguardo alla pretesa egemonia culturale globale ed economica del capitalismo, le Cash Waqf rappresentano tutt’oggi un modello di finanza giusta, l’alternativa islamica all’attuale concetto Occidentale di banca.

Iran


Parlando di Zakat nel mondo contemporaneo si porta ora il caso dell’Iran, estremamente peculiare e “degenerazione”, se vogliamo, del concetto di Waqf e di Zakat. Si tenga presente che oggi, il modello dominante della riscossione della Zakat in tutti quei paesi a maggioranza musulmana è un mix tra la donazione diretta alla moschea di fiducia, oppure – caso maggioritario – a fondazioni o agenzie parastatali/cooperative che si occupano di erogare loro i servizi ai poveri e alla società: costruendo scuole, infrastrutture, enti sanitari e refettori. Il caso iraniano è anch’esso così. È in linea colla struttura generale del resto del mondo musulmano, ma è per molti versi andato ben oltre.


Abbiamo nominato, come intermediari di welfare, le “Fondazioni”, diffuse in molti paesi. Nell’attuale Repubblica Islamica dell’Iran si parla, nello specifico, di Bonyads: Fondazioni, strutture che sono sì frutto di donazioni, ma che originarono quando il neonato regime islamico sciita dell’Ayatollah Khomeini espropriò i beni della famiglia reale del dittatore e Shah Mohammad Reza Pahlavi, nel 1979. In questo caso, il governo generò le Bonyad, e ne diede la gestione a dei funzionari appuntati ad hoc. Tuttavia, queste strutture non erano e non sono statali, in quanto la donazione è di per sé una rinuncia, è alienazione, e lo Stato rinunciò al loro possesso. Le Bonyad, infatti, sono beni Waqf: religiosi, destinati a erogare un welfare che nasce da indirizzo divino e quindi ricevono lo status di beni esentasse. Un diritto di chi e di ciò che esiste per aiutare dei poveri e i deboli in nome di Allah. Tuttavia, per raggiungere questo fine le vie sono infinite, più o meno dirette. Nel caso iraniano, vediamo infatti che queste Bonyad non vendettero i beni ricevuti dagli espropri o dalle donazioni (sia dello Shah, che da tutti i nemici del regime e dagli oppositori politici) per distribuire il ricavato, ma reinvestirono – e reinvestono – costantemente i loro averi per poter alimentare le donazioni e il loro gettito da sé.

Il risultato, è che in Iran le Bonyad rappresentano tra il 15% e il 30% del Pil (non si riesce a chiarire il dato proprio per la mancanza di stime fiscali, non essendo società tassabili), un Pil fantasma colossale generato dal fatto che le fondazioni si sono date all’imprenditoria, in nome di Dio, e posseggono oggi compagnie di alberghi e di distributori di benzina, industrie, campi e aziende agricole, fabbriche, catene di supermercati e molto, molto altro.


Hanno 2,5 milioni di dipendenti e – per dare un esempio – la Bonyad dei diseredati, la prima e più importante, è stimata sui 10 miliardi di dollari di fatturato. Coi proventi di questo impero economico scaturito da espropri e donazioni, le Bonyad ne reinvestono parte nel mercato, e col rimanente attuano sì un vero welfare, (costruzione di scuole, università, ospedali, moschee, strade). Esse rappresentano una delle chiavi di controllo degli strati più bassi della popolazione da parte del regime, che ne nomina gli amministratori. Moltissimi iraniani poveri hanno, grazie a queste fondazioni, un lavoro, oppure campano dei sussidi e dei servizi che queste concedono solo a chi è indigente. Inoltre, le Bonyad ricevono poi la Zakat, che va ad aggiungersi a tutte le altre forme di income già presenti. Questi agiscono sul mercato con dinamismo grazie alla natura religiosa che li esenta dal peso delle tasse, e gli permette di affrontare (con una concorrenza non molto leale) gli investitori privati.


Il caso iraniano è certo una degenerazione, ma mostra le conseguenze dell’incontro tra principi morali di giustizia sociale e beneficenza millenari e mondo globalizzato e finanziarizzato, oltre a testimoniare l’esigenza di dare una risposta. Quei valori tentano così di trovare la loro declinazione tra questioni di principio e problemi di contingenza, generando un dibattito religioso e fiscale nell’ideologia – religione – che oggi è oggi la più diffusa in quel “Sud Globale” che, per demografia, aumenta ogni anno sempre di più.

Di Stefano Mauro Forlani

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Fonti:

  • Mullahs, Guards, and Bonyads :An Exploration of Iranian Leadership Dynamics, D. E. Thaler et alii,
    2010.
  • Ottoman Cash Waqfs An Alternative Financial System, M. Bulut et C. Korkut, 2019.
  • Il Corano, a cura di A. Ventura, 2010
  • The Role of Zakat in Establishing Social Welfare and Economic Sustainability: The Case of Saudi Arabia,
  • A. N. Al Salin et alii, 2020
  • I fondamenti di principio di un’economia islamica, H. Askari et R. Taghavi, 2005

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