Breve giro del cosmo in metropolitana
Un passo. Non Muoverti. Se ti muovi lo infrangi. È come una gran bolla di cristallo sottile stasera il cosmo: e sempre più gonfia e si leva. È la legge di Hubble – Lemaître: l’Universo è in espansione accelerata, e ciascun punto si allontana da ogni altro, inderogabilmente, come fossimo macchioline su un palloncino che si gonfia al soffio dell’Energia Oscura.
Due, tre, quattro passi. Esco di casa. È Milano il centro dell’Universo? I cosmologi ritengono di no, ma la presenza dei Ferragnez – attorno a cui tutto sembra orbitare – è un enigma insolubile. Cinque, dieci, cento passi. Scendo in metro, salgo in treno, mi siedo.
Non muoverti. Come un’immensa bolla tutto gonfia, si leva. Chissà, forse un giorno potremo muoverci per tutto il cosmo in metropolitana; un giorno, forse, prima che esso si smembri e scoppi come una bolla di sapone. E tutta questa finta realtà scoppierà forse.
Il dondolìo del vagone mi culla. Chiudo gli occhi. «Treno per – Train to: Origine dell’Universo. Reggetevi ai sostegni – Please, hold on to the handrails».
Passo dopo passo, sento le rotaie inclinarsi e tendere verso l’alto. Il treno si solleva, segue binari sospesi nel vuoto. Trangugia passi, supera in altezza San Siro, la Bela Madunìn, le torri di City Life, e poi via sempre più su, oltre gli scarichi industriali, nell’azzurro immenso del cielo, e ancora oltre fino a perforare l’esosfera. Ed ecco, vedo il treno approssimarsi al Dio splendente. «Prossima fermata: Sole». Trecento miliardi di passi.
Si aprono le porte, si aprono al Sole. Rimango abbagliato dal suo volto lucente, la fotosfera, sopra il cui capo posa una ghirlanda infuocata in costante tumulto: la Corona. Non appena la mia vista si abitua, mi accorgo che la porticina della manutenzione è aperta.
Aguzzando la vista riesco a sbirciare dentro, sì che la struttura interna del Sole mi si sbuccia agli occhi come una gigantesca cipolla incandescente.
Sotto quell’aspetto placido di luce omogenea, velato dalla Cromosfera, un tumulto di gas e radiazione si tormenta e rimugina, dando luogo a dei moti turbinosi che delimitano la zona convettiva. Sotto questa si estende poi la zona radiativa, ove fasci di luce dorata fluiscono come lungo una grande cascata che scorre verso l’alto; e come un salmone la risalgo con lo sguardo, controcorrente, fino a raggiungerne la sorgente: il nucleo.
Qui, a temperature che raggiungono i 15 milioni di gradi (ovvero, quasi quanto Parco Sempione a Ferragosto) avvengono le reazioni termonucleari: nuclei di idrogeno impazziti che sfrecciano e si scontrano a formare particelle di elio.
E ciò che chiamiamo luce – i fotoni altro non sono che il clangore di questi scontri che riecheggia per milioni di anni entro la stella e poi, superata la fotosfera, in otto minuti giungono sulla Terra a illuminare le miserie dei mortali.
D’un tratto, dalla porticina della manutenzione vedo uscire un operatore dell’ATM. Incrocio il suo sguardo e lo interrogo: «Mi scusi, che emozione si prova a lavorare nel Sole? Sarà un’esperienza unica!» – «Mah, sa, – mi risponde – il Sole è in fondo una stellina tranquilla, di piccola massa, simile a tante altre che ce ne sono». «E quante stelle ci sono?». «Sono mille miliardi solo nella nostra Galassia, tutte diverse. La maggior parte sono simili al Sole: di piccola massa, gialline, tipicamente vecchie. Si raggruppano a centinaia di migliaia a formare gli ammassi globulari, che sono come degli enormi ospizi per stelle». «E che fanno le stelline in questi ammassi globulari?» «Cosa vuole che facciano? Danzano. Girano su se stesse e l’una intorno all’altra, come dervisci rotanti; si avvicinano e allontanano: alcune rimangono segregate al centro, altre evaporano via per sempre. Gli scienziati chiamano queste danze ‘oscillazioni gravotermiche’».
«E le stelle più grandi?» «Le più grandi e massicce sono anche le più giovani. Bruciano in fretta la loro giovinezza, vivono poco (qualche milioncino di anni) – come le rockstar! Io ad esempio ho lavorato alle Pleiadi; quelle sono delle belve ruggenti, altro che pigolìo di stelle! Alla fine muoiono spolmonandosi in un ultimo spettacolare concerto: la supernova». «E poi, quante altre stelle ci sono?» «Poi ci sono le giganti, le supergiganti, le nane bianche, le nane brune, le stelle di neutroni, quelle al carbonio, le variabili…» E mentre osservo quell’uomo perdersi nel novero delle stelle, le porte si chiudono e il treno riparte.
Passo oltre Marte, oltre Giove e le sue lune, poi Saturno coi suoi anelli di ghiaccio; supero tutti i pianeti. Varco la fascia di Kuiper, poi la nube di Oort: il termine del sistema solare. Trentamila miliardi di passi: è da qui che si prende il largo nel mare sterminato della Via Lattea.
Conto le stelline ad una ad una, ognuna col suo piccolo sistema di pianeti e, chissà, coi suoi ominidi pelosi e le sue zanzare sanguisughe. Mi commuovo di fronte allo spettacolo delle nebulose planetarie, stelle morenti negli attimi finali della loro vita: la calma remissiva della Bolla, la viva energia dell’Eschimese – come chi ancora si attacca strenuamente alla vita, l’occhio impaurito dell’Elica e quello già spento dell’Anello; mi sembrano tutte rappresentazioni così umane della morte…
Ammiro in silenzio i Pilastri della Creazione: ammassi di polvere fredda che un giorno daranno vita a stelle e pianeti, forse anche piante e animali, finché tutto nuovamente morirà e tornerà, come dicono le Scritture, polvere alla polvere.
E prima che possa rendermene conto, ho già superato i confini della Via Lattea, millecinquecento miliardi di miliardi passi lontano da casa. «Siamo a: Andromeda. Cambiate qui per Grande Nube di Magellano, Galassia del Triangolo e Malpensa Express».
Sale su un uomo dalla chioma fluente e il folto pizzetto. Sembra Brad Pitt e invece «Ma come la va?» esordisce: è Valerio Staffelli. Mi chiede se ho visto le borseggiatrici di Milano. È attapirato, dice che le ha inseguite in ogni anfratto di Universo, e che ormai conosce le galassie come le sue tasche.
Allora gli domando curioso: «E come sono fatte le galassie?» «Tutte allo stesso modo – mi risponde – sono ammassi di polvere e gas, stelle e materia oscura. Sono tutte uniche se viste da vicino, ma in fondo sono tutte di tre tipi: Spirali, Ellittiche e Irregolari». «Spirali come la Via Lattea e Andromeda?» «Esattamente! Queste hanno al centro un rigonfiamento di stelle vecchissime, chiamato bulge, da cui si estendono dei bracci che danno loro la forma a spirale, e che sono invece delle fucine dove nascono continuamente nuove stelle. Sono sottilissime ed estese, e ruotano su se stesse come vinili su un giradischi».
«E le galassie Ellittiche?» «Queste sono tipicamente le più vecchie e imponenti. Tra di esse, le più grandi e massicce sono anche le prime galassie in assoluto a essersi formate e sono come meraviglie del mondo antico, come il Colosseo e il Partenone, come Greggio e Iacchetti. Sono costituite perlopiù da stelle vecchissime, confrontabili con l’età dell’Universo (12-13 miliardi di anni!), che si muovono in modo disordinato entro un gigantesco sferoide giallognolo che dà appunto forma alla galassia».
«Infine ci sono galassie con forma Irregolare. Queste sono piene di polvere che sta collassando a creare nuove stelle. Sono queste galassie che si stanno appena formando o sono frutto di un recente scontro tra galassie già costituite, proprio come accadrà un giorno tra Andromeda e la Via Lattea».
Ma finito ch’ebbe l’elenco, al chiudersi delle porte, una ragazza deterrente lo richiama al dovere, e con slancio da cerbiatto salta giù dal treno alla caccia delle borseggiatrici, scomparendo all’orizzonte.
«Si avvisano i gentili passeggeri che a causa dei lavori di costruzione per il nostro superammasso di galassie, Laniakea, questa linea devierà verso un wormhole e salterà le seguenti fermate: ammasso della Chioma, foresta di Lymann, quasar J0313-1806 e Cascina Gobba. Ci scusiamo per il disagio». La voce non finisce di parlare che sento le rotaie incrinarsi e i finestrini stridere. Tutto sembra deformarsi, stiracchiarsi. Diventa buio all’improvviso. Sento le mie membra contorcersi, la mente vorticare. Perdo i sensi. Mi risveglio solo al suono della solita voce che annuncia: «Siamo arrivati al capolinea. Vi invitiamo a scendere e a non lasciare oggetti personali sul treno».
Mi affaccio, vedo il nome della fermata: «Superficie dell’ultimo scattering». È questa la prima fotografia dell’Universo.
In principio, infatti, era tutto un unico guazzabuglio mescolato di materia e radiazione: la luce era intrappolata dalla materia e la materia dalla luce. Finché un giorno, oltre 13 miliardi di anni fa, a oltre 1030 passi dalla Terra, l’Universo si espanse e si raffreddò abbastanza da farle disaccoppiare, sì che la luce riuscì a divincolarsi e scappare via, liberando il grido che teneva strozzato in gola dal momento della nascita, quel primo vagito dell’Universo che ancora oggi risuona in ogni angolo di cosmo: la Radiazione Cosmica di Fondo.
Scendo dal treno e seguo i cartelli per la sola uscita possibile: «Big Bang». Ancora pochi passi e poi… Affretto il passo, salgo le scale a quattro a quattro, non riesco a contenermi. Mi fermo: chi l’avrebbe mai immaginato che alle soglie dell’Universo, l’ultimo ostacolo alla conoscenza della Risposta Ultima fosse un tornello dell’ATM? La metafisica dovrà renderne conto un giorno.
Manca solo un passo. Sfodero il mio abbonamento, passo la tessera sul lettore. *GNEEEK!*. Non va. Ritento. *GNEEEK!* Non va. Ritento. *GNEEEK!*. Disperato, chiedo spiegazioni alla guardia in cabina. «Spiacente – mi dice – il suo abbonamento non è valido per la zona extraurbana». Non posso rinunciare proprio adesso! Un ultimo passo! Tento di scavalcare il tornello. Ma la guardia mi vede e mi intima. Non muoverti. Se ti muovi lo infrangi. Mi muovo, inciampo, lo infrango. «Siamo a – This is: Duomo». Dopotutto, forse i Ferragnez hanno ragione. Piangi?
di Paolo Leondisìo
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