Il compimento del cinema sonoro
“Il cinema sonoro non soppianterà mai il muto” (Thomas Alva Edison)
Il cantante di Jazz, film del 1927, è stato il primo film sonoro della storia del cinema. Tutti sappiamo che il cinema sonoro ha portato a compimento un’arte, quella del cinema muto, a cui mancavano solo i suoni per essere perfetta. Tutti lo sappiamo, tutti lo pensiamo e tutti ci sbagliamo. Ci sbagliamo oltretutto su almeno due piani: uno di fatto, l’altro di principio. Sul piano dei fatti storici, relativamente al primato dell’invenzione tecnologica del cinema sonoro, bisognerebbe considerare che già nel 1894 Thomas Alva Edison era riuscito a creare un apparecchio audiovisivo sincronizzando il Kinetoscopio, un preistorico visore a manovella (grande come un juke-box) col Fonografo (strumento sempre di sua invenzione). Chissà se nelle varie fiere e sotto i vari tendoni delle mostre dell’epoca gli spettatori avranno potuto assistere a un cortometraggio, rigorosamente in formato 35mm (anche questo da lui inventato) in cui non solo si vedeva lo stesso Edison, ma in cuffia lo si sentiva di nuovo recitare e canticchiare la nota filastrocca Mary had a little lamb? Di fatto sappiamo che i due uomini che ballano allacciati al suono di un violino stonato in The Gay Brothers di William Dickson (co-inventore del Kinetoscopio e del Kinetophone con Edison)rappresentano il primo filmato sonoro della storia pervenutoci.
Con l’invenzione del Kinetophone forse Edison pensava di aver avuto successo là dove Michelangelo aveva fallito con il suo Mosé, ma il Kinetophone invece non avrà la fortuna commerciale del Kinetoscopio (troppi problemi di sincronia tra suono e immagini). Tuttavia l’idea ispirerà altri inventori e industriali francesi, tra cui i Lumière ovviamente, ma non solo. Monsieur Gaumont, grazie al geniale aiuto di Alice Guy, la prima e misconosciuta regista donna, a partire dal 1902 produrrà diversi film sonori, i chronophone e phonoscene. Questi sistemi di sincronizzazione di suono e immagini utilizzavano un grammofono, esattamente come il Vitaphone, sperimentato assieme alla compagnia Western Electric dalla Warner Bros per la prima volta nel 1926 (un anno prima de Il cantante di Jazz) con il film Don Juan (largo successo di pubblico). Alla fine non sarà però il sistema Vitaphone che si imporrà, ma l’idea del francese Eugene Lauste che già nel 1906 aveva concepito un sistema di lettura ottica del suono impresso direttamente sulla pellicola.
Sovente il soggetto dei primi filmati sonori erano cantanti che si esibivano nei loro successi musicali, oppure film con grandiosi commenti di musica classica (come il citato Don Juan). Il che ci porta al secondo punto dell’errore in cui tutti noi cadiamo nel momento in cui pensiamo all’avvento del sonoro; l’errore concettuale o di principio: immaginare che il cinema sonoro sia stato il completamento del cinema muto e che il cinema sia giunto a perfezione dopo il compimento della sincronizzazione di suoni, in particolare della voce umana, con le immagini in movimento. Credere insomma che il cinema sia una specie di miracolato: nato muto, improvvisamente, grazie ai prodigi della tecnica, acquista poi (wow!) la parola. Invece fin dall’inizio è forse vero il contrario e non solo nelle intenzioni “audiovisionarie” di Edison.
Se cadiamo nell’equivoco di un cinema assolutamente muto è per l’enfasi data agli spettacoli cinematografici ai loro inizi, al cinema dei nickelodeon, delle fiere o dei parlor; un cinema certamente povero o anche talvolta privo di suoni. Tale enfasi si fonda sull’idea che il silente scorrere delle immagini sia coerente col silenzio della fotografia, di cui il cinema sarebbe la progenie. All’immagine un po’ cimiteriale di un cinema silenzioso come Narciso e lo stagno in cui si specchia, dovremmo invece sostituire quella clownesca di un Harpo Marx che non parlava mai, ma si faceva capire e sentire benissimo semplicemente suonando in una trombetta. Infatti anche nel cinema primitivo, nei circhi, nei luna park, ossia nel cosiddetto cinema delle attrazioni, almeno un pianoforte è spesso stato presente, non fosse che per coprire i rumori della macchina di proiezione e, dato che gran parte del pubblico era analfabeta, non mancavano nemmeno gli imbonitori per illustrare a voce le scene.
Se il cinema non nasce perfettamente audiovisivo si sviluppa quindi audiovisivamente fin dal principio della sua storia, anche senza aspettare la giusta sincronia e, in quanto spettacolo, se è figlio della fotografia lo è però altrettanto delle arie d’Opera, delle canzoni popolari o, a seconda dei gusti e delle tasche dello spettatore, di cabaret, vaudeville e persino, nel momento in cui ci si pone il problema dell’amplificazione, a detta di qualcuno è figlio della radio (il che chiarirebbe molto la sigla iniziale della RKO) e persino del telefono (con l’ingenuo Giovanni Rappazzo al posto di Meucci).
In verità, dunque, la storia dei rapporti tra suono e immagini in movimento è più complessa dello schematismo a cui siamo abituati: il cinema non è mai stato muto, non del tutto perlomeno, è quasi sempre stato almeno “melodico”. Anzi la fortuna del cinema, così come lo conosciamo, s’è realizzata proprio grazie a uno stretto legame con la musica.
Perché il cinema potesse uscire dai tendoni romanticamente zingareschi del luna park o del circo (e conquistasse poi i teatri) serviva che la smettesse di fare il trucco da baraccone, il puro divertimento plebeo, votato allo stupore facile, per attrarre lo smaliziato (e più danaroso) pubblico borghese, il quale ambiva a storie non solamente colte e/o edificanti (specie nei bigotti USA) ma anche a storie raccontate per mezzo del commento emotivo della musica. Già nel 1908 appare la prima colonna sonora appositamente composta per un film, L’assassinio del Duca di Guisa; autore Camille Saint-Saëns.
Come spiegare allora la ferrea e diffusa convinzione che Il cantante di Jazz sia stato il primo film sonoro della storia del cinema? Come spiegarlo, oltretutto, dato che si tratta d’un film muto con didascalie, con musica sincronizzata e, in tutto il film, quasi una sola frase: «Aspettate, non avete ancora sentito nulla!», che, secondo la leggenda, parrebbe sia stata registrata per errore dal fonico?
Il motivo in parte risiede innanzitutto nella musica e nell’interpretazione di Al Jolson, cantante, ballerino, artista di vaudeville, un concentrato di tutte le qualità del cinema prodotto fino al 1927. Uomo giusto al momento giusto, Al Jolson decretò il successo mondiale del film, tanto da creare una specie di «febbre del sonoro», una corsa alla produzione di film sonori.
D’altro canto tale successo sarebbe inspiegabile se non considerassimo che il film incarna la natura mediaticamente ibrida del primo cinema sonoro. Ispirandosi a due stili di Jazz, Marshall McLuhan ha definito «caldi» i media che non richiedono grande sforzo da parte del pubblico, perché tutte le informazioni tendono a saturare un unico canale sensoriale (il senso della vista oppure quello dell’udito). Al contrario sono «freddi» i media in cui non tutto è dato e l’individuo è chiamato a integrare le informazioni. La sincronizzazione meccanizzata di immagini di buona qualità e di suoni di bassa qualità (amplificati invece che suonati dal vivo) ha «raffreddato» il cinema, creando un media caldo e freddo, borghese e plebeo, passivo e attivo, visivo e sonoro, hot e cool Jazz allo stesso tempo. Un media affascinante e travolgente, esattamente come lo è stato il cantante di Jazz a suo tempo.
L’avvento del sonoro promosso dal film con Al Jolson è stato così un nuovo inizio. Per dirla con l’I Ching, dopo il compimento del cinema sonoro si è siglato di nuovo quel legame stretto, ma a lungo ignorato, tra immagini filmiche, musica e parole del cinema degli primissimi inizi. Un legame in fondo emblematicamente rappresentato dal fatto che l’unico Oscar ricevuto in vita sua da Charlie Chaplin, volto per eccellenza del cinema silenzioso, è stato quello ricevuto per Luci della Città del 1931. Oscar al miglior attore? Oscar alla miglior regia? No. Oscar alla miglior colonna sonora originale in un film muto.