Il reportage di Dora Maar sulla genesi di Guernica
Amaterasu, dea del sole nello shintoismo giapponese, si ritira in una caverna in seguito a un litigio con il fratello Susanoo, dio della tempesta. La lite fratricida getta il mondo (la Spagna) nell’oscurità. Per tornare a vedere la luce del sole, gli altri dèi decorano un albero con magatama (gioielli piegati) così da attrarre Amaterasu fuori dalla caverna. Memore di questi oggetti preziosi, Amaterasu deciderà di inviare il nipote Ninigi no Mikoto, munito dei monili ricurvi, a pacificare il Giappone in guerra. Non so se Picasso avesse in mente i magatama, ma divagando da un puntuale riferimento di Arnheim alle gemme giapponesi, immagino lacrime di giada, agata e diaspro incastonate negli occhi e nelle narici dei volti traumatizzati di Guernica.
In passato i dipinti progredivano verso il loro compimento per stadi; ogni giorno portava qualcosa di nuovo. Un quadro era un sommarsi di aggiunte. Nel mio caso, un quadro è una somma di distruzioni. Io faccio un quadro, poi lo distruggo.
Prolifico senza sosta, Pablo Picasso associava l’idea dell’opera compiuta all’immobilità della morte. Nel processo creativo, l’azione cosciente e quella inconscia sono indistinguibili l’una dall’altra quanto la superficie interna ed esterna del nastro di Möbius. Il pensiero dell’artista si mostra nelle figure che crea e le diverse interpretazioni formali di un soggetto rendono manifesto il punto di vista dell’autore. Nel diradarsi delle interferenze dovute all’auto osservazione, Picasso diventa consapevole del processo creativo della sua monumentale Guernica grazie alla serie di fotografie di Dora Maar.
Nata Henriette Theodora Marković(Parigi 1907-1997), Dora Maar avvia un’intensa attività fotografica nella Parigi dei primi anni Trenta. Alla tranquillità dello studio, preferisce la periferia degli Zonard dove fotografa mendicanti, vagabondi e madri sole ad allevare i figli piccoli in baracche di fortuna. L’attenzione alle tematiche sociali non pone alcun freno alla sperimentazione delle tecniche fotografiche tanto che i suoi fotomontaggi e paradossi visivi riscuotono ammirazione tra gli esponenti del Surrealismo parigino. Una delle immagini surrealiste più famose al mondo è proprio di Dora Maar: Ubu, un feto di armadillo. Politicamente attiva, firma il manifesto Appel à la lutte pubblicato da André Breton nel febbraio del 1934. La Maar è dunque un’affermata fotografa quando nel 1936 incontra Picasso e ne diventa musa e amante. Probabilmente la decisione di Picasso di rappresentare lo strazio del bombardamento nazista durante la guerra civile spagnola è stata suggerita dalla stessa Maar.
La Seconda Repubblica Spagnola aveva commissionato a Picasso un murale per il padiglione nazionale in occasione dell’Esposizione Internazionale di Parigi prevista dal 25 maggio al 25 novembre 1937. Il pittore doveva ancora definire il soggetto della sua opera quando lunedì 26 aprile, affollata per il mercato, la città basca di Guernica viene bombardata.
Tra 11 maggio e 4 giugno, Dora Maar documenta il lavoro di Picasso nello studio di Rue des Grands-Augustins. Nonostante la dimensione della tela (3,49 m x 7,77 m) e la scarsa luminosità dello studio fossero condizioni sfavorevoli, la fotografa ha saputo ottenere immagini di forte impatto grazie al ritocco fotografico e all’impiego di un negativo intermedio (internegativo) per eseguire stampe a partire da diapositive. Le fotografie di Dora Maar sono state significative non solo per la successiva comprensione del lavoro di Picasso, ma anche per aver contribuito a condizionare il processo creativo del pittore, illuminato dall’uso della macchina fotografica non per fissare le fasi di un dipinto, bensì la sua metamorfosi.
L’immaginario surrealista di fotografie multiple e trasformazioni biomorfe pulsa nelle stampe di Dora Maar sospingendo i disegni preparatori verso nuove direzioni. Picasso ha dichiarato di essersi ispirato alla tavolozza monocroma e all’illuminazione tagliente usata da Dora Maar per far risaltare le sue figure dipinte. La lampada al centro della composizione è un esplicito riferimento all’attrezzatura fotografica della Maar, trasferitasi nello studio del pittore.
Esposta per la prima volta il 12 luglio 1937, in occasione dell’apertura del padiglione spagnolo, Guernica viene inviata oltreoceano allo scoppio della seconda guerra mondiale. Custodita presso il MoMA di New York, tornerà in Spagna solo nel 1981, sei anni dopo la morte di Franco. Dal 1992 è esposta al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid dove sono conservate ventotto fotografie del reportage di Dora Maar.
Ogni opera per avere un rapporto, un nesso con la posterità, deve essere vista al momento giusto.
Possiamo avere davanti a noi dei testi plastici, pittorici, letterari di somma importanza; li vediamo, li leggiamo, possono sembrarci anche interessanti, anche curiosi; ma rimangono separati da noi e non ci sollecitano quella rielaborazione formale che avviene sempre al momento giusto.
E il momento giusto viene colto dai grandi artisti e sperimentatori. Nel 1957 Picasso realizza un ciclo di 58 studi e dipinti dove rielabora Las Meninas (1656) di Diego Velásquez.
La stessa tela è stata di ispirazione al fotografo Helmut Newton per comporre il Self portrait with wife and models (1981). L’occhio dell’osservatore palleggia inesorabilmente da un riflesso all’altro, da un campo all’altro. Sospendendo il lavoro per la pubblicità di un’impermeabile, il fotografo compone la scena intagliando diversi piani visivi: una modella nuda e di spalle in primissimo piano, un paio di gambe rigorosamente nude e con tacchi riflesse dallo specchio centrale e la moglie June mentre osserva seduta al margine dell’inquadratura.
Come di fronte a Las Meninas di Velázquez, restiamo spiazzati dal calembour percettivo: difficile, al primo sguardo, distinguere tra realtà e specchio, tra voyeur e guardato, tra soggetto e oggetto del guardare. L’autore dello scatto appare infatti riflesso nello specchio, infagottato nell’impermeabile sottratto all’indossatrice. A differenza del dipinto di Velázquez, la moltiplicazione di piani nell’immagine di Newton trova una battuta d’arresto nel fondale bianco che chiude il campo visivo. D’altra parte, il soggetto dell’immagine è dichiarato: si tratta di un autoritratto. Il percorso di lettura, superate le gambe vertiginose e lo sguardo di June dritto in camera (o al marito), termina coerentemente nella figura del fotografo, stretto nell’impasse di un fondale cieco.
Nella ricerca di equilibrio e essenzialità formale, Newton reinterpreta celebri dipinti della storia dell’arte per descrivere il suo punto di vista sulle donne. In After Velázquez, in my apartment (1981) sostituisce lo specchio del dipinto Venere allo specchio (1647) con lo schermo di un televisore, ironizzando sulla tecnica di riproduzione dell’immagine.
Bibliografia
R. Arnheim, Guernica. Genesi di un dipinto, Abscondita 2005 pp. 121 e 102
F. Zeri, Dietro l’immagine. Conversazioni sull’arte di leggere l’arte, Longanesi 1987 p. 64
di Anna Laviosa