L’immanenza dell’informe in Bataille




Riconosciamo a Georges Bataille il merito di aver innescato la rivoluzione sotterranea che per Hegel precede l’attualizzazione delle grandi rivoluzioni visibili, l’essere all’origine di un materialismo che pone segretamente in opera il lato negativo della dialettica contro quanti la relegano nella ‘bottega dell’antiquario’, facendo della negatività un’astrazione trascendentale1. A centoventisei anni dalla nascita, col puntello editoriale dell’eterogenea produzione batailleana, può sembrare doveroso introdurvi un senso, interrogare lo stupore ossessionante che vincola intimamente disorientandoci dalla e nella cosa. Ciò risponderebbe all’esigenza di immolare Bataille per una causa, quella di un sovversivo movimento comuniale, e coronarlo dell’autorità «che questa ragione servile sarebbe incantata di stabilire al di sopra di lei, per poterne parlare come un funzionario autorizzato»2. Allora il filosofo si collocherebbe presso la sua causa, chi ne scrive presso di lui, nella grande catena d’asservimento teleologico che estrinseca l’intimità nella rappresentazione del legame, delegando alla causalità esterna l’onere di rifletterci e determinarci come questa o quella coscienza. Ci sottoporremmo alla cecità della mediazione atta ad elevarci dalla nostra insignificante miniatura (ma a garanzia di essa), lasceremmo parlare uno spirito superiore che ci impartisce un qualche dover essere positivo, votato ai grandi fini della cessazione del dolore, della salvezza, della scienza universale o della lotta di classe. È sempre a partire da altro (e per altro) che trascendiamo, dislocandoci, il magma amorfo del reale; lo facciamo a patto di lasciarci trasformare, circoscrivere e possedere dal movimento autoriferito di una qualche sapienza superiore, sicché l’accordo tra padronanza e non-padronanza continui a funzionare. Ogni operazione praticabile sul piano della storia ed ogni forma pensabile dalla filosofia obbediscono allo stesso panlogismo, imprigionando il reale nel ‘sospiro della creatura oppressa’, votando l’ultima all’isolamento della sua sospensione: finché è possibile sostare presso il negativo, la questione soggettiva è rinviata, la ‘dittatura dello spirito’ è imperante. L’accordo deve saltare.

Nel momento in cui scrivo, trascendere la massa è come sputare in aria: lo sputo ricade… La trascendenza (l’esistenza nobile, il disprezzo morale, l’atteggiamento sublime) è caduta nella commedia. Noi trascendiamo ancora l’esistenza infiacchita: ma a patto di perderci nell’immanenza, di lottare da pari e per tutti gli altri. (…) Se non fossi io stesso al livello di un operaio, sentirei la mia trascendenza al di sopra di lui come uno sputo sospeso sulla mia testa3.



Il negativo sospeso dialetticamente: l’interdetto per l’erotismo, il sistema per il soggetto, l’autorità di Bataille per noi. Questi valori-limite sono possibili, è anzi inevitabile mantenerli, sono sputati dalla divisione operativa che ci consegna ad un’incomunicabilità inesorabile – l’astrazione filosofica tesa a unificare accumulando per tappe quanto scinde e l’azione produttiva consacrata all’acquisizione di quanto poniamo nella durata come fine estrinseco. È in queste operazioni che si decreta l’integrità dell’essere astraendola dalla sua part maudite, che il movimento della trascendenza, la rimozione idealista della cosa dall’immanenza, dimezza la perdita truccandone il volto e «conferisce alle nostre arie di “lucidità” un valore di menzogna»4. La negatività messa in opera dall’idealismo tocca il limite del possibile, il nulla dell’essere, mascherando la consumazione degli oggetti, la lacerazione insanabile che apre il determinato «agli influssi estranei»5, nella mediazione conoscitiva dei limiti stessi entro cui gli oggetti vengono forgiati. L’attività dello spirito trapassa infatti ogni forma conservandola, lacera la corrispondenza con la cosa ricucendo il limite dell’identità nell’al di là del nulla attraverso cui contemplo un che cosa accresciuto come un chi superiore.



Il mondo progrediente è il risultato della rimozione che esige il resto come contropartita della padronanza a venire, la risposta ad una chiamata che mi eleva al prezzo di rimbombare come eco inesaudito alle mie spalle. La tensione attualizzata nei termini del progetto ci condensa nell’isolamento della sostanza autonoma, più che consegnarci al reale ci previene come dividuum dalla discesa senza ritorno, dalla perdita senza contropartita: nella tensione che proviene da me, l’eccesso desiderante per cui mi trapasso, il trascendimento impartisce al di sopra di me i valori-limite, l’imperativo del mio scadimento. La negazione della negazione di stampo hegeliano tanto quanto il monismo platonico che riverbera nella mistica cristiana sono bersaglio della messa in discussione dell’integrità dell’essere: la lacerazione propria della fuoriuscita (excessus, extasis) dall’‘in sé’ concluso transita, come a voler limitare la proliferazione degli effetti dello choc, nella sostitutiva affermazione di una causa esterna originaria, lo spirito assoluto e il ‘nullo fondamento infondato’ dei mistici. La priorità del negativo come principio originario implica una riconversione degli effetti eterogenei all’unità medesima per garantirne la conformità, una ricaduta che si pone nuovamente dietro il simulacro dell’ascesi orientando l’eccedenza, la perdita di forma, a rifluire nella trascendenza superformis. Il fine dell’effettuarsi del negativo astratto si rivela essere la conservazione della soglia liminale del nulla come valore positivo, la concentrazione dell’eccesso truccato, del rimosso, in un punto in grado di imbastire l’ordinamento del reale tramite la conoscenza e il lavoro: all’al di là del nulla risponde una realtà sospesa nell’al di qua del possibile. Ogni sintesi, lasciando inviolato quanto custodisce come limite prolifico, rendendo un punto cieco del pensiero o un’impotenza nell’azione garanzie fondanti le rispettive attività (il quid o la sostanza per l’idea, il tabù per il lavoro), scongiura il contagio trasversale dell’immanenza che aprirebbe, invece, «la comunicazione allo stesso livello senza scendere o risalire»6. Nella rimozione dal suo continuum il reale viene infatti dischiuso all’uso funzionale che rilancia indefinitamente l’operazione stessa senza che sia possibile contestarne le regole dal di fuori. L’umanità appare sotto le mentite spoglie della coscienza fintantoché viene reinvestita nell’automatismo della tensione utopica, laddove la sommossa contro il regime dell’utilizzabile, in cui il limite sospeso congiura invece il contagio, ne rivela il fondo atopico, il carattere intermittente dell’essere locus sui. Per Bataille sembra essere solamente questo tacito accordo, atto a rilasciare l’eccesso a patto di riassorbirlo come valore-limite, a mantenere fermo ‘il nulla nell’essere’ ed evitare che precipiti in un moto accelerato in grado di provocare la scolatura dell’essere stesso, decretandone l’impossibilità.

Nel culmine, ciò che mi attirava – che corrispondeva al desiderio – era il superamento dei limiti dell’essere. E nella tensione della volontà, essendo lo scadimento (il mio o quello dell’oggetto di un desiderio) segno del superamento, in modo esplicito era voluto da me. Era la grandezza del male, dello scadimento, del nulla, quella che conferiva valore alla trascendenza positiva, ai comandamenti della morale. Ero abituato a questo gioco…7



Il libertino de Les Cent Vingt Journées asserisce come causa della sua eccitazione una negatività impraticabile tramite il rovesciamento di una positività, un male trascendentale che astenendosi dal riportare a sé i suoi effetti, abbandonandoli alla deviazione della contaminazione senza riconvertirli al suo telos, si ripercuota all’infinito. L’iraconda frustrazione che sovrasta i libertini facendoli scadere nella monotonia sadica è sintomo dell’inaccessibilità immediata al male impersonale e unicamente distruttivo che essi agognano d’incarnare; prigionieri della mediazione del male parziale, essi ricorrono all’accelerazione, moltiplicazione degli oggetti e degli atti criminali, ed alla condensazione, lo svuotamento apatico dalle voluttà personalistiche. L’insurrezione della raison contro le alienanti condizioni esteriori precipita, al limite del possibile, nel parossismo di un movimento in cui si vede costretta a rivoltarsi contro sé stessa, a negarsi come intermediario di una realtà che declama ovunque la prigionia dell’essere. Laddove la padronanza della raison si eclissa al limite del nulla, una negatività totale s’impossessa con e contro essa del cosmo obbediente, irrompe nel reale deformandone le misure fino a impedirne il riconoscimento, gareggia con l’uomo per il raggiungimento della massima ignominia, mina le condizioni di possibilità di qualsivoglia ordinamento. La natura malvagia o l’idea del male sgrava la raison dalle autorità che essa sarebbe tentata di porre al di fuori, aggravandone dall’interno la caduta nell’impossibile, in ciò che dal punto di vista della veglia è un’iperrealtà rovesciata. Nell’ascesa alla bassezza dell’impersonale, automutilandosi dalla pretesa di riportare a sé la totalità dischiusa, l’uomo sovrano si consegna all’insubordinazione dell’effetto più basso e rivoltoso della causa prima. «È possibile essere in tutta libertà un giocattolo del male se il male stesso non ha da rispondere davanti a Dio»8.



Il movimento di auto-negazione della trascendenza creatrice vede il suo culmine nella rimozione dagli effetti in cui ha avuto luogo il diniego e che essa ha ordinato a sé come fine ultimo a cui tendere; sicché, mentre la trascendenza si polarizza all’apice come superessenzialità o soggetto assoluto, coagula di riflesso entro di sé un movimento contrario che a sua volta si ritrae nella sua autonomia resistendole. All’imperativo della duplice negazione che tenta di colmare il varco in cui sprofonda il reale orientandolo al suo vertice si sovrappone l’eco inatteso dal fondo rovesciato della materia-male che, smentendo l’integrità delle forme, raddoppia la perdita. L’eccedenza che schiude l’assoluta trascendenza del nulla all’eterogeneo riverbera, come fosse una seconda caduta atta ad acuire la prima, una deviazione immanente dalla riconversione all’unità integrale, nell’indistinta proliferazione della materia-male. Proprio quest’apertura dell’essere ai movimenti sotterranei delle ‘emanazioni paludose’, agli scarti invisibili nel regno dominato dalla ragione a sua volta asservita all’idea, ne rovescia l’istanza di fondamento indiscusso provocandone il precipizio entro il varco della creazione. Se come per Proclo la causa è al sommo grado ciò che sono i suoi effetti, una singolare deriva della successiva mistica neoplatonica cristiana definisce la materia «informe, perché è prossima all’informità della sapienza divina»9. Ciò comporta da un lato l’abbassamento della metafisica monista e idealista, non già il suo annichilamento ma lo smascheramento della pantomima dell’autorità su cui poggia. Dall’altro, mentre il rovesciamento valoriale sadiano vede l’ipostatizzazione dell’idea del male e dunque il delitto come condizione dell’accesso all’immanenza, il materialismo di Bataille si afferma quale attività eccentrica, irriducibile alla mediazione dialettica dell’idealismo ed, al contempo, visceralmente interna ad esso. Nel minuscolo dizionario che in Documents si propone di mostrare il doppio volto dell’uso funzionale e rappresentativo attribuito alle parole, viene data una definizione dell’aggettivo ‘informe’ come «termine che serve a declassare, esigendo in generale che ogni cosa abbia la sua forma»10. L’attività informe fa retrocedere l’assolutezza della tesi di un universo formato, la pretesa che il reale aderisca all’idea, fuoriuscendo come tensione indistinta, perdita disorientante del limite insondabile, all’interno dello spostamento dialettico del limite stesso. L’‘in sé’ concluso, la trascendenza che ogni monismo sospende come presupposto inindagato a garanzia del progresso e dell’unità del suo sapere, il fatto sociale o biologico per la scienza materialista, il surplus per l’economia capitalista, tanto quanto lo spirito per l’idealismo, si schiude al culmine del diniego come un imbellettato residuo posticcio e, con esso, l’integrità e l’autorevolezza del sapere come un gioco di prestigio. Nello scavo del fondo della negatività sospesa che emerge come forma pura Bataille continua a giocare per sottrarci all’incanto, lo fa all’altezza del nulla, de-realizzando il dettaglio inutile, giocandoci nella tensione indistinta che invera la totalità impossibile. «Ci sono dunque due mondi. Non questo mondo e poi l’altro mondo, ma il mondo dell’identità e della sua alterazione. L’assenza di Dio non è più chiusura: è l’apertura dell’infinità. L’assenza di Dio è più grande, più divina di Dio»11.

Note
1. «Le grandi e folgoranti rivoluzioni devono essere precedute da una rivoluzione intima e silenziosa nello spirito dell’epoca, che non a tutti è visibile» in G.W.F. Hegel, Scritti teologici giovanili, a cura di N. Vaccaro e E. Mirri, Guida, Napoli 1977, vol. 1, p. 311.
2. G. Bataille, Il basso materialismo e la gnosi in Documents, Dedalo, Bari 2022, p. 103.
3. G. Bataille, Su Nietzsche, SE, Milano 2017, p. 185.
4. G. Bataille, L’Impossibile, ES, Milano 1999, p. 107.
5. «Il conservare stesso racchiude in sé il negativo, che qualcosa è elevato dalla sua immediatezza e quindi da una esistenza aperta agli influssi estranei, al fine di ritenerlo. Così il rilevato è insieme un conservato, il quale ha perduto soltanto la sua immediatezza, ma non è perciò annullato (vernichtet)» in G.W.F. Hegel, Scienza della logica (1812), tr. it. di A. Moni, revisioni a cura di C. Cesa, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 100.
6. G. Bataille, Su Nietzsche, cit., p. 173.
7. Ibidem.
8. G. Bataille, Il basso materialismo e la gnosi in Documents, cit., p. 102.
9. Giovanni Scoto, Sulle nature dell’universo, III, tr. it. di Michela Pereira a cura di Peter Dronke, Fondazione Valla, Cles (TN) 2014, p. 161 (681c).
10. G. Bataille, Dizionario critico in Documents, p.165.
11. G. Bataille cit. in D. Hollier, Le matérialisme dualiste de Georges Bataille in Tel Quel, n. 25, 1966, pp. 47-49.


di Sara Bruciamonti

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