Quando il gioco si fa giovane…
«Una risata vi seppellirà»
Anonimo anarchico
«Cosa? È finita? Hai detto finita?
Non finisce proprio niente se non
l’abbiamo deciso noi. È forse finita
quando i tedeschi bombardarono
Pearl Harbour? Col cazzo che è
finita! E qui non finisce, perché
quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare»
Bluto in Animal House
È sempre più evidente un problema sociale che affligge l’Italia. Una vera tragedia di cui tuttavia non si parla a sufficienza. Anzi di cui non si parla affatto. Mi riferisco al dramma dell’esuberanza giovanile.
La stragrande maggioranza dei giovani italiani è infatti in esubero. Chi potrà mai negarlo? I giovani sono di troppo un po’ ovunque. Provate a trovare una panchina libera al parco su cui leggere un giornale. Le troverete tutte occupate da giovani che si sono dati lì appuntamento per guardare ciascuno il proprio smartphone. Provate a svolgere il vostro dovere di cittadino prodigo di consigli con chi lavora in un cantiere pubblico. Rischierete d’essere investiti da qualche giovane in monopattino elettrico. Fatevi un giro in una università qualsiasi. Qui l’esubero di giovani è la principale causa di carenza di aule studio. Persino ballare è un problema a causa degli esuberi della gioventù, tanto che di recente il governo ha dovuto scrivere un decreto ad hoc per provare a porre dei rimedi. Secondo il “decreto RAVE” d’ora in poi ritrovarsi in più di quindici persone in uno spazio pubblico (dove si suoni musica) sarà reato. Dispiace per Don Pino che non potrà più fare quelle messe all’aperto tanto partecipate, quelle in cui i fedeli cantavano insieme l’«Halleluia Delle Lampadine».
L’esuberanza della gioventù impatta non solo sulla vita sociale, ma anche sulle casse dello Stato e sulle tasche delle famiglie. Come sa chi ha fatto buone scuole, la parola esubero viene dal latino ex huberare e vuol dire «sovrabbondare», attingere a un nutrimento eccezionale, arrivare a una mammella (uber) da cui suggere all’infinito. Il che spiegherebbe come mai così tanti giovani italiani restino in seno alla famiglia fino quasi ai quarant’anni. Altro che precariato, caro affitti o mancanza di asili nido e altre scuse amene: trattasi di esuberanza giovanile.
Che fare dunque? Finora s’è fatto quel che s’è potuto, ma non basta più far sì che Stato e famiglie investano miliardi d’Euro nelle università perché si formi una gioventù appetibile alle aziende estere. Non basta più cioè far studiare i giovani perché emigrino in posti ameni come New York, Kinshasa o la Repubblica del Bangladesh, dove saranno pagati meglio che qui.
Non resta che adottare misure radicali, come vietare del tutto l’uso del Wi-Fi. Cosa che sicuramente otterrebbe lo scopo di spingere i giovani a un esodo di massa. Ma sopravviverebbero poi senza accedere ai tutorial on-line anche i boomer?
Urge che ciascuno faccia la sua parte e si metta alla ricerca di soluzioni creative. Dal canto mio, come esperto di cinema (un’arte da vecchi, mica come fare lo youtuber) mi permetto di suggerire ai decisori politici la visione dei film di John David Landis. Uno che si è fatto le ossa sui B-Movie italiani per antonomasia, gli spaghetti western, diventando pero il regista dell’esuberanza della gioventù per eccellenza. Nei suoi film, più che in quelli di altri registi della sua generazione (la New Hollywood Generation), sono evidenti le influenze dell’ideologia giovanil-sessantottina (sex, drugs & rock ‘n’ roll). Dove altrimenti cercare, dunque, idee valide su come affrontare ogni esuberanza juniores?
Allora nei film si usava così. Bisognava che i film fossero appetibili a un pubblico giovane e quindi l’eroe maturo, John Wayne, doveva lasciare il posto al giuovinott. L’ironia scanzonata prendeva il posto della bella morte, del sacrificio di sé. Non voglio morire (in Vietnam) come il nonno in guerra. Preferisco ridere.
Del resto nel saggio Il Riso Henri Bergson ipotizza che ridere sia discostarsi dalla morte, che è reificazione dell’esistenza; tutto ciò che è meccanico, ripetitivo. Cosi ridiamo di un dispositivo quando non funziona come dovrebbe e appare vivo o, viceversa, ridiamo dell’essere umano se in qualche modo questo è ridotto a povera cosa, a corpo, a pezzo del meccanismo (Charlot in tempi moderni). Landis sembra far sua tale lezione di Bergson, mettendo in scena il conflitto tra l’imprevidibilità comica della gioventù e gli stanchi rituali della vita adulta.Ivecchi son tali perché entrati in un dispositivo mortale a cui la gioventù tenta di resistere.
Landis s’è così specializzato in film in cui i giovani si fan beffe del mondo ripetitivo e meccanico degli adulti. Un mondo autoritario, capace solo di reiterare i vecchi rituali gerarchici del potere e, pertanto, di mortificare ogni espressione di giovinezza. Tanto che i seniores dovrebbero sentirsi un po’ in colpa dopo aver visto un suo film. Dovremmo però veramente dispiacerci, ad esempio, perché due giovani delinquenti, adoratori della musica del Diavolo (The Blues Brothers) due fratelli cresciuti in una feccia d’orfanotrofio che andrebbe chiuso (e ci mancherebbe dati gli evidenti fallimenti educativi della suora che lo dirige) finiscono poi in prigione nel tentativo, puerile, di mantenere un tetto agli orfani pagando per loro le tasse? Dovremmo sentirci in colpa perché un giovane americano esuberante a Londra si trasforma in arrapato lupo mannaro e finisce male (sempre eros e thanatos)? Oppure dovremmo farci una grossa risata?
Che Landis parteggi per l’esuberanza giovanile trova conferma poi in Una poltrona per due. Qui fa scalzare i fratelli d’una gloriosa e antica famiglia di operatori finanziari, due vecchie volpi perfettamente inserite negli ingranaggi di Wall Street, da due giovani parvenus.
Anche se il film maggiormente iconico di Landis, almeno nel sostegno dei giovinastri esuberanti, resta uno strano mix tra college movie e commedia erotica italiana: National Lampoon’s Animal House. In questa pellicola, scritta e interpretata in un piccolo ruolo da Doug Kenney (un vero giovane americano totalmente idiota) già a suo tempo fondatore d’una irriverente, anzi disgustosamente demenziale rivista (la National Lampoon) a sua volta costola d’una rivista satirica della Harvard University, in questa pellicola, dicevo, spicca come esempio di vitalismo cinematografico e d’esuberanza giovanile l’abominevole studente Blutowsky.
Blutowsky alias Bluto ha evidenti problemi di dipendenza dall’alcol ed è affetto da tendenze maniaco-sessuali, ma ha un grande merito, almeno nei distorti canoni della gioventù: ha inventato il bolo alimentare come arma balistica. Tutto il film è però caratterizzato di personaggi sopra le righe che si vorrebbe presentare come eroi (il giovane innamorato, il giovane seduttore, ecc.). Tuttavia, nonostante gli sforzi di John Landis che ci imbelletta una masnada di debosciati e imboscati dalla guerra del Vietnam, di morti di fame o di sesso, insomma dei puri falliti abili solo nel compiere una qualche futile e stupida azione (A stupid and futile gesture è anche il titolo di un buon biopic sullo sceneggiatore Douglas Kenney) la pellicola non riesce a occultare i veri eroi di Animal House: l’inflessibile figura educativa del preside Vernon Womer e lo studente modello Niedermayer.
Womer, un uomo capace di inventarsi metodi come il “doppio, doppio controllo segreto” pur di evitare che la manica di falliti associati nella confraternita Delta Tau Chi avvilisca, con la propria infetta presenza, l’immagine d’un glorioso college. Womer, un uomo capace di utilizzare al meglio studenti del calibro di Niedermayer, un vero leader studentesco, capace di farsi ammazzare dai propri commilitoni pur d’obbedire agli ordini. Womer e Niedermayer sono i veri eroi. Questi due personaggi sono il motivo per cui ci sentiamo di consigliare la visione di Animal House a tutti i politici impegnati a mettere a freno ogni pandemica esuberanza giovanile. L’augurio a tali rappresentanti nelle istituzioni è che muoiano dalle risate.
di Amedeo Liberti
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