Note su un dibattito italiano degli anni Settanta
Questo testo nasce come contributo per un ciclo di conferenze organizzato dalla libreria Ombre Rosse – Libreria Popolare Autogestita, in collaborazione con la rivista Tigre di Carta.
Il ciclo, che inizerà il 9 febbraio e si concluderà il 14 aprile, si intitola “Uno spettro si aggira per la Storia – Lo spettro della lotta di classe” e si articola in quattro incontri, che avranno per tema altrettanti libri, con storici e studiosi della materia: Luciano Canfora, Alessandro Barbero, Anna Curcio e Gianmaria Brunazzi.
Ciascun incontro sarà dedicato a un macroperiodo storico: Roma antica, medioevo, età moderna e epoca contemporanea.
A partire dagli esiti delle proprie ricerche storiche e non solo, i relatori discuteranno con il pubblico alcuni degli episodi e dei processi più significativi della lotta sociale nella Storia attraverso il concetto di “classe”, per riflettere insieme sulla sua applicabilità a contesti storico-sociali differenti e la sua attualità.
I libri presentati saranno:
L. Canfora, Catilina. Una rivoluzione mancata
A. Barbero, All’arme! All’arme! I priori fanno carne!
A. Curcio, Caccia alle streghe, guerra alle donne (di S. Federici)
G. Brunazzi, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra (di E. P. Thompson)
Di seguito, il programma degli incontri:
– Luciano Canfora e Sebastiano Taccola, “CATILINA. UNA RIVOLUZIONE MANCATA” → 9 febbraio, h. 14:30, Università degli studi di Milano, aula 422
– Alessandro Barbero, “ALL’ARME! ALL’ARME! I PRIORI FANNO CARNE!” → 25 febbraio, h. 17:00, Centro Sociale Leoncavallo, via A. Watteau 7
– Anna Curcio, “CACCIA ALLE STREGHE E CAPITALE” di S. Federici → 24 marzo, h. 15:30, Centro Sociale Leoncavallo, via A. Watteau 7
– Gianmaria Brunazzi, “RIVOLUZIONE INDUSTRIALE E CLASSE OPERAIA IN INGHILTERRA” di E. P. Thompson → 14 aprile, h. 17:00, Centro Sociale Leoncavallo, via A. Watteau 7
1. In questo contributo tenterò di riassumere le linee di fondo della ricerca raccolta in Categorie marxiste e storiografia del mondo antico. Critica e storia in un dibattito italiano degli anni Settanta[1], oltre che mostrare alcune possibili linee di sviluppo dei contenuti del libro.
Il dibattito degli anni Settanta che costituisce il centro del libro si focalizzava sull’esame delle condizioni di possibilità della costruzione di un paradigma storiografico marxista in grado di ricostruire e spiegare le dinamiche socio-economiche delle società antiche. Alle spalle di questo tentativo si celava una questione teoretica più generale riguardante il rapporto epistemologico tra modelli economici astratti e ricostruzione storiografica, astrazione e realtà. Si tratta di un tema che non è stato affrontato esclusivamente dal materialismo storico, ma risaliva a ben prima, quasi agli albori della storiografia economica, ed era stato posto per la prima volta in maniera chiara in occasione del confronto tra primitivisti e modernisti, che avvenne in Germania a fine Ottocento[2]. Ne sorse un dibattito dai toni piuttosto accesi, che presto si incagliò in una sorta di dialogo tra sordi.
In questa cornice vanno inquadrati i contributi di Max Weber, cui si deve riconoscere il merito di aver rinnovato i margini teorici del dibattito e di aver tracciato nuovi paradigmi per la definizione dell’anatomia delle società antiche. La chiave di volta della proposta weberiana – il reale punto di condensazione della sua riflessione – può essere sintetizzabile nella costruzione di un rapporto storicamente mutevole tra l’economia e la società. Per lo studioso tedesco, infatti, queste due categorie non potevano assolutamente essere considerate sovrapponibili; anzi, ai suoi occhi “economia” e “società” rappresentavano due campi relativamente eterogenei, il cui rapporto si era strutturato in maniera di volta in volta mutevole nel corso della storia, secondo moduli diversi di combinazione e secondo gradi variabili di mediazione introdotti dalle istituzioni giuridiche, politiche e religiose. In questa prospettiva, la teoria della storia presentata da Weber si muoveva attraverso un’articolazione complessa tra piani strutturalmente diversi, ma comunque componibili in una costellazione di senso unitaria e dotata di senso. I punti cardinali di tale teoria sono riassumibili in una serie di vettori diversamente orientati: a) un vettore verticale, che trova nell’idealtipo il proprio perno di articolazione epistemologico e che, una volta individuato il modello astratto universale, orienta la ricerca diacronica in senso anti-cronologico; b) un vettore orizzontale, che pensa la storia delle società occidentali come un processo essenzialmente lineare e diacronico svoltosi lungo le coordinate di una progressiva razionalizzazione (il cui esito ultimo sarebbe rappresentato dal capitalismo moderno).
La lezione weberiana è stata fondamentale per il rinnovamento della storiografia del mondo antico sul piano dei contenuti e dei metodi[3]. La sua influenza è stata cruciale su altri due primitivisti “critici” come Karl Polanyi e Moses I. Finley. In Polanyi, infatti, la lezione weberiana su economia e società sembra riarticolarsi nella distinzione tra società a embedded e disembedded economy (in cui fondamentali sono i livelli di mediazione istituzionale-giuridica)[4]; in Finley, si ripropone in certe posizioni particolari presentate dalla sua storiografia degli antichi e dei moderni: come ad esempio, il considerare le società antiche come società di status e non di classe[5]. Sulla scia di Weber, dunque, questi studiosi promossero un nuovo modo di pensare la storia economica delle società antiche incentrato sulla composizione plurale tra l’analisi delle istituzioni etico-giuridiche, quella delle gerarchie sociali ordinate per status, e quella dei processi di redistribuzione economica non mediati dal mercato.
La linea Weber-Polanyi-Finley non è frutto di una mia costruzione arbitraria. Per gli antichisti italiani degli anni Sessanta e Settanta, questi autori rappresentavano un punto assai avanzato, soprattutto sul piano metodologico, della storiografia del mondo antico. Sicuramente uno studioso del calibro di Arnaldo Momigliano ha giocato un ruolo chiave nella costruzione di questa “genealogia weberiana” in Italia. Nel suo articolo intitolato Prospettiva 1967 della storia greca, infatti, Momigliano mise in rilievo il progressivo affermarsi di una nuova koiné storiografica, il cui fondamentale orizzonte di senso rappresentava uno sviluppo importante dell’approccio weberiano[6].
Nel corso degli anni Sessanta, in un momento in cui lo storicismo nelle sue più diverse varianti stava entrando in crisi, gli stimoli provenienti da questa genealogia furono accolti (ciò non significa accettati in toto) come punti di partenza per un rinnovamento della storiografia delle società pre-capitalistiche. E se ciò avvenne senza particolari frizioni in Francia, ad esempio, in Italia essi si incontrarono, almeno in campo marxista, con un rinnovamento allora in corso, più profondo, autocritico, più doloroso, perché legato a doppio filo anche con quanto avvenuto nella storia più recente del paese.
2. I marxisti italiani degli anni Settanta, infatti, trovavano alle loro spalle un intreccio complesso, in cui le questioni sollevate dal dibattito internazionale erano state filtrate dal processo di rinnovamento della storiografia italiana del secondo dopoguerra (in cui il marxismo giocò un ruolo importante). A questo riguardo, le nuove generazioni di marxisti si appoggiavano su una lezione tanto importante quanto complessa, quale quella data dalla generazione dei loro “maestri”: i dibattiti sedimentati nelle prime annate della rivista “Società”, l’insegnamento caratterizzato dalla combinazione di acribia filologica e distinzione storica di Delio Cantimori, le opere di Emilio Sereni, gli scritti imprescindibili di Ranuccio Bianchi Bandinelli e Santo Mazzarino sul mondo antico.
Lezione complessa proprio perché non poteva essere assunta a-criticamente: le nuove generazione parteciparono a un dibattito profondo e straordinariamente aperto, in cui fu loro possibile tracciare rapporti di continuità e discontinuità con la generazione dei maestri (dove la discontinuità fu segnata soprattutto dall’uscita dai canoni storicistici).
Rimodulata su queste nuove basi, la storiografia marxista italiana si rinnovava, si faceva più aperta e sperimentale, analitica, pronta per entrare in un dialogo produttivo con gli stimoli provenienti dalla ricerca internazionale[7].
3. Vediamo, a questo punto, di tracciare un profilo di questi studiosi:
a) per loro lo studio del mondo antico non era separato dall’attenzione per il loro presente, assunto nella sua complessità culturale e politica;
b) erano ben attenti alle tendenze della scienza storiografica grazie a un uso consapevole (e non strumentale) della storia della storiografia;
c) vantavano una ottima formazione marxologica, grazie a una lettura marxiana di Marx (Marx secondo Marx) consapevole, orientata in senso anti-storicistico, attenta anche alla questioni di natura filologica.
Su quest’ultimo punto era stata soprattutto la lezione di Cesare Luporini a mostrare una forte incidenza.
Luporini aveva riportato l’attenzione sull’autonomia della struttura logica della scienza marxiana, la critica dell’economia politica[8]. Una struttura logica che, pur non essendo impermeabile alla dimensione storica, non si prestava ad essere schiacciata storicisticamente sulla cronologia o ad essere tradotta immediatamente in termini storici; piuttosto, secondo Luporini, la teoria marxiana, tramite l’autonomo movimento delle sue forme, dischiudeva la storicità specifica del modo di produzione capitalistico. In questa prospettiva, la dimensione storica non era più traducibile in una sequenza invertebrata di eventi, ma, articolandosi secondo un originale intreccio tra sincronia e diacronia (genesi formale e genesi storica) si faceva storia del capitale.
E per quel che riguardava la preistoria del capitale? Era possibile ritrovare nella critica dell’economia politica di Marx una teoria della storia in grado di illuminare la storia della società precapitalistiche? O ancora, essi si chiedevano: se il centro della teoria marxiana è la critica dell’economia politica, e cioè l’analisi critica della società capitalistica, allora che cosa essa ci può dire delle società pre-capitalistiche?
Alle spalle di una simile domanda, si capisce bene, c’era una profonda rimessa in discussione di quella “concezione materialistica della storia” che per circa un secolo aveva costituito, salvo eccezioni, il nocciolo di certo marxismo (almeno della dogmatica marxista, del marxismo irrigiditosi in schematismi astratti e a-problematici; il marxismo di certe formule scolastiche, che estirpavano dal pensiero marxiano proprio ciò che a Marx stava più a cuore: la critica).
4. Queste erano le domande che si ponevano i nostri studiosi. E su simili questioni iniziarono a riflettere attivamente a partire dalla fondazione del Seminario di Antichistica del 1974 presso l’Istituto Gramsci di Roma. Il dibattito presto si allargò al di fuori della più ristretta cerchia degli specialisti coinvolgendo una serie di riviste (“Critica marxista”, “Dialoghi di archeologia”, “Quaderni di storia”, per citare solo le più note) e di studiosi appartenenti a impostazioni eterogenee, in una prospettiva che potremmo definire interdisciplinare. L’interdisciplinarietà, infatti, era richiesta dalla logica specifica della problematica presa in esame, che pretendeva lo sforzo congiunto di storici, filosofi, economisti, sociologi, archeologi, antropologi[9].
Senza scendere nell’esame più dettagliato del dibattito in questione, ciò che mi pare opportuno evidenziare è la cornice problematica comune individuata da questi studiosi (e da loro esplicitamente rivendicata come programma di ricerca, almeno nei punti più alti del dibattito) e la sua rilevanza anche per i dibattiti più attuali sulla teoria della storia marxiana.
All’interno della rete concettuale elaborata sulle orme di Marx, il presente – la società attuale – si pone come punto di partenza della teoria, oltre che come risultato storico. I processi sociali della società capitalistica, infatti, sono caratterizzati da vettori di astrazione, separazione e ricomposizione. La forma in cui questi diversi livelli della riproduzione si combinano è quella della mediazione sociale. Attraverso un’analisi di questa società (che si riproduce appunto nell’astratto) si possono dedurre leggi universali astratte e comuni a tutte le società, così come quelle leggi particolari e specifiche caratterizzanti il modo di produzione capitalistico. L’individuazione della differenza specifica tra leggi generali e leggi speciali della produzione rappresenta la chiave per intendere la storicità specifica della società capitalistica. Una storicità segnata dalla discontinuità rispetto agli altri modi di produzione e che dunque, in maniera mediata, può rinviare a una storia pre-capitalistica.
In questa configurazione (ed è questo, secondo me, un risultato scientifico assai significativo prodotto dal dibattito) il passato non è più l’origine del presente, e il presente non è più un semplice frutto del passato. Un simile scarto metodologico (anti-storicistico) rappresenta un presupposto metodologico necessario per ogni storiografia critica, che ambisce a spiegare non più attraverso la storia (dando per assunta la forma di questa stessa storia), ma la storia e i suoi processi alla luce del montaggio delle differenti forme sociali secondo la loro storicità specifica.
Ogni società è dunque da considerarsi come una combinazione di forme dotata di un suo specifico ritmo riproduttivo e di una sua tendenza evolutiva. Ogni modello sociale produce pertanto un proprio concetto di storia: un concetto tutto da costruire.
I protagonisti del nostro dibattito si muovevano in una simile prospettiva teorica. Ai loro occhi, dunque, l’attività dello storico non appariva più semplicemente quella della ricerca empirica delle fonti; prima ancora, lo storico doveva produrre un concetto di storia adeguato al proprio oggetto di ricerca, e cioè una determinata formazione sociale. Un concetto di storia che mettesse avanti un sistema storicamente specifico, un determinato movimento sincronico delle forme, da cui poi partire per rifondare la storiografia in chiave critica e materialistica. Secondo questa scansione teorica, l’analisi sistematica delle forme (definita sul piano della critica) anticipa la ricostruzione storica: il presente precede il passato.
5. Emergono a questo punto due domande, che, per quanto distinte, possono convergere nell’aiutarci a individuare un punto di fuga per il discorso svolto fino a questo punto: a) perché un simile dibattito avvenne proprio nella storiografia del mondo antico e non in altri ambiti? b) È possibile sostenere che il nesso tra critica marxiana (categorie di Marx) ed elaborazione storiografica emerso in questo dibattito abbia una sua attualità?
Alla prima domanda si può forse dare una risposta molto sintetica: l’antichistica italiana nel secondo dopoguerra rappresentava un ambito di studio che più di altri aveva bisogno di una radicale rifondazione. Ancora sul finire degli anni Sessanta, ad esempio, Arnaldo Momigliano (un grande maestro di metodo storico, che non può certamente essere considerato un marxista) evidenziava la necessità di intraprendere all’interno degli studi sul mondo classico un’opera di “decolonizzazione” dai miti classicisti diffusisi durante il nazi-fascismo[10]. E fu forse sulla scia di questo anti-classicismo (di questo culto mitico della cultura classica) che una pluralità di influenze e tendenze di studio, alcune delle quali anche molto eterogenee tra loro, si combinarono nell’universo delle scienze del mondo antico: il secolo di dibattito su economie antiche e moderne, la contaminazione della storiografia con i nuovi campi del sapere (la storia della cultura materiale, l’archeologia, le scienze umane), la riflessione sul nesso tra modelli teorici ed elaborazione storiografica, la rifondazione delle scienze storiche in senso anti-idealistico e anti-storicistico. In questo quadro, il passato non veniva più schiacciato anacronisticamente sul presente, ma entrava in una sorta di dialettica virtuosa con quest’ultimo. Una dialettica tutta giocata sul piano teorico. Ed era proprio su questo fronte che la lezione marxiana del rapporto tra teoria e storia veniva riattivata. In opere come i Grundrisse o Il capitale, oltre alla fondazione scientifica di una critica della società capitalistica (ricostruita attraverso un modo d’esposizione genetico-formale, sincronico, astratto), si poteva ritrovare anche una grande lezione di metodo storico incentrata esattamente sul rapporto tra presente e passato. Ma attenzione: secondo una simile impostazione, si parte dal presente, non per riconoscerlo in tutte le epoche della storia, quanto per denotare la differenza tra questo e le epoche che lo hanno preceduto; ma la differenza deve essere mantenuta costantemente, mai essere abbandonata o data per presupposta[11].
E qui vengo alla seconda questione conclusiva: perché il nesso tra critica marxiana (categorie di Marx) ed elaborazione storiografica emerso in questo dibattito abbia una sua attualità? Innanzitutto perché il paradigma marxiano ci sorprende e ci obbliga a rimettere in discussione la storia come ovvietà. Sin dai primi anni di istruzione, infatti, impariamo che la storia esiste da quando ci sono le fonti (o meglio, un determinato tipo di fonti: quelle scritte); che la storia è un racconto delle vicende umane accadute nel passato; la storia è studio del passato; la storia è narrazione. Quanto illustrato finora, invece, rappresenta esattamente l’opposto di questa configurazione ovvia.
In questo orizzonte, Marx ci aiuta a mettere in discussione altre ovvietà, che in quanto tali devono essere esaminate criticamente; ad esempio: che la storia è tale perché la fanno gli esseri umani; che la storia è ciò che accade; che gli esseri umani per riprodursi hanno bisogno di produrre, instaurare relazioni tra loro e con la natura; che se gli esseri umani non si nutrono non possono agire, pensare, ecc. Ma tutto questo, se ci pensiamo bene, ha ben poco a che fare con la storia: un simile approccio, infatti, trasforma la storia umana in una notte in cui tutte le vacche son nere. La conoscenza storica, invece, è in grado di specificare come e perché simili attività si strutturano in maniera differente. La storia che Marx ci invita a prendere in considerazione, dunque, è una storia in costruzione, non storia narrativa, ma innanzitutto concetto costruito, montaggio di forme e tempi storici differenziali[12].
Il presente, da questo punto di vista, è il tempo della critica e della possibilità della storia; esso permette di comprendere, porre e conservare le differenti forme sociali e le storicità ad esse connesse. Ciò è valido sia sul piano dell’oggettività del modo di produzione, sia sul piano della soggettività dello storico, che deve considerarsi quale prodotto storico, che impiega categorie scientifiche figlie del suo tempo e della sua società. E questo non per sostenere un bieco relativismo (sostanzialmente ideologico e anti-storico); ma per restare consapevoli che l’universalità cui ambisce la scienza sovradetermina le particolarità e, allo stesso tempo, si costituisce facendo leva proprio sulla conservazione delle loro differenze[13].
6. Credo che un simile modello storiografico possa avere una sua attualità in questa sua duplice valenza: da un lato, riporta il presente al centro degli interessi della storiografia; dall’altro lato, riporta la storia (intesa come concetto teorico e morfologico) al centro degli interessi del presente.
Se pensiamo, in conclusione, alla storiografia presente (facendo anche semplicemente riferimento ai volumi che troviamo ben esposti sugli scaffali delle nostre librerie, ai best-seller della storiografia attuale) non possiamo che notare un distacco tra questa e il modello di storiografia di cui si è discusso fino a ora. In maniera molto sintetica, la storiografia di cui abbiamo parlato presenta queste caratteristiche:
- è una storiografia che riflette criticamente sui propri presupposti metodologici;
- è una storiografia che non si concentra tanto sui singoli eventi, ma sui processi storici;
- questa storiografia rifiuta lo stile biografico (non scrive le biografie dei grandi), ma prende in considerazione i gruppi sociali, le “classi”, la storia dei ceti subalterni e delle culture sepolte nel tempo;
- i processi storici indagati sono lunghi, spesso molto lontani nel tempo, richiedono uno studio lento. Ci si rivolge a un passato spesso lontano non per una sorta di idolatria decadente di esso, ma per mettere in evidenza una dialettica tra permanenza e mutamento che costituisce un momento importante della dialettica tra presente e passato;
- parlando dei gruppi sociali, piuttosto che degli individui singoli, questa storiografia permette anche di riflettere sull’emergere complesso delle forme diversificate di soggettività (soggettività di classe, soggettività politiche, soggettività culturali, ecc.), non come immediatamente date, ma come sovradeterminate da processi sociali, culturali e politici.
In due parole: si tratta di una storiografia che, nel tentativo di rilevare la maniera particolare in cui, di volta in volta, si combinano le forme e le temporalità definisce i lineamenti di un tempo storico multiforme e i margini che in esso si aprono per la via verso un’altra società: la critica del presente è la chiave per la storia del passato, ma anche per il passaggio verso il futuro (dal regno della necessità al regno della libertà).
Infine, da un simile itinerario di ricerca si possono ricavare anche delle sollecitazioni in senso culturale e politico. Recuperare, infatti, i punti alti di una stagione di rinnovamento storiografico che aveva a proprio oggetto la società e le forme dinamiche della sua evoluzione può essere anche un’occasione per tornare a riflettere sulle possibilità e le modalità della trasformazione sociale e politica del presente. Un’occasione ancora più importante oggi, di fronte all’urgenza di una revisione critica della più recente fase politico-ideologica, la quale si è posta al di fuori della storia facendo del motto “la società non esiste” il proprio manifesto, cancellando ogni forma di storicità e riducendo la storiografia a stile letterario e arbitrario utile solo per le “grandi narrazioni”.
Sono questioni che dovrebbero essere tutt’altro che marginali per la riflessione contemporanea. Si tratta, a questo punto, di indagare criticamente la costituzione di quel processo di rimozione che ha portato alla scomparsa della storia come forma. Solo seguendo questo itinerario – che, secondo l’insegnamento di Marx, è il solo itinerario veramente critico – è possibile tornare ad affrontare la storia come un vero problema.
Note
[1] Si veda: Sebastiano Taccola, Categorie marxiste e storiografia del mondo antico. Critica e storia in un dibattito italiano degli anni Settanta, Manifestolibri, Roma 2022.
[2] Il dibattito si concentrò prevalentemente sullo stato di sviluppo delle economie antiche (in particolare, quella greca e quella romana) e vide scontrarsi, da un lato, Karl Bücher (1847-1930), il quale sosteneva che l’economia degli antichi fosse stata domestica e radicalmente primitiva, e Eduard Meyer (1855-1930), dall’altro, che argomentava a favore di uno sviluppo dell’economia antica in senso capitalistico. Entrambi questi approcci, molto diversi per strumentazione impiegata e tesi sostenute, finivano comunque per poggiare su un impalcatura fortemente stadiale e idealistica: Bücher in un senso evoluzionista, Meyer in uno organicistico. Per una ricostruzione del dibattitto si vedano: Moses I. Finley (ed.), The Bücher-Meyer controversy, Arno Press, New York 1979; Gian Mario Cazzaniga, Funzione e conflitto. Forme e classi nella teoria marxiana dello sviluppo, Liguori, Napoli 1981, pp. 39-50; Mario Mazza, “Meyer vs. Bucher. Il dibattito sull’economia antica nella storiografia tedesca tra Otto e Novecento”, in Società e storia, VIII, 29, 1985, pp. 507-546; Id., Economia antica e storiografia moderna, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2013, pp. 3-52.
[3] Per i principali contributi di Max Weber sul mondo antico si vedano: Max Weber, Storia agraria romana dal punto di vista del diritto pubblico e privato, tr. it. di Saverio Franchi, Il Saggiatore, Milano 1967; Id., Storia economica e sociale dell’antichità: i rapporti agrari, tr. it. di Bianca Vigorita Spagnuolo, Editori Riuniti, Roma 1981; Id., Storia economica, tr. it. di Sandro Barbera, Donzelli, Roma 2007; Id., Economia e società: la città, tr. it. di Massimo Palma, Donzelli, Roma 2016; Id., Economia e società: comunità, tr. it. di Massimo Palma, Donzelli, Roma 2016.
[4] Di Karl Polanyi e la sua scuola si vedano almeno: Karl Polanyi, Conrad M. Arensberg, Anne Pearson (eds.), Trade and Markets in the Early Empires: economies in history and theory, The Free Press, Glencoe, 1957; Karl Polanyi, The Livelihood of Man, edited by Harry W. Pearson, Academic Press, New York 1977; Id., La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, tr. it. di Roberto Vigevani, Einaudi, Torino 2010; Id., Per un nuovo Occidente. Scritti 1918-1958, a cura di Giorgio Resta e Mariavittoria Catanzariti, Il Saggiatore, Milano 2013.
[5] Di Moses Finley si vedano soprattutto: Moses I. Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, tr. it. di Gianni Di Benedetto e Francesco De Martino, Laterza, Roma-Bari, 2010; Id., L’economia degli antichi e dei moderni, tr. it. di Iole Rambelli, Laterza, Roma-Bari 2008; Id., Schiavitù antica e ideologie moderne, tr. it. di Elio Lo Cascio, Laterza, Roma-Bari, 1981; Id., Economia e società nel mondo antico, tr. it. di Sergio Rinaldi Tufi, Laterza, Roma-Bari 1984.
[6] Arnaldo Momigliano, “Prospettiva 1967 della Storia Greca”, in Id., Introduzione bibliografica alla storia greca fino a Socrate. Appendice a Gaetano de Sanctis, Storia dei Greci, La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 165-186.
[7] Per una ricostruzione profonda e articolata di questo processo di rinnovamento della storiografia marxista italiana e della sua genesi si veda: Paolo Favilli, Marxismo e storia. Saggio sull’innovazione storiografica in Italia (1945-1970), Franco Angeli, Milano 2008.
[8] Si veda in particolare: Cesare Luporini, Dialettica e materialismo, Editori Riuniti, Roma, 1974.
[9] Tra le principali pubblicazioni in sui si raccolsero i risultati (in alcuni casi ancora parziali) di questo dibattito collettivo sono da segnalare almeno: AA.VV., Analisi marxista e società antiche, a cura di Luigi Capogrossi Colognesi, Andrea Giardina, Aldo Schiavone, Analisi marxista e società antiche, Editori Riuniti, Roma 1978; Mario Vegetti, Polis ed economia nella Grecia antica, Zanichelli, Bologna 1976; Id., “Introduzione”, in Marxismo e società antica, a cura di Mario Vegetti, Feltrinelli, Milano 1977, pp. 9-65; AA.VV., Marxismo mondo antico e terzo mondo, a cura di Enrico Flores, Liguori, Napoli 1979; Andrea Carandini, L’anatomia della scimmia. La formazione economica della società prima del capitale, Einaudi, Torino 1979. Come in parte messo in rilievo da Andrea Giardina, “Perspectives on Roman History”, in Marxist History-writing for the Twenty-first Century, Oxford University Press, Oxford-New York 2007, pp. 15-31, le principali questioni esaminate riguardanti il mondo antico esaminate nel dibattito furono le seguenti: la relazione tra valore d’uso e valore di scambio; la valutazione storica del fenomeno della schiavitù; l’analisi della portata euristica di categorie marxiane come “modo di produzione”, “formazione sociale”, “formazione economico-sociale”, “processo sociale di produzione”; la questione della transizione tra modi di produzione diversi e l’analisi della distinzione tra “modo di produzione antico” e “modo di produzione schiavistico”; il ruolo dell’ideologia nel mondo antico.
[10] Cfr. Arnaldo Momigliano, “Prospettiva 1967 della Storia Greca”, cit.
[11] Come scrive Marx nei Grundrisse: «Non è necessario, perciò, per enucleare le leggi dell’economia borghese, scrivere la storia reale dei rapporti di produzione. Ma l’esatta intuizione e deduzione di tali rapporti in quanto sono essi stessi sorti storicamente, conduce sempre a prime equazione – come i numeri empirici nella scienza della natura – che rinviano ad un passato che sta alle spalle di questo sistema. Queste indicazioni, unite all’esatta comprensione del presente, offrono poi anche la chiave per intendere il passato – che è un lavoro a sé a cui pure speriamo di arrivare. Questa osservazione esatta porta d’altra parte a individuare anche dei punti nei quali c’è l’indizio di un superamento dell’attuale forma dei rapporti di produzione – e quindi un presagio del futuro, un movimento che diviene» (Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, tr. it. di Enzo Grillo, La Nuova Italia, Firenze 1970, II, p. 82).
[12] Riprendo questa distinzione tra “storia narrativa” e storia come “concetto costruito” da Alfred Schmidt, Storia e struttura. Problemi di una teoria marxista della storia, tr. it. di Giacomo Marramao, De Donato, Bari 1972, p. 46.
[13] Cfr. Carlo Ginzburg, “Le nostre parole e le loro. Una riflessione sul mestiere di storico, oggi”, in Id., La lettera uccide, Adelphi, Milano 2021,, pp. 69-86.
di Sebastiano Taccola