«È arrivato!»
Giunti al Leoncavallo di buon anticipo, per scoprire che il parcheggio di domenica non si paga e c’è un sacco di posto a disposizione, la fiumana non srotolava ancora la sua lunga serpentina fino in strada. I murales sui muri suggerivano già un’iniziale istoriata alla piccola storia di oggi, come i capilettera medievali, ma ne sviavo ancora il peso preso dal sole e dal disegno di un caimano con la lingua psichedelica. Solo l’asserto sfuggente e asciutto del mio amico Simone mi ha riportato alla realtà. «Barbero è arrivato!», stiamo per conoscerlo.
Mi sminuivo nella curiosità, in antitesi al pubblico – al popolo minuto, lui direbbe, – che convenendo ne enfatizzava l’arrivo. Ma anch’io presagivo qualcosa.
Dicono che le star sciupano giù dal palcoscenico, lontano dagli schermi. Non c’è più il fondotinta, la cera dell’adrenalina, l’aura benjaminiana. E poi li scopri sgarbati, indifferenti, disincantati, elusivi.
Barbero no. Attesto finalmente che non è una star, proprio perché ricalca alla perfezione l’imago e l’animo che essuda in video e in radio.
Si intrufola a veloci passettini nella libreria in compagnia di Flavia, la moglie, che si perde assorta fra gli scaffali. Lo accolgono Simone, Beppe e Alessandro, alcuni tra i gestori della Libreria del Leoncavallo nonché fautori di questo incontro. Come si fa a far presenziare gente del calibro di Barbero in un centro sociale? Gli si potrebbe chiedere. Facile, gli si scrive una mail e si aspetta. Nel suo caso, almeno, è stato davvero così.
Anche la malizia di prenderlo all’amo col suo nuovo libro, All’arme! All’arme! I priori fanno carne (Laterza, 2024), resta a digiuno dato che il professore si disinteressa delle copie e dà piuttosto attenzione al nuovo numero della Tigre di Carta che gli regaliamo e che sfoglia in attesa dell’exploit.
Un momento serafico, rinserrati nella piccola libreria con fuori la torma, a chiacchierare per conoscerci. Lui già vispo, frenetico, tamburellante le dita. Un purosangue al tondino in attesa del palio. Scucendoci da un vago, gestibile imbarazzo, gli chiediamo com’è cambiata la sua vita dal fenomeno mediatico dei suoi podcast.
Sono scisso, ha risposto Barbero. Una parte di me preferirebbe riguadagnare il tempo per studiare da solo in santa pace, inoltre l’operazione globale di visibilità non la sento mia. Però, a ogni singolo evento cui intervengo, finisco ancora per divertirmi. Tra poco lo dimostrerà.
Quasi fosse un richiamo, sembra spronare anche noi all’imminente debutto davanti a più di mille persone, buona parte costretta ad assistere fuori dalla sala principale di fronte a un mega schermo. Altri ancora all’esterno, accontentandosi degli altoparlanti. L’atmosfera da adunata è innegabile.
Per metterlo di fatto al riparo, aggiriamo la ressa infilandoci nelle retrovie dell’ex cartiera, attraverso lunghi spazi vuoti e bui, chiamati laggiù in fondo da un lumino e un brusio crescenti. Sembra un piano sequenza, alla Tutti gli uomini del presidente, col nostro crocchio che scorta il professore e un notevole strascico.
Sbucare sul piano rialzato del palcoscenico, investiti dal cavallone dei fari e dell’ovazione mi prende alla sprovvista. Gli sono talmente vicino che l’euforia sembra rivolta anche a me, e così penso: “Allora è questa la celebrità!”
Barbero ridacchia, per lui è come fare jogging.
Aspetta paziente e con sguardo da pernice le nostre prolusioni e le lunghe domande che abbiamo composto per lui, in attesa di scardinarle con una gomitata e lanciarsi nelle sue labirintiche digressioni. Il pubblico lo segue tutto alle calcagna, qualunque pillola gli somministri parlando al microfono e che altrimenti, forse, non avrebbe degnato di un minuto d’attenzione, dalle rivolte nel ‘300 alla nozione di storiografia, dalle gabole basso-medievali ai cavilli della Firenze dei Ciompi.
Barbero incarna a tutti gli effetti una chimera mediatica. Usa l’entusiasmo per togliere le ragnatele dai tomi più in disuso della nostra cultura.
Inutile spendersi sulla sua dissertazione. Un video youtube in ottima qualità attesta quanto successo.
Un accento solo in coda, per riflettere sulla società dello spettacolo (Debord docet).
Appena sceso dal palchetto, Barbero viene cinto d’assedio dai fan. Chi vuole un autografo, chi una firma sul suo volume, chi invitarlo presso il suo liceo o associazione, chi, noncurante della fatica che costa discorrere due ore filate, serba ancora questioni da sviscerare, mentre noi giovani chiosatori (definiamoci così) ci improvvisiamo bodyguard. Ricordo un ammiratore che gli regala una action figure con le sue fattezze, e una madre che, stringendo il figlio al polso, glielo indica esclamando che si chiama Alessandro come lui!
Resto perplesso fino alla macchina, nella quale il professore si rintana dopo aver cortesemente provato a dar retta a più persone possibile prima di alzare bandiera bianca. Insieme a Flavia, tornerà a Torino in giornata, dove è partito la mattina stessa per venire qui a Milano. Il tutto senza chiedere una lira, questo è giusto che si sappia.
Sfuggito ai posteriori che cercavano di farne carne, Alessandro Barbero si commiata con quel barbaglio negli occhi che anche stavolta è riuscito ad accendersi. Merito della Libreria del Leoncavallo e dei suoi ardimentosi chiosatori.
di Federico Filippo Fagotto