Escursioni dell’arabetta sul suolo extraterrestre
Avrete seguito la Missione Artemis I di pochi giorni fa, che ci ha tenuti sospesi sul filo del rasoio tra le varie false partenze. Purtroppo il lancio è stato rimandato ancora a ottobre, ma si tornerà sicuramente sulla Luna, la sete di scoperte non verrà placata.
Recentemente è stato riaperto anche un campione risalente all’esplorazione lunare del 1969-72, si tratta di un campione di regolite lunare, che è stato usato per tentare una coltura in laboratorio di Arabidopsis thaliana.
Stiamo cercando di portarci ben fuori dai nostri lidi conosciuti per capire se c’è la possibilità di far crescere e sviluppare le nostre risorse vegetali anche oltre il suolo terrestre. Le piante sono le componenti chiave e l’organismo modello per capire meglio la gravità, le radiazioni e altri fenomeni legati allo spazio. Le piante possono anche esserci utili per rendere disponibili cibo, ossigeno ecc in zone extraterrestri inospitali.
La ricerca a breve potrebbe diventare fondamentale, perché in caso di operazioni lunghe sulla Luna o su Marte, sarebbe molto utile autoprodursi cibo in loco. Quindi aiuterebbe enormemente sia i programmi di esplorazione umana, che anche la comprensione più approfondita degli adattamenti che il regno vegetale può sviluppare al di fuori dell’atmosfera terrestre.
Negli studi Biologico-vegetali viene utilizzata spesso la specie dell’arabetta comune poiché è già un modello standard della ricerca botanica, è di semplice crescita, ed è già stata mappata geneticamente più volte. Quindi gli scienziati sanno già che aspetto hanno i suoi geni, come si adatta e come cresce nello spazio. Per l’esperimento con l’Arabidopsis sono stati usati i campioni delle missioni Apollo 11, 12 e 17.
È stato molto innovativo, già 50 anni fa, pensare di mantenere i campioni raccolti durante le missioni Apollo per poterli riutilizzare nel futuro, quando le strumentazioni e la scienza sarebbero progredite insieme alle nostre tecnologie.
I due campioni di suolo lunare durante i cinque decenni trascorsi sono stati conservati in condizioni di temperatura di -23° C e di vuoto, valori simili alla superficie della Luna.
Il campione 73002 tra il 1974 e il 2019 è stato studiato ai raggi X per verificarne il contenuto suddiviso tra le varie componenti rocciosi. Nel 2019 il campione è stato aperto e suddiviso in sottocampioni per la ricerca. Un team dell’ESA ha poi ideato un “apriscatole” per forare il contenitore dov’è sigillato il suolo lunare senza disperdere le sostanze volatili e contenendo i gas originali presenti nel momento della raccolta.
Il team della NASA è effettivamente riuscito a far germogliare l’arabetta sul suolo lunare, la germinazione è avvenuta in tutti i campioni in circa 48-60 ore dopo la semina, e tutti hanno sviluppato steli e cotiledoni normali.
Questo ha indicato che nelle prime fasi niente ha interferito col normale sviluppo iniziale delle piante. Dopo una settimana di crescita, invece si è notato che le piante si erano ridotte sia nella parte apicale che in quella radicale, indicando uno sviluppo più difficoltoso e un’inibizione della crescita radicale nella regolite. Tutte le piantine lunari ci hanno messo più tempo del normale per sviluppare le foglie fotosintetiche, erano più piccole nel diametro della rosa fogliare e alcune erano severamente indebolite e pigmentate, sottolineando uno stress di crescita.
Per capire in modo accurato la fonte dello stress morfologico è necessario fare uno studio completo del trascrittoma sull’intera porzione di pianta, dopo 20 giorni, prima della fioritura. Gli esemplari cresciuti nella regolite dell’Apollo 11 ha presentato il maggior numero di geni espressi differenzialmente (DEGs), seguiti poi da quelli dell’Apollo 12 e dell’Apollo 17.
In ogni caso tutti i DEGs hanno evidenziato una risposta a un alto livello di stress e una forte carenza di fosfato.
Sono stati anche identificati dei geni che codificano per le proteine coinvolte nella segnalazione del jasmonato, derivanti da una possibile tossicità da alluminio. L’acido jasminico è un fitormone, si sviluppa quando la pianta sta subendo stress fisici, chimici o biotici; a seguito della sua sintesi viene innescata la produzione di proteine che portano alla resistenza sistemica indotta (ISR).
Queste analisi dettagliate sono state necessarie per capire il sequenziamento genico e quindi per determinare quali geni sono stati portati a mutare e come mai, per realizzare di conseguenza un substrato di regolite sempre migliore che favorisca la crescita delle piante. Già le prime analisi condotte, hanno dimostrato che c’è una differenza di crescita tra i tre siti di raccolta dell’Apollo 11, 12 e 17; tutte le arabette cresciute nella regolite Apollo 11 hanno sofferto di più, mentre quelle del 17 hanno sofferto meno di tutte. Questi dati suggeriscono che una regolite più matura rende inospitale l’attecchimento delle piante, mentre un substrato di regolite più giovane è preferibile e danneggia meno la crescita dell’Arabidopsis.
Tutti questi studi e dati raccolti hanno dimostrato chiaramente che le nostre piante sono in grado di germogliare e crescere nella regolite lunare. Ovviamente le problematiche atmosferiche come il vuoto, i raggi cosmici, il vento solare ecc fanno sì che la pianta cresca in modo un po’ stentato, seccandosi, arricchendosi di ioni reattivi e ossidandosi, quindi diciamo non nelle condizioni ottimali.
Nonostante la crescita di queste piante prese in esame sia a tratti stentata, lo studio rimane fondamentale e innovativo, poiché vengono aperte le porte alla ricerca di coltivazioni su suoli extraterrestri. Gli esperimenti aiutano nella comprensione dell’adattamento delle piante; ad esempio quali sono i geni utili per far crescere l’arabetta anche nelle condizioni ostili del terreno lunare, avendo a disposizione pochi nutrienti. O ad esempio si è scoperto che alcuni tipi di regolite sono più funzionali alla coltivazione rispetto ad altri, indentificando quindi le zone più adatte. Una volta aperto lo studio sulla regolite lunare potrà anche aprirsi una nuova porta sulla regolite marziana.
Le esplorazioni a lungo termine gioverebbero infinitamente di queste scoperte, potrebbero effettivamente permettere agli astronauti di vivere nello spazio profondo. E questo potrebbe diventare uno step fondamentale per la ricerca di fonti di cibo alternative e a sbloccare innovazioni agricole, ma non solo, le ricerche potrebbero anche aiutare a capire come far crescere specie vegetali utili all’uomo anche nelle zone terresti inospitali in cui il cibo e i nutrienti terreni di norma scarseggiano.
Questi risultati non solo aprono le porte alla coltivazione di piante negli habitat lunari ma anche ad altri futuri studi. Ad esempio, per capire di quali geni le piante abbiano bisogno per adattarsi alla crescita nella regolite povera di nutrienti. Il fatto che materiali provenienti da diverse aree della Luna siano più favorevoli alla crescita delle piante rispetto ad altri indica che la coltivazione sul suolo lunare potrebbe inizialmente essere sfruttata solo in alcune aree ben definite.
Lo studio della regolite lunare apre a sua volta un nuovo capitolo sulla regolite marziana e sulla tipologia di piante coltivabili in quel substrato.
“Questa ricerca è fondamentale per gli obiettivi di esplorazione umana a lungo termine della NASA. Dovremo imparare a utilizzare le risorse trovate sulla Luna e su Marte per sviluppare fonti di cibo per i futuri astronauti che vivono e operano nello spazio profondo”, ha affermato l’amministratore della NASA Bill Nelson. “Questa ricerca sulla crescita delle piante è anche un esempio chiave di come la NASA stia lavorando per sbloccare innovazioni agricole. Queste ci aiuteranno a capire come le piante potrebbero superare condizioni stressanti in aree a scarsità di cibo qui sulla Terra”.
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di Veronica Fiocchi
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