Il triste menù dei Disturbi della Condotta Alimentare
Se si compie una ricerca su quello che è ritenuto uno dei più importanti motori informatici di ambito medico – il sito pubmed1 – inserendo le voci ‘anorexia’ e ‘bulimia’, i primi risultati risalgono al periodo successivo agli anni Ottanta, perciò relativamente recente se confrontato con quello di altri disturbi e patologie mediche, oltre che psichiche.
Anche per tale motivo, c’è chi ritiene che i Disturbi della Condotta Alimentare (DCA) siano un problema culturale, moderno, legato alle mode e alle aspettative di bellezza che i servizi d’informazione hanno diffuso nel mondo occidentale negli ultimi decenni.2
Pur non potendo escludere la componente etnica e sociale, che nei disturbi psichiatrici svolge a prescindere sempre un ruolo significativo, si deve anche considerare il disturbo nella sua complessità biologica e psicologica, nonché sotto il profilo dei sintomi e dei trattamenti meglio indicati.
La classificazione dei disturbi e l’anoressia
Il sistema di classificazione delle malattie psichiatriche, il DSM-5, come già il predecessore, racchiude nella stessa categoria dei DCA l’anoressia e la bulimia nervosa, come i due disturbi alimentari su base psichica più comuni.3
Accanto a questi ve ne sono anche altri, che spesso però si manifestano transitoriamente nell’infanzia o come espressione di sintomi psichici ben più gravi (per esempio la pica, il disturbo che prevede l’ingestione di materiale non organico né alimentare, da oggetti di piccole dimensioni fino ai propri escrementi). 4
Rimanendo sui due disturbi più frequenti, i criteri diagnostici dell’anoressia nervosa sono i seguenti:
- Restrizione significativa dell’introito alimentare, con importante perdita di peso
- Paura pervasiva dell’incremento di peso, con eventuale adozione di tecniche compensatorie come intenso esercizio fisico o vomito autoindotto
- Anomalie della visione corporea di sé, con percezione scorretta delle proprie forme e peso
Fino a poco tempo fa un ulteriore criterio dell’anoressia nervosa era l’amenorrea, la perdita del ciclo mestruale.5 Oggi questo viene considerato maggiormente come una conseguenza del disturbo, al pari delle alterazioni elettrolitiche, dell’osteoporosi e di tutte le altre complicanze che i DCA possono determinare.
L’abbuffata e la bulimia
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la bulimia nervosa non è propriamente l’opposto dell’anoressia, quanto una variante caratterizzata dalla presenza di abbuffate di cibo con perdita di controllo sull’introito alimentare.
Tali abbuffate sono comunque accompagnate da senso di vergogna, imbarazzo e costante timore di aumentare di peso, con conseguente adozione di meccaniche compensatorie di vomito autoindotto e/o incremento dell’attività fisica.
Semplicemente, per la caratteristica distintiva dell’abbuffata, la bulimia nervosa più difficilmente vede una perdita ingente e rapida di peso corporeo come l’anoressia. Essa, dunque, richiede più tempo affinché si arrivi a quei livelli di malnutrizione che più spesso invece si raggiungono nell’anoressia.
Talvolta, anzi, seppur raramente, se le abbuffate sono frequenti rispetto alle condotte di eliminazione, a essere preponderante è l’aumento di peso.
Società e famiglia
La prevalenza del disturbo è quella che più di tutti lascia intendere un contributo sociale e culturale nella genesi della patologia. Per cominciare, i disturbi di anoressia e bulimia sono tipici dei paesi sviluppati ed economicamente floridi.
Essi non si riscontrano in paesi economicamente svantaggiati, e sono lievemente meno frequenti in oriente, con esordio più tardivo. Il sesso più colpito è quello femminile, con appena il 10% dei pazienti di sesso maschile. Vengono più spesso afflitte le ragazze nel periodo dell’adolescenza e fino ai venticinque anni d’età. A rischio sono alcune categorie sportive come le ballerine o lavorative come le modelle.6
Come si diceva, però, vi è anche da considerare un contributo familiare all’origine del disturbo. Tipicamente le madri di tali pazienti sono donne giovani, di successo, ipercontrollanti e con alte aspettative verso le figlie. I padri, invece, sono solitamente persone più remissive e permissive, molto spesso descritte come assenti o ininfluenti nella relazione madre-figlia.
Un’interpretazione psicoanalitica in tal senso è che la ragazza cerchi, attraverso il controllo del cibo e del corpo, di mantenere pieno potere e raggiungere un traguardo in qualcosa di meno stressante come altrimenti si rivelerebbe essere una ipotetica competizione madre-figlia. In altri termini, l’obiettivo implicito di dover essere come la madre o di dover raggiungere un traguardo come richiesto dalle aspettative materne, si rifletterebbe in un tentativo di avere successo su se stessa, sul controllo totale di corpo e peso.6-7–8
Sintomi e trattamento
Indipendentemente dall’origine, se psicologica o biologica (una recente teoria darebbe un grande peso al ruolo della flora microbica intestinale9), i sintomi dei DCA sono tutti legati alla malnutrizione, da gradi più lievi caratterizzati da semplice ipotensione e difficoltà di concentrazione, fino ai livelli più gravi e pressoché letali di cachessia, una condizione caratteristica degli stadi finali in cui il corpo digerisce se stesso alla ricerca di elementi nutritizi.
Il quadro è pertanto caratterizzato da livelli di gravità variabile di riduzione degli elettroliti fisiologici per il funzionamento cellulare, astenia, bradicardia fino all’aritmia cardiaca, amenorrea, osteoporosi e fratture, alterazioni ormonali, lesioni esofagee da vomito autoindotto, perdita di capelli e denti da ipovitaminosi.10
Sotto il profilo del trattamento, bisogna distinguere due approcci, quello internistico e quello psichico. Il primo prevede integrazione di elettroliti e vitamine, per bocca, vena o con apposizione, in casi gravi, di sondino naso-gastrico. Il secondo, invece, al di là dei farmaci11 che, a meno di condizione psichica alterata da un quadro di psicosi o depressione grave, possono ben poco sulla volontà della paziente di non alimentarsi, si incentra sulla terapia psicologica intensiva.
Cura e guarigione
Uno dei primi passi è quello di raggiungere un’alleanza con la paziente, cercando di convincerla dell’ovvio: nessuno vuole imporre di mangiare più di quanto non si senta, né tantomeno di farla ingrassare, ma è necessario alimentarsi il sufficiente per restare in vita.
Da qui, da questo semplice accordo, può cominciare il percorso di cura. Si tratta di un lavoro lungo, incentrato sulla disamina dei rapporti familiari, dei traumi e delle aspettative della paziente e della famiglia. La psicoterapia coinvolge infatti anche i genitori, cercando di modificare quel sistema di relazioni potenzialmente patologiche che hanno determinato l’inizio del disturbo e supportando invece i fattori protettivi.12
Altri approcci, ugualmente validi, prevedono una terapia cognitivo-comportamentale,13 cioè incentrata sul modificare certi comportamenti-problema del paziente intervenendo su modelli cognitivi fallaci e disfunzionali.
La prognosi, comunque, non è favorevole. Solo il 50% dei pazienti recupera un peso corporeo e una condotta alimentare pienamente funzionale. Della restante metà numerose sono le ospedalizzazioni croniche, i percorsi comunitari della durata di anni e il recupero solo parziale della funzionalità, con cronica tendenza alle ricadute e alla restrizione di cibo.6
- https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/ ↩︎
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