L’abolizione del quotidianismo mediocrista nei piaceri del palato
Il Futurismo, a partire dalla sua nascita nel febbraio 1909, ha sempre avuto come obiettivo quello di rinnovare l’Arte, considerata troppo antiquata e passatista. La rivoluzione futurista, con alla testa Filippo Tommaso Marinetti, ha toccato non solo la maggior parte dei rami dell’espressione artistica ma anche gli aspetti della vita quotidiana, come la cucina.
Il primo periodo di questa svolta culinaria, quello più sperimentale, è legato alla figura dello chef francese Jules Maincave che nel 1913 redasse il Manifeste de la cuisine futuriste,nel quale sosteneva che «da secoli l’uomo, come una bestia, si pasce. Non ha ancora mangiato»[1], proponendo una cucina adeguata alla vita moderna, che non ristagni in un «bestiale stato primitivo». Per questo attacca due baluardi delle preparazioni classiche ovvero le misture, «l’olio sposato all’aceto forma una salsa classica, ma l’idea di unire del rhum al sugo di maiale è considerata una stramberia»[2], e gli aromi, «I condimenti culinari sono ridicolmente limitati… i progressi della chimica moderna permettono di utilizzare, senza nocività, nella preparazione delle vivande, tutti i profumi conosciuti»[3].
Ma per capire cosa intendesse lo chef riportiamo una sua ricetta:
Filetto di bue alla “Fantasio”[4]
(Ora di preparazione: dalle 10 del mattino a mezzogiorno. Bevanda raccomandata: un cucchiaio da brodo di cognac in un bicchiere di acqua).
Fate cuocere un bel pezzo di filetto di bue. Tagliatelo in fettine che disporrete su un piatto fondo pieno di rhum. Lasciate marinare le vostre fette dieci minuti, poi date fuoco. Trattate le vostre fette come la classica omelette al rhum. Fate un battuto di piccoli sgombri cotti alla griglia. Adagiate questo battuto su un letto di gelatina d’una confettura di vostra scelta, di preferenza ribes. Da mangiare caldo.
Un altro manifesto importante è quello del 1920 di Irba futurista dal titolo Culinaria futurista[5] che si concentra più sulla mise en place che sul cibo. Propone che ognuno debba magiare secondo il proprio gusto e che bisogna sviluppare l’arte di disporre il cibo nel piatto, «dando ai cibi delle forme simmetriche, o anche asimmetriche, ma sempre ben definite e possibilmente architettoniche»[6]. Questa rivoluzione passa anche dall’abolizione del servizio in porcellana bianco, al grido di «Vogliamo distruggere la monotonia del pesce in bianco servito sul piatto bianco»[7], espone il progetto di creare una tavola colorata, ricca di gioia causata dalla varietà dei colori e delle forme dei piatti, per creare una sinfonia gustosa.
Filippo Tommaso Marinetti, che già nel 1905 aveva ideato le satire “gastronomiche” come Le Roi Bombance, sosteneva che la cucina moderna e futurista aveva alla base lo stupore e l’emozione. A tal proposito i futuristi crearono banchetti stravaganti come la Cena a rovescio a Trieste dove, oltre all’eliminazione delle posate per esaltare le sensazioni tattili dei cibi, si fece partire la cena con il caffè per terminarla con un Vermouth, che passa da aperitivo a digestivo[8].
La svolta si ebbe il 15 novembre 1930 quando Marinetti, all’inaugurazione del ristorante Penna d’Oca di Milano, invitato a parlare alla radio fece un proclama potente: «La cucina futurista sarà liberata dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi principi, l’abolizione della pastasciutta. La pastasciutta, per quanto gradita al palato, è una vivanda passatista, perché appesantisce, abbruttisce, illude sulla sua capacità nutritiva, rende scettici, lenti, pessimisti. È d’altra parte patriottico favorire in sostituzione il riso»[9].
Queste parole furono un attacco diretto alla tradizione italiana, causarono una grande eco che portò anche a manifestazioni popolari per la difesa della pastasciutta e non solo, anche all’estero questa notizia prese piede e fece scalpore, ad esempio il Chicago Tribune titolò: “Italy may down spaghetti” e a New York il The Herald sentenziò: “Spaghetti for Italians, Knives and Forks are banned in Futurism Manifesto on Coocking”[10].
Con il Manifesto della cucina futurista[11] si prosegue con la volontà di rinnovamento del modo di nutrirsi, «Sentiamo inoltre la necessità di impedire che l’Italiano diventi cubico massiccio impiombato da una compattezza opaca e cieca», si insiste con l’eliminazione della pastasciutta e si propone che vi sia anche «L’abolizione del quotidianismo mediocrista nei piaceri del palato». Allo stesso tempo Marinetti esorta la chimica a creare nuovi alimenti: »Invitiamo la chimica al dovere di dare presto al corpo le calorie necessarie mediante equivalenti nutritivi gratuiti di Stato, in polvere o pillole, composti albuminoidei, grassi sintetici e vitamine».
Per i futuristi il pranzo perfetto esiste e ha fra le sue caratteristiche:
–L’abolizione della forchetta e del coltello per i complessi plastici che possono dare un piacere tattile prelabiale;
– L’uso dell’arte dei profumi per favorire la degustazione. Ogni vivanda deve essere preceduta da un profumo che verrà cancellato dalla tavola mediante ventilatori;
– L’uso della musica limitato negli intervalli tra vivanda e vivanda perché non distragga la sensibilità della lingua e del palato e serva ad annientare il sapore goduto ristabilendo una verginità degustativa;
– L’uso dosato della poesia e della musica come ingredienti improvvisi per accendere con la loro intensità sensuale i sapori di una data vivanda;
– La creazione dei bocconi simultanei e cangianti che contengano dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi. Questi bocconi avranno nella cucina futurista la funzione analogica immensificante che le immagini hanno nella letteratura. Un dato boccone potrà riassumere una intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa o un intero viaggio nell’Estremo Oriente[12].
Finalmente nel 1931 venne aperto a Torino il ristorante futurista, la Taverna Santopalato, decorato all’interno dai futuristi Fillia e Nicolay Diulgheroff che tappezzarono pareti, soffitto e pavimento con dell’alluminio e lo arredarono con un arredamento minimalista antidecorativo, quasi da far sembrare il tutto come un’astronave. L’inaugurazione vide un menu di 14 portate tra cui il Carneplastico, ideato da Fillia, ed Equatore + Polo Nord, ideato da Enrico Prampolini e per capire come si era evoluta la ricerca culinaria riportiamo entrambe le ricette:
Carneplastico: è composto di una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte. Questo cilindro disposto verticalmente nel centro del piatto, è coronato da uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia che poggia su tre sfere dorate di carne di pollo;
Equatore + Polo Nord: è composto da un mare equatoriale di tuorli rossi d’uova all’ostrica con pepe sale limone. Nel centro emerge un cono di chiaro d’uovo montato e solidificato pieno di spicchi d’arancio come succose sezioni di sole. La cima del cono sarà tempestata di pezzi di tartufo nero tagliati in forma di aeroplani neri alla conquista dello zenit.
Cambiarono anche le terminologie delle pietanze, italianizzandole, come cocktail che diventa polibibita o sandwich che si tramuta in traidue.
Purtroppo, col tempo la curiosità svanì e la Taverna Santopalato chiuse già nel 1936 per problemi economici ma fu anche questo un tentativo di unione creativa tra Arte e vita, risultando a volte anche in anticipo con i tempi avendo in sé le basi della odierna nouvelle cuisine e della cucina molecolare.
Vera avanguardia, il Futurismo è riuscito a scuotere la cucina dalla stagnazione, rinnovandola e innalzandola al livello di Arte e purtroppo, per ora, questo e altri meriti non hanno ancora ricevuto il giusto riconoscimento.
Note
[1] Cucina futurista. Manifesti teorici, menu e documenti, a cura di G. A. Pautasso, p. 12, Milano, 2015.
[2] Ibid.
[3] Cucina futurista. Manifesti teorici, menu e documenti, a cura di G. A. Pautasso, p. 13, Milano, 2015.
[4] Ricetta dedicata alla rivista francese “Fantasio” che, nel numero 171 del 1° settembre 1913, ha pubblicato il Manifeste de la cuisine futuriste e intervistato Jules Maincave.
[5] Opera di Irba futurista (sotto questo pseudonimo forse si nasconde la poetessa parolibera Irene Bazzi) venne pubblicato sulla rivista “Roma futurista”, n.83 del 9 maggio 1920.
[6] Cucina futurista. Manifesti teorici, menu e documenti, a cura di G. A. Pautasso, p. 15, Milano, 2015.
[7] Cucina futurista. Manifesti teorici, menu e documenti, a cura di G. A. Pautasso, p. 16, Milano, 2015.
[8] L’eversione della cucina futurista di G. A. Pautasso in Cucina futurista. Manifesti teorici, menu e documenti, a cura di G. A. Pautasso, p. 193, Milano, 2015.
[9] F. T. Marinetti, Fillia, La cucina futurista, pp. 24/25, Milano, 1932, ristampa 2019.
[10] L’eversione della cucina futurista di G. A. Pautasso in Cucina futurista. Manifesti teorici, menu e documenti, a cura di G. A. Pautasso, p. 194, Milano, 2015.
[11] Pubblicato la prima volta il 28 dicembre 1930 sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino.
[12] F. T. Marinetti, Fillia, La cucina futurista, pp. 30/34, Milano, 1932, ristampa 2019.
di Marco Saporiti