Dalla casa del game, in viaggio sulle strade del play
Avventurarsi
Iniziare una partita di qualsiasi nuovo gioco è avventurarsi in un territorio inesplorato. Non parlo del vasto mondo che alcuni videogames presentano al giocatore; parlo dello spazio che il giocatore si troverà a occupare, delle mosse che farà, dell’evento che si svolgerà con lui come partecipante e che lui non sa ancora prevedere.
Terminologia
Per capire meglio cosa intendo, dobbiamo fare una prima e importante distinzione – una chiarificazione per non perderci a nostra volta. Quando parliamo dello spazio proprio del gioco ci troviamo a dover sovrapporre due concetti forti, due spazi che condividono lo stesso evento coprendo due funzioni diverse: il “cerchio magico” e lo “spazio di gioco”.
In game design definiamo “cerchio magico” il luogo immaginario del gioco, il suo ambiente narrativo, o, più tecnicamente, lo spazio condiviso in cui i giocatori esercitano la “sospensione dell’incredulità attiva” (lusory attitude). Questo ambiente finzionale si regge però su altro spazio: lo “spazio di gioco”, per l’appunto.
Il terreno
Brian Upton descrive lo spazio di gioco come uno spazio-fase matematico, in cui ogni punto corrisponde a uno stato possibile del sistema. Riportando questo concetto in un settore che mi è più proprio, lo spazio di gioco è quindi l’“insieme di tutti gli stati di un gioco”.
Non solo l’insieme di ogni mossa possibile, bensì l’insieme di tutte le situazioni che sono create a partire dalle mosse di tutti i partecipanti al gioco (se non dal gioco stesso in alcuni casi) e del loro svolgersi.
Questo spazio, in fase d’apertura, è immenso. Ad esempio, il classico gioco del Tris conta 765 stati. Con gli scacchi siamo oltre a 1050. Il numero cresce esponenzialmente se aggiungiamo altri giocatori. Diviene persino incalcolabile se consideriamo i giochi sportivi o in tempo reale, dove stimare un numero preciso di stati possibili che tengano conto di tutti i fattori che influenzano lo svolgersi del gioco è impossibile. Sappiamo però che questo terreno ha dei confini; Upton li chiama “vincoli”.
La rotta
Muoversi in questo spazio è quindi un “muoversi rispettando i suoi vincoli”. Detta così, parrebbe che il giocatore sia libero di tracciare il suo percorso nello spazio di gioco. Questo è di certo vero in giochi a giocatore singolo (come il solitario) e, in una certa misura, in molti videogames (quelli non multiplayer ovviamente).
Non appena introduciamo però altri giocatori, questo cambia. In questo caso, quello che dobbiamo osservare è la rotta che viene tracciata nello spazio di gioco, e questa rotta è tracciata dal movimento di tutti.
Negli scacchi, per esempio, non posso trovarmi in una posizione di gioco a mia scelta se il mio avversario non me l’ha concessa – ma neppure se io non ho condotto il mio avversario fino al punto di concedermela. Devo agire in base a dove mi trovo e la mia mossa influenzerà poi la rotta della partita
Orizzonte
Il giocatore non è certo impotente. Può decidere la sua mossa, ma deve farlo in base alla situazione in cui si trova e in base a quello che i vincoli del gioco impongono.
In ogni punto dello spazio di gioco, il giocatore si troverà di fronte a delle possibili mosse limitate dal contesto, dalla posizione in cui si trova lui e tutti gli altri attori coinvolti nel gioco.
Questo insieme di possibilità viene definito “orizzonte delle azioni” e comprende tutte le mosse possibili da una posizione, comprese quelle svantaggiose, inutili o completamente controproducenti. L’orizzonte delle azioni è legato al “game” – le struttura del gioco in sé – ed è determinato da quest’ultima. Non è però detto che essa sia completamente presente ai giocatori: magari non notano che può fare una mossa, o non calcolano del tutto un movimento perché, anche se vantaggioso, esce dall’intento di ciò che essi vogliono compiere nel gioco. Per capire dunque meglio come un giocatore si muove, cioè che “tracciato-segno” imprime nello spazio di gioco, dobbiamo introdurre un ulteriore orizzonte: l’“orizzonte degli intenti”.
Conoscere la strada
L’orizzonte degli intenti è ciò che il giocatore segue nel tentativo di raggiungere quello che, nei giochi, è lo scopo finale per eccellenza: la vittoria. Questo obiettivo finale è composto a sua volta da micro-obiettivi (come portare l’avversario a mangiarti un cavallo per poi riuscire a mangiare la sua regina) che si creano sul momento e nella situazione.
Da questo è possibile vedere come ogni punto nello spazio di gioco generi situazioni desiderabili a seconda non solo dell’effettivo orizzonte delle azioni, ma anche dell’orizzonte degli intenti.
Ad esempio, per mangiare quella regina dobbiamo influenzare l’orizzonte degli intenti del nostro avversario e portarlo nel punto in cui vogliamo. Per comprendere questo, non basta sapere il funzionamento teorico del gioco (il “game”), ma è necessario aver vagabondato a lungo nello spazio di gioco, essersi dedicati al “play” (lo svolgimento del gioco) abbastanza a lungo da poter non solo comprendere a fondo l’orizzonte delle azioni, ma anche essere in grado di prevedere le mosse del proprio avversario.
Questa capacità di previsione è ciò che genera l’orizzonte degli intenti. Così, se la prima volta che giochiamo a un gioco ci troviamo a improvvisare alcune mosse, più lo comprenderemo e più saremo in grado di allungare il nostro orizzonte; più il nostro orizzonte sarà lungo, più conosceremo la strada per portare il play dove vogliamo. Si può quindi indurre l’avversario in azioni a noi vantaggiose nascondendole sotto al numero di mosse che lui sarà in grado di prevedere.
Scegliere la meta
Per quanto la vittoria ci si presenti come l’obbiettivo principale quando pensiamo a un gioco, le cose non stanno così. Se alcuni giochi – come ad esempio i giochi di simulazione, i gestionali e i giochi di ruolo – non comprendono posizioni di vittoria, come si sviluppa allora l’orizzonte degli intenti? In titoli come The Sims o SimCity non esistono condizioni di vittoria prefissate: il giocatore è libero di agire come meglio crede. Il giocatore si forma un obiettivo autonomo, senza che il gioco debba fornirgliene uno. Se vuole creare la famiglia più felice del mondo, o semplicemente uccidere tutti i presenti per creare la più grande casa dei fantasmi mai realizzata, sarà comunque lui a fissare il proprio obiettivo, la propria posizione di vittoria e a creare un orizzonte degli intenti che sia loro conseguente.
Anche per questo, giochi simulativi di questo tipo sono spesso considerati più come giocattoli, strumenti con cui sbizzarrire la propria creatività.
Viaggiare assieme
Esiste un’ulteriore complicazione che possiamo aggiungere all’orizzonte degli intenti: i giochi di ruolo. Escludendo da questi (per semplificazione) i videogames appartenenti alla stessa categoria, i giochi di ruolo si sviluppano secondo la forma di una narrazione collettiva basata su regole, entro la quale un partecipante interpreta il mondo di gioco e muove la trama mentre anche gli altri interpretano un proprio personaggio.
In questo caso, l’orizzonte degli intenti viene così creato in condivisione.
Gli obbiettivi vengono fissati dalla comunità giocante e, per quanto ogni giocatore mantenga un orizzonte degli intenti individuale con propri obbiettivi, ciò che unifica il play è una comunione di intenti narrativi (oltre che ludici e di piacere personale). Al venire meno di tale comunione, i giocatori sarebbero quindi dispersi nello spazio di gioco, costretti a vagabondare senza meta, solitari.
di Martino Vasconi
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