Il totem è colui il quale in modo inconscio attrae su di sé l’interesse illimitato.
Per chi non lo sapesse, il Taranto Calcio è una squadra che gioca in Serie C. Ha un allenatore estroso (sua la citazione di apertura) e da qualche mese è protagonista del suo girone, tanto che se non le avessero annullato un gol con una decisione arbitrale più che dubbia contro l’Avellino sarebbe terza a pari punti con il Crotone.
Taranto ai più è nota per altre cose. A chi si proponesse una gita da quelle parti, la risposta sarebbe invariabilmente: «Le cozze! Le cozze pelose! Eh però l’ILVA… hai visto la strada con il guardrail rosso? La polvere nera e rossa sui davanzali?». Attualità: non tutti hanno visto Palazzina LAF – Laminatoio A Freddo – ma magari qualcuno ha sentito in radio una canzone che parla di un campo minato su cui nascono fiori bellissimi.
Coordinate
I venti prevalenti sono due: Tramontana e Scirocco. La prima tira da nord scendendo secca e fresca dalla Murgia. È un’aria di terra che prima di arrivare sulla costa si carica di tutti i profumi della campagna. Il mare si calma e scintilla. Quando invece soffia da sud – caldo, umidissimo, statico – è consigliato rallentare di molto ogni attività e sudare.
Pasolini la definisce città perfetta: a nord i due seni del Mar Piccolo; a sud il golfo che finisce a capo San Vito e si chiama Mar Grande. Nel primo l’arsenale militare, le idrovore dell’ILVA e le cozze. Sul secondo, il porto industriale coi suoi moli sporgenti, la raffineria, l’acciaieria, il cementificio (ora chiuso); verso San Vito, la base navale Nato. Oltre, sul Viale del Tramonto, il vento sferza il suo lamento.
Una città e due mari
Nomi di Fantasia: con Caterino e Joan siamo fuori in barca. È un martedì pomeriggio allucinante di inizio settembre. L’umidità satura l’aria e sfuma i contorni. Motore spento, Caterino trae funi lunghissime a cui stanno appesi venti metri di cozze piccole piccole. «Questo è il seme», ci dice mentre ci spiega il lavoro. Dall’acqua emergono impalcature di tubi innocenti: Caterino ci stende sopra i filari. «Vedi che in questa stagione bisogna farle asciugare, così si pulisce dai vermetti» e indica dei filetti bianchi sul guscio. «Ora non si raccoglie, bisogna far maturare il prodotto, poi magari già a febbraio-marzo qualcosa è pronto», e chiosa «da maggio si fanno i raccolti grossi». Riaccende la barca, ci spostiamo di qualche centinaio di metri. «Questo è un citro» vediamo una fontana sottomarina che si disperde in cerchi concentrici «da qui esce acqua fresca, dolce, uno spettacolo, è da qui che viene il sapore della cozza tarantina, che è unica, perché c’è l’acqua dolce che dà il sapore più delicato». Stiamo un po’ alla deriva della corrente e poi rientriamo. Sono forse due ore che siamo insieme e ormai siamo in confidenza, e così Caterino, rispondendo alla mia domanda: «Ma quale inquinamento? Quale inquinamento? tu devi vedere cosa gli faccio se ne incontro uno di questi, ambientalisti, si, voglio vedere io, cosa gli faccio a questi» si sporge dallo scafo e raccoglie una manciata d’acqua nella sua mano «guarda qui, guarda, tu vedi come è limpida quest’acqua, io ci sono stato a Rimini, Riccione, altro che là, tu lo vedi come è limpida? Lo vedi? Altro che diossina, pcb, cosa gli faccio io a quegli di ambientalisti se me li trovo davanti, devi vedere cosa succede, devi vedere».
Conflitto di classe
La casa novecentesca affaccia sul giardino di Villa Peripato, palme e conifere. Nonostante il caldo equatoriale la casa è ariosa ed è ben illuminata dalle ultime luci prima di sera. La dottoressa e la sua amica ci servono del tè verde freddo. Joan le chiede dei contatti e lei è contenta di fornirglieli. Ci fermiamo a chiacchierare e il discorso finisce dove uno ci si aspetta. «Le bonifiche? Le bonifiche… è dura ragionare di questo, con 8mila operai che rimarrebbero a casa… ma poi, a livello ambientale, il ciclo di produzione dell’acciaio sarebbe anche possibile renderlo più sostenibile, ci sono tecnologie, strumenti di captazione degli inquinanti».
La letteratura sociologica inquadra questa posizione sotto il nome di modernizzazione ecologica, ovvero l’idea secondo al quale per ogni problema di natura ambientale sia possibile trovare una soluzione tecnologica frutto di innovazioni produttive
«Sugli Wind Days c’è stato tanto dibattito, ed è giusto che ci siano. Ma una cosa io non me la posso spiegare, quando qui c’è tramontana diventa un paradiso, cambia l’aria, cambiano i colori, e però, è questa la cosa più assurda, vedi, quando ci sono i Wind Days bisogna chiudere le scuole e ai Tamburi non si può uscire di casa perché i veleni della fabbrica ti cadono in testa».
La modernizzazione ecologica non approfondisce il nesso organico tra produzione industriale e catastrofi ambientali. Taranto, oltre che per le cozze e per Eziolino Capuano, è famosa per le morti di tumore dovute all’industria siderurgica, alla raffineria ENI, all’ex-cementificio, all’arsenale militare navale.
«Ma poi, a livello ambientale il vero tema è il Mar Piccolo, tu pensa, 60 anni e passa di sversamenti… il problema lì è che appena tocchi smuovi l’ira di dio della monnezza che c’è sotto… tu pensa, ad un certo punto l’idea migliore sembrava cementare il fondale, capito, cementare il fondale, come fosse una tomba…».
Ancora il totem e un assessore
Disclaimer: l’assessore non è più tale dopo lo scioglimento della giunta. Per necessita narrative lo si continua a definire tale. Un proverbio etrusco dice: “Una volta assessore, per sempre assessore”.
Taranto non è più la città dell’ITALSIDER, la città illuminata, con il festival internazionale di cinema e i Siuxsie and the Banshees al TURSPORT, e nella sua provincia l’ISTAT ha contato più o meno centomila disoccupati. Eziolino Capuano non ha magari a disposizione i dati disaggregati, ma si mette in relazione al suo popolo, che lui definisce una piazza da serie A.E quindi, poiché il calcio è “l’essenza delle emozioni” può capitare che il nostro si scaldi quando la partita si fa intensa, fino a commuoversi. Dice: «purtroppo vivo il calcio pensando a chi non ha soldi per la pizza perché li spende per la partita».
I dati disaggregati ce li ha invece l’assessore allo sviluppo economico della giunta guidata dal sindaco Melucci. È uomo distinto, si presenta all’iniziativa pubblica con uno stivaletto in cuoio marroncino e un completo blu elettrico che fa pendant con il dolcevita più scuro in misto lana. Per essere fine ottobre la temperatura è bassa, pioviggina. L’assessore rappresenta la Taranto della piccola borghesia e dei professionisti, la Taranto che vorrebbe, sulla cinquantina ma anche qualcosa meno, di bell’aspetto, fotografia del renzismo con dieci anni di ritardo. Lui e il suo ciuffo brizzolato guardano alla dimensione europea della città, al turismo. Parla della cozza tarantina come di un presidio slow-food e di un’eccellenza gastronomica mondiale, di rilancio e di sviluppo, di rendering e di prospettive.
Qualcuno gli fa notare che c’è chi definisce il Mar Piccolo una bomba ecologica – «è pieno di diossina, metalli pesanti, di tutto» – e della proposta di cementarne il fondale. Un altro gli suggerisce che nonostante le eccellenze sia in corso la costruzione di un secondo ospedale, perché, vox populi, al Santissima Annunziata i malati di cancro non ci stanno più. Gli si riportano i famosi dati disaggregati sul mix letale di disoccupati e inattivi – centomila, numero tondo, poco meno di un terzo degli abitanti della provincia in età lavorativa. Gli si cita il lavoro di una ricercatrice, Maristella, in sala anche lei, sui percettori di reddito di cittadinanza. L’assessore nicchia, e si scompone, e propone di non concentrarsi su queste narrazioni negative, che inficiano l’immagine di Taranto. Ci si interroga se sia meglio dire la verità o fare contento l’assessore. Usciamo dalla sala comunale, il cielo è ancora più basso, il Libeccio ha portato umidità e odore di alghe in decomposizione.
Le origini e il fanciullo
Per chi non lo sapesse, Taranto è una città del sud della Puglia. Viene fondata dagli spartani più o meno 2700 anni fa. La colonia, denominata Taras, è l’unica fondata dalla città della Laconia: la leggenda, riportata nella Geografia di Strabone, dice questi fossero dei Parteni, figli illegittimi delle donne spartane, generati mentre i loro mariti guerrieri erano impegnati in una campagna militare contro la Messenia. La leggenda, così riportata in Kerenyi, narra di Taras, o Phalantos (tradotto con Falanto), eponimo della città ionica, come di un “fanciullo divino” raffigurato sul dorso di un delfino che «porta spesso un fiore in fronte, tra i capelli: sembra che così si contrassegni un essere al limite fra l’esistenza di pesce e quella di bocciolo di fiore».
di Luca Novelli