L’arte della Rivoluzione: 1917-1932


Afferrate con avidità i pezzi di arte
sana, giovane e rozza che noi vi consegniamo.

V. Majakovskij, Compagno governo. Gli scritti politici,
Ponte alle Grazie, Firenze, 1998

“Costruiremo un mondo nuovo, il nostro mondo. Chi era nulla, diventerà tutto!”, così recitano in russo le parole dell’Internazionale e racchiudono in sé tutto il fervore e l’ideale che dominava la scena e le menti all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre. Questa spinta di rinnovamento, che andava a comprendere tutte le sfaccettature della realtà, si scontrava costantemente con i resti del vecchio mondo appena destituito che desiderava distruggere, e nemmeno in ambito artistico si fu esenti da questa visione; ad esempio la vediamo sintetizzata in immagini con il dipinto di Nikolaj Terpsikhorov dal titolo Primo Motto, dove in uno studio tendente al grigio vediamo la Venere di Milo e come unica nota di colore una bandiera rossa sulla quale il pittore sta scrivendo: “Tutto il potere ai Soviet”.

Il 26 ottobre 1917, il giorno dopo la Rivoluzione, il politico e teorico dell’arte Anatolij Lunačarskij fu nominato commissario del popolo per la cultura del Narkompros, l’organismo del nuovo stato dedito all’arte e all’istruzione dei cittadini, il quale ereditò una realtà difficile poiché, sia a Mosca che a Pietrogrado, si assisteva al saccheggio e alla distruzione del patrimonio artistico, visto dai bolscevichi come espressione del pensiero piccolo-borghese influenzato dalla religione e dalla politica zarista. Lunačarskij, che pur essendo bolscevico aveva una formazione derivata dalla vecchia borghesia e tendeva a riconoscere nell’arte del passato un valore essenziale, cercò di trasformare questo spirito distruttivo in costruttivo e lanciò un appello agli artisti perché andassero in soccorso del nuovo governo. A rispondere furono primariamente i futuristi, tra i quali David Šterenberg che prese la direzione dell’IZO (il settore artistico del Narkompros) e si circondò di artisti come Kazimir Malevič, Vasilij Kandinskij, Vladimir Tatlin e Vladimir Majakovskij; inoltre nel 1918 venne fondata la rivista Iskusstvo kommuny (“Arte della Comune”), giornale dell’IZO diretto da Nikolaj Punin che proponeva di introdurre l’arte in ogni ambiente vissuto dall’uomo e sosteneva che “il comunismo come teoria della cultura non può esistere senza futurismo[1]. Secondo Vladimir Majakovskij e Vsevolod Mejerchol’d, arte e politica rivoluzionaria erano legate da un’affinità naturale sostenendo che “La rivoluzione del contenuto, socialismo-anarchia, è inconcepibile senza la rivoluzione della forma, futurismo.”[2]

La distruzione della vecchia arte fu bloccata grazie all’intervento statale che dichiarava proprietà del popolo quanto salvato; quindi sotto tutela dello Stato stesso[3], ma il Popolo andava educato e quindi, su base marxista che vede la cultura come fenomeno di classe, si cominciarono programmi con scuole e lezioni nei quartieri industriali e, al loro fianco, venne creata su iniziativa di Aleksandr Bogdanov l’organizzazione Proletkul’t, che aveva come fine “lo sviluppo di una cultura proletaria spirituale indipendente, che comprenda tutti gli ambiti dello spirito umano”. In sé però il Proletkul’t serbava delle contraddizioni. Per prima cosa era gestito da intellettuali che, anche involontariamente, influenzavano lo sviluppo autonomo della cultura proletaria, inoltre lo stesso Lenin e il comitato centrale del partito vedevano di cattivo occhio gli artisti che ne facevano parte, perché riempivano la testa degli operai di fantasie e non dell’istruzione di base.

Ma cosa facevano questi artisti? Negli anni risposero alla chiamata per la nuova arte proletaria in diversi modi. Troviamo opere come Il bolscevico (1920) di Boris Kustodiev, dove i temi rivoluzionari, rappresentati da una figura barbuta gigantesca che reca una bandiera rossa, sono mischiati al folclore fiabesco; oppure in La formula del proletariato di Pietrogrado (1920-1921) di Pavel Filonov, uno dei primi quadri che rifiutava il “realismo contemporaneo”[4], oppure in Nuovo Mondo (1921) di Konstantin Yuon. Ma la pittura “realista” non era scomparsa anzi, conviveva con quella di avanguardia come si può vedere nel grande quadro Cerimonia di apertura del II Congresso della Terza Internazionale (1921-1924) di Isaak Brodskij; infatti il pittore fu anche uno dei leader del AChRR (Associazione degli artisti della Russia rivoluzionaria), nata nel 1922 e che raccoglieva sotto di sé artisti di stampo accademico che sostenevano la rivoluzione ed esaltavano il “realismo eroico”. Sostenuta da Trotskij, l’associazione divenne in breve tempo la più importante istituzione artistica poiché le alte sfere del partito non apprezzavano gli eccessi dell’arte astratta. Lo stesso Lenin voleva un’arte comprensibile per le masse. Nel 1928 l’AChRR organizzò una mostra per il decennale della rivoluzione e vennero esposte opere realiste come Morte del commissario (1928) di Kuz’ma Petrov-Vodkin o La difesa di Pietrogrado (1926) di Aleksandr Deineka. Questo anno vide il trionfo del realismo, tant’è che Majakovskij dichiarò “Assolvo Rembrandt!” e la rivista futurista “Novyj LEF” venne chiusa e furono gettate le basi per la futura arte sovietica coi suoi soggetti: il progresso in ogni sua forma e il nuovo uomo socialista al centro.

Con l’inasprimento del potere staliniano si assistette a una “svolta a sinistra” del partito e, di conseguenza, anche dell’ambiente artistico. Nel 1930 la FOSCh (Federazione delle organizzazioni degli artisti sovietici) riunì sotto di sé le associazioni indipendenti degli artisti e le commissioni delle opere iniziarono ad essere controllate dal Vsekochudožnik (Compagnia cooperativa panrussa degli artisti) che diventarono tutte di tematiche rivoluzionarie. La principale scuola d’arte di Mosca, VChUTEIN, venne chiusa e si formarono compagnie di artisti, Oktjabr’ (“Ottobre”) su tutte, alle quali appartenere era diventato sinonimo di iscrizione al partito.

Il dibattito sul realismo sovietico non accennava a diminuire, tant’è che si arrivò a indagare la coscienza dell’artista e a dire che la natura del realismo da lui espresso era proporzionale alla sua coscienza di classe. Ma dal 1932, con l’affievolirsi della “svolta a sinistra”, anche l’idea di arte proletaria perse potere e le organizzazioni artistiche vennero abolite e gli artisti si costituirono in un unico sindacato, il principale dei quali ebbe sede a Mosca e controllava anche le principali riviste artistiche “Iskusstvo” (Arte) e “Tvorčestvo” (Creatività).

Gli artisti sotto questo nuovo sindacato si trovarono a produrre un tipo di arte che prese il nome di “Realismo Socialista”, dominato da concetti chiave come la partiinost (fedeltà al partito), ideinost (contenuto ideologico), klassovost (contenuto di classe) e pravdivost (sincerità), con la volontà non solo di raffigurare la realtà ma anche quello che sarà in futuro. Iniziò quindi una produzione serrata di dipinti con immagini poetiche che ruotavano attorno al corpo giovane, al sole e ai fiori, alla tecnologia, al volo. La battaglia contro le avanguardie e il formalismo vide la sua vittoria con il riallestimento della mostra di Leningrado del 1932, dalla quale fu estromesso il curatore Nikolaj Punin (così come il suo saggio su Cézanne dal catalogo). Anche le opere di Kazimir Malevič e Pavel Filonov vennero escluse. Qualche istanza modernista rimane, ad esempio nelle opere di Aleksandr Deineka come Paracadutista sul mare (1934) ma solo perché non distorcevano la realtà pur appiattendola.

Con l’arte di stato si andava a eliminare il moderno, la brezza giovanile che aveva fatto garrire al vento le bandiere rosse della Rivoluzione aveva cessato di soffiare.


Note
[1] 1920-1928 in Realismi socialisti. Grande pittura sovietica 1920-1970, p. 21, Skira, Milano, 2011.
[2] V. Majakovskij, Compagno governo. Gli scritti politici, p. 24, Ponte alle Grazie, Firenze, 1998.
[3] G. P. Piretto, Il radioso avvenire. Mitologie culturali sovietiche, p. 6, Einaudi, Torino, 2001.
[4] 1920-1928 in Realismi socialisti. Grande pittura sovietica 1920-1970, p. 22, Skira, Milano, 2011.

di Marco Saporiti

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Autore

  • Laureato in Storia e Critica dell'Arte, ha una passione infinita per il Rinascimento tedesco, la batteria e la musica progressive. Ha la capacità innata di diventare un'ombra quando è al cospetto di troppe persone.

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