Il comunismo come progetto

Ovvero: l’osteria dell’avvenire



Nel corso dei suoi centocinquant’anni di vita, raramente il movimento social-comunista ha tematizzato il problema del “giorno dopo”. «Movimento reale che abolisce lo stato di cose presente» (Engels Marx 1983, p. 25), il comunismo è stato più una parola d’ordine per la lotta immediata che l’effettiva prefigurazione di un mondo che verrà. A partire da Marx ed Engels, lo sforzo principale dei teorici più avvertiti è stato, in altre parole, teso a radicare la battaglia nelle concrete condizioni storiche e sociali. Scelta comprensibile, sia per evitare di ricalcare le strade già battute dei socialismi utopistici sette e ottocenteschi – forme particolari di filosofie del dover-essere, che come già ricordava Hegel, «sa Dio dove dovrebbe essere» (Hegel 2004, p. 13) – , sia per non lasciare spazio a forme di teleologia deteriore, per cui la Storia si sarebbe incaricata di realizzare ciò che l’umanità non era capace di fare.

Il rischio è stato solo parzialmente scongiurato. L’avvento dello stalinismo e il culto dello Stato sovietico ha avuto, tra le altre, due conseguenze strettamente correlate. Il progressivo abbandono dell’opzione rivoluzionaria mondiale, in nome del rafforzamento del socialismo in un Paese solo. E, quindi, l’identificazione del comunismo con l’avvento del regno futuro della felicità dell’abbondanza della pace e di tutto ciò che di positivo si può desiderare amen.

Trentacinque anni fa cadeva il muro di Berlino infrangendo le promesse di un futuro luminoso. La Storia, qualcuno ha sostenuto, era finalmente terminata. Non era ovviamente vero: crisi, guerre ed epidemie hanno sconvolto in questi decenni, e sconvolgono tutt’ora, il pianeta. Mai l’umanità si è trovata così vicina alla «rovina comune delle classi in lotta» (Engels Marx 2005, p. 6). Chi oggi non si rassegna alla grigia desolazione del presente ha perciò il compito di ricominciare a tessere i fili. A partire da quella parola d’ordine che un tempo terrorizzava «tutte le potenze della vecchia Europa» (ivi, p. 3): il comunismo.

Dicevamo che il comunismo è stato definito il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Conviene riprendere il passo per intero.

«Il comunismo – scrivono Marx ed Engels – per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente» (Engels Marx 1983, p. 25).

In queste righe si annidano almeno tre contraddizioni. Primo, per combattere la teleologia Marx ed Engels finiscono per assumerla al proprio servizio. Contrapponendo il fine trasformativo al processo di trasformazione – e identificando il comunismo con quest’ultimo – i due autori sono implicitamente costretti a considerare l’esito della trasformazione come predeterminato. Il comunismo sarà perché è nell’ordine delle cose. «La Storia non fa niente» (Engels Marx 1972, p. 103), ci ricordano altrove. È l’essere umano che fa, agisce, lotta, muta le condizioni del suo vivere. L’essere umano che è in grado di sapersi, di comprendere il mondo e di modificarlo. Tuttavia questa affermazione viene qui messa tra parentesi. Indipendentemente da ciò che l’essere umano pensa e vuole (dagli ideali che realizza nella realtà), la «vecchia talpa» (Marx 1977 p. 205) della rivoluzione comunista continua a scavare in profondità, in attesa di balzare fuori e inaugurare una nuova era.

Questa contrapposizione tra fini e processo riflette una seconda contraddizione, quella tra soggetto e oggetto. La realtà il suo movimento sono qui scissi e contrapposti all’essere umano, al soggetto agente. Il comunismo non è un ideale, uno scopo che gli esseri umani – o una sua parte – si prefiggono. Esso è il movimento reale – in tedesco «wirkliche Bewegung», dove “wirkliche” (reale) è da intendere come essenziale, non meramente fenomenico – che si pone oggettivamente e si realizza da sé.

Come da questo possa scaturire il momento politico, e veniamo alla terza contraddizione, diventa allora incomprensibile. In quanto regno dei mezzi commisurati ai fini, per fare politica è necessario innanzitutto rendere espliciti e consapevoli gli scopi della propria azione, gli ideali che si vogliono realizzare. In altre parole, l’attività politica chiede a gran voce l’elaborazione di un progetto. Non ci dilunghiamo qui sul fatto che la capacità di elaborare un progetto nella testa prima che nella realtà è ciò che massime contraddistingue l’essere umano e che pertanto si può ben dire che esso è πολιτικὸν ζῷον (politikòn zôon, animale politico). Se il comunismo non è un’ideale né un fine, allora esso cade al di fuori della politica: è un fatto naturale tanto quanto la rivoluzione della Terra intorno al Sole.



Come uscire dall’impasse? L’ultima considerazione fatta forse ci può essere d’aiuto. Fini e mezzi infatti non stanno in un rapporto di simultaneità. Dati i fini, non sono dati immediatamente anche i mezzi per realizzarli. Soprattutto, la realizzazione dei fini è per forza di cose separata nel tempo (e nello spazio) dal momento in cui vengono posti. Questa discrasia temporale – e ciò che permette di unire i due momenti (da una parte mezzi e fini; dall’altra fini preposti e fini realizzati) è precisamente la condizione di possibilità del movimento del reale.

Movimento da intendersi qui non come cosa separata dai soggetti agenti (come nel brano marx-engelsiano), ma piuttosto come realizzazione dell’azione, la quale «siccome trasposta in esteriore esserci, il quale secondo la sua connessione nella necessità esterna si sviluppa da tutti i lati, ha conseguenze molteplici» (Hegel 2004, p. 102). In altre parole, il «movimento reale» altro non è che il processo storico, di cui l’essere umano è parte attiva, modificando il mondo ereditato dal passato.

Calato nella dimensione più propriamente politica della lotta, il comunismo è sì processo, ma processo intenzionale, voluto: progetto politico da realizzare.

Non perché esso si possa affermare per gradi successivi, un passo per volta. Quasi che il giorno in cui sorgerà il Sol dell’Avvenire venga «come un ladro di notte» (1T, 5). Così si sostituirebbe la teleologia con il piatto evoluzionismo.

Come scriveva Daniel Bensaïd la rivoluzione è piuttosto «imprudenza creatrice» (Bensaïd 2007, p. 84). È sempre in anticipo o in ritardo sui tempi, non arriva mai al momento giusto. La virtualità di possibili si dischiude nell’«adesso» dell’evento rivoluzionario, «piccola porta attraverso la quale [può] entrare il messia» (Benjamin 1997, p. 57). Il progetto politico che fino a quel momento si era sviluppato come processo si converte nell’evento: nella rottura della monotonia temporale della quotidianità (il nuovo calendario del 1793 – «compendio storico accelerato», ivi p. 49 –, le fucilate contro gli orologi dei campanili a Parigi durante la Rivoluzione di Luglio…).

Il comunismo è progetto perché le condizioni della sua realizzazione sono contenute, come possibilità, nel presente: nei concreti mezzi di cui ci si dota per lottare contro lo status quo.

«L’organizzazione politica del proletariato è anche una diversa cornice di appercezione per una prassi costitutiva dell’oggetto, perché, se forse è ancora permeata dall’irrazionalità del lavoro astratto, implica però già un superamento del lavoro astratto, dell’isolamento degli individui, ed implica dunque forme di relazione solidali: e ciò comporta una diversa unità del mondo della percezione e del concetto» (Krahl 1973, p. 322).

Il problema del “giorno dopo” diviene così il problema dell’“oggi”. E il comunismo può finalmente tornare ad essere un’alternativa realistica alla barbarie che viviamo.

Bibliografia
W. Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi, Torino 1997, pp. 45-7.
D. Bensaïd, Marx l’intempestivo, trad. di C. Arruzza, Edizioni Alegre, Roma 2007
G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, trad. di G. Marini, Laterza, Roma-Bari, 2004
H. J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, trad. di S. de Waal, Jaca Book, Milano 1973
K. Marx F. Engels, L’ideologia tedesca, trad. di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1983
K. Marx F. Engels, La sacra famiglia, trad. di A. Zanardo, Editori Riuniti, Roma 1972
K. Marx F. Engels, Il manifesto del partito comunista, trad. di D. Losurdo, Laterza, Roma-Bari 2005
K. Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, trad. di P. Togliatti, Editori Riuniti, Roma 1977
Paolo di Tarso, Prima lettera ai Tessalonicesi, in La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2009

di Simone Coletto

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Autore

  • Laureato in Filosofia, in Scienze filosofiche e poi anche in Storia per onorare il proverbio secondo cui non ci può mai essere il due senza il tre, si occupa di politica mentre attende sia il momento di fare la rivoluzione. Nel frattempo fa anche MMA, per cui quando sarà il momento converrà essere dal suo stesso lato della barricata.

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