Le prove del fuoco e del monte
In girum imus nocte et consumimur igni
Rena Mirecka è mancata proprio nel bel mezzo di questa mia scrittura. Avevo deciso già da dodici giorni prima della sua morte che avrei scritto di lei come contrappunto al viandante in teatro e immaginaria compagna e stella polare per questo viaggio. Ringrazio la sua anima di essere esistita nel modo in cui è stata, specchio per riflettere e viaggiare nelle intime terribili e meravigliose profondità interiori.
“Fuoco cammina con me”
Un suono. Mi alzo. Sì, sono io. – “io”? come suona estraneo. Cammino. La mia stanza. In questo luogo non mento poiché non ho parole. “Il cammino dell’attore è un viaggio a ritroso”. È la voce di Rena. Sì, il viaggio di un eremita perché coglie le leggi e i princìpi organici della materia che perlustra.
Cammina a tergo nel suo interno e raccoglie immagini, ricordi e memorie: indizi.
Raccoglievamo quando siamo scese lungo la conchiglia di questo proprio spazio e abbiamo camminato nell’astrale di una prateria. Ci siamo stese nel sole di quella camminata, e poi ci siamo salutate senza nostalgia. Sì, senza dolore perché il dolore consuma e ci stana nel corso del tempo.
Sul letto dov’ero rimane l’orma. Ancora un suono. Chi è a quest’ora del pomeriggio? Mentre vado alla porta guardo la prateria, è grande, mi muovo verso il profumo di fiori d’aglio. C’è luce sul fondo del cielo e qualche nuvola come di temporale. A terra fiori secchi, sembrano legni. Apro. Questo viso lo conosco, sì.
Un’amica di teatro. Entra pure. Siedi. Bella questa visita inaspettata. Le mie mani mentre svito la caffettiera. Mentre parliamo ci dispiace di non darci più tempo, di dover sempre partire per un viaggio che non siamo, ma è così. Dovremo ancora aspettare, intanto c’è vita in ogni forma e movimento. Guardo questo viso che conosco ma non trovo adesso. Vedo un altro volto attraverso il suo.
Vedo Rena che mi sorride piena di rughe, ma appare come una piccola colomba con la coda un po’ grigia.
Entro nella sua casa. Busso anche se sono già nel passo della porta. Volata. Non la sento più. Sto bene al pensiero che sia restata solo tre giorni, vuol dire che la sua anima era leggera. Be’, il lavoro di una vita rende il corpo sottile come una fiamma. Sto lì nella sua casa, sento il libro nella borsa. In questo libro fra una parola e l’altra passano molti secoli. E lì, come in questo ricordo che sono ora, c’è una notte senza nemmeno una stella, dove questi pochi giorni sono stati lunghissimi sentieri. Sale il caffè. Mi siedo anche io. Sei venuta per dirmi che i funerali si terranno oggi.
Riposo in questo breve silenzio.
Guardo in alto, ti trovo. Sei sempre la colomba su quell’architrave. Ora mi parli attraverso il volto della mia amica: “Il fuoco del viandante deve procedere e abbandonare ogni cosa, la sua essenza è aerea”. Ti ascolto attonita. Dopo uno sguardo, continui: “Nel viaggio gli stati interiori diventano piccole ceneri in volo”. Ora negli occhi ho lo sgomento di una domanda.
Poso la fronte e penso piano: come comprendere ciò che prima c’era e ora non c’è più?
Rispondi ai miei pensieri: “Attraversarsi” mi accuccio sul lato al tuo fianco e mi sento una scultura “…e lasciarsi alle spalle come foglia morta, verso i sentimenti”. I sentimenti: emozioni trasformate in esperienze mentali dal cammino del fuoco. Come foglia riesco a sentire: dentro non ci sono pensieri che non siano tattili. Il fuoco della passione è freddo e il corpo non può contenere la sua fiamma. È passione se arriva dai paesaggi innevati e accecanti della mente. Continui a guardarmi, sento che sorridi: “Bisogna imparare la morte”. Mentre ci guardiamo sta accadendo qualcosa.
Il corpo diventa trasparente.
E per questa mia coscienza ora mi sento sola e rigida, sono una montagna invernale. La tua vita dice: “L’attore arde in profondità perché la sua scelta è passionale”, come se il suo corpo avesse una cavità di sterpaglia e il pensiero di fuoco, per guardare nei laghi profondi del ventre, camminasse fin lì, inesorabile, verso ciò che è deciso. E se in questo viaggio interno inizia a respirare comincia anche ad avere fine. La creazione è un fuoco che cammina nell’essere vivente, si è vivi e non si può fare altrimenti. Mi parli con voce calma: “L’artista ha questa necessità: cogliere la creazione”.
Un attore cerca l’immagine interiore consapevole del suo corpo ripulita dagli automatismi che non permettono vera spontaneità. Anima qualcosa che ha già anima ma cui necessita di dare senso perché, fino al momento in cui non scelga di ascoltarsi, non sa di averla.
Trova dapprima un vuoto.
Peggio se pensa di possedere il corpo. Scopre che invece è posseduto, è parlato. Incontra il vuoto e forse anche sofferenza, ma in questa esperienza vi è il germe di un processo verso se. Sorge un piccolo sorriso interno: ecco perché il viandante vuole comprendere le cose create. Nel suo viaggio è mite e sereno perché deve lavorare duramente su ciò che in suo potere non si accorda con quelle leggi. Se non raccoglie anche solo una briciola della sua immensità soffre.
La vita ordinaria sarebbe insopportabile altrimenti. L’attore che sia viandante ed eremita si trova fra il fuoco – che cammina veloce perché il suo essere è nella saggezza di ciò che si trasforma – e il monte – che sta solidamente, come i princìpi e le leggi di ciò che muta. Così cerca, attraverso quel che muore, la solidità di sé. Si trova in mezzo a due potenti forze e vive nella difficoltà di una simile coscienza. Alzo la testa per vedere se trovo nei tuoi occhi un posto ai miei pensieri, ma già eri volata via. Una fiamma non sta mai per molto. L’amica che è venuta a farmi visita ha lasciato la sua tazzina vuota. Mi alzo per lavarla. Ora sento davvero il peso di questa piccola tazza.
Il cammino dell’attore è un viaggio a ritroso
Dall’incontro fra i diari di Rena Mirecka con l’opera di Clarice Lispector
Testo di Francesca Tarantino
Fotografia di Davide Nathan Gilioli
di Francesca Tarantino