Venerdì 4 novembre, al Leoncavallo, verrà presentato il libro Educare nel mondo grande e terribile. Scritti pedagogici, a cura di S. Tramma, PGRECO Filorosso, Milano 2022.
Con:
– SERGIO TRAMMA (professore di Pedagogia)
– VITTORIO MORFINO (professore di storia della filosofia e curatore della collana Filorosso)
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Antonio Gramsci è uno degli autori italiani al quale sono stati maggiormente dedicati saggi e monografie. Le sue opere – i Quaderni del carcere, le lettere inviate prima e dopo la sua prigionia, gli articoli pubblicati prima della carcerazione – sono state costantemente rieditate, e numerose sono le antologie che raccolgono i molti argomenti su cui ha riflettuto. È un autore dalla poliedrica definibilità (da intellettuale a politico comunista, da genitore a martire antifascista), al quale è possibile rivolgersi per cercare stimoli che vadano oltre la politica in senso stretto.
Anche se talvolta alcune sue produzioni hanno travalicato i propri confini “tradizionali”, come nel caso dell’articolo Odio gli indifferenti, addirittura recitato nel 2011 sul palco di una delle più importanti manifestazioni canoro-ricreative del Paese quale è il Festival di Sanremo, la conoscenza di Gramsci è circoscritta solo ad alcuni ambienti, certuni virtuosamente demodé. Per inciso, a proposito del successo di Odio gli indifferenti, si potrebbe affermare che si tratta di uno dei pochissimi casi nei quali una posizione forte e divisiva di Gramsci, «odio», sia stata trasformata in una rassicurante e inclusiva esortazione a un generico impegno per le faccende del mondo. Quasi una sorta di educazione a una, come suole dirsi di questi tempi, “cittadinanza partecipata”, nella quale la possibilità dell’odio è comunque esclusa per principio, cioè senza porre la questione riguardante il fatto che la partecipazione non può essere considerata una virtù tout court.
La raccolta di scritti gramsciani, pubblicata quest’anno per la casa editrice PGreco, Educare in un mondo grande e terribile mira precisamente a rompere il muro dello specialismo, e presentare quindi a un pubblico vasto le riflessioni gramsciane di carattere pedagogico-educativo. È un’antologia, e lo è in una doppia accezione. La prima poiché riguarda quegli scritti di Gramsci che sono riconducibili a tale, pur incerta, area; la seconda perché si rivolge a persone che operano professionalmente o volontariamente in ambito socioeducativo, e a studentesse e studenti dei corsi di laurea in scienze dell’educazione e della formazione.
Non è certo la prima antologia o il primo studio che tenta di racchiudere in un unico testo ciò che riguarda la riflessione gramsciana sulla prassi educativa. È doveroso citare, tra le altre, le opere di Angelo Alighiero Manacorda (1972) e di Giovanni Urbani (1967). Due antologie di altissimo livello, ma che inevitabilmente riflettono la situazione politico-sociale nella quale presero forma, una situazione radicalmente diversa da quella attuale.
Erano quelli infatti gli anni dei movimenti studenteschi e operai, in cui era diffusa e partecipata una riflessione attorno alla capacità (e possibilità) che la scuola diventasse un’esperienza di emancipazione dei ceti subalterni – e non avesse per loro, quando l’aveva, una mera funzione professionalizzante e adattiva1. Anni in cui iniziava a manifestarsi un’educazione cosiddetta “extrascolastica”, ossia quell’insieme di progetti finalizzati ad ampliare o modificare le esperienze educative presenti nei luoghi di vita individuali e collettivi (i corsi di 150 ore, le esperienze di alfabetizzazione, le iniziative culturali…). Un’educazione che tentava di occupare, seppure molto parzialmente e prometeicamente, lo spazio progressivamente lasciato libero dalle organizzazioni a carattere politico, sindacale, religioso ecc. e che sarebbe stato invece occupato dai media e dalle capacità educative generate dalle nuove tecnologie. Soprattutto, erano gli anni in cui il comunismo era una pratica politica diffusa, un abito mentale indossabile senza imbarazzo, e Gramsci un punto di riferimento teorico e politico centrale.
Oggi, proporre Gramsci pedagogista-educatore significa inevitabilmente affrontare altri problemi, dialogare con altri destinatari. Significa innanzitutto cogliere che le concezioni del mondo con cui si confrontano le nuove generazioni che ambiscono a operare in ambito educativo – concezioni che sono si strutturano e sono proposte (esplicitamente o latentemente) non solo nelle esperienze formative “ufficiali” e legittimate, ma anche nella molteplicità di esperienze attraversate e attraversano la vita dei soggetti individuali e collettivi: dal gruppo di pari all’associazionismo, dalla televisione a internet – sono caratterizzate dalla marginalità della dimensione collettiva di ricerca e partecipazione politica. Ricerca e partecipazione che sarebbero invece funzionali a produrre anche materiali e strumenti di analisi in grado di contrapporsi, oltre che al liberismo imperante nelle sue diverse sfumature, anche ad un contro-liberismo compatibile (in particolare per quanto riguarda le politiche sociali ed educative). Un contro-liberismo che nasce dall’assemblaggio di nuove versioni di umanitarismo e solidarismo cristiano e laico, e che si manifesta attraverso termini (da empowerment a inclusione) e fraseologie (da “social Justice” ad “aiutare gli ultimi”) incapaci di fornire alcun elemento utile a cogliere le dinamiche sociali ed economiche che producono esclusione, ingiustizie, diseguaglianze, con tutto il correlato di false coscienze che ciò comporta.
La ripubblicazione del pensiero pedagogico-educativo gramsciano, seppure nella forma comunque incompleta ed opinabile per definizione quale è quella di un’antologia, all’interno di una collana editoriale che non nasconde la propria collocazione culturale e politica, ha allora l’obiettivo (auspicabile ma non per questo automaticamente perseguibile) di contribuire a costruire discorsi sull’educare che ricavino materiali da un autore che, ancora oggi, è considerabile un riferimento fondamentale. E, in particolare, può esserlo se l’analisi attorno a tali temi si svincola, ma senza per questo separarsi o isolarsi – cosa del resto impossibile – dallo studio del movimento comunista nazionale e internazionale e alle posizioni congiunturali che Gramsci e gli altri protagonisti di quel tempo presero nei conflitti che lo attraversarono.
Gramsci collocato nel tempo attuale è risorsa preziosa per sviluppare ragionamenti più raffinati sui temi quali quelli dell’egemonia in una società caratterizzata dalla massiccia presenza dell’informazione, in particolare nella fase di interregno tra i vecchi e i nuovi strumenti; così come può contribuire a chiarire il tema sempre più attuale e critico del rapporto tra educare e istruire. E anche altro: può stimolare la lettura “di classe” della iattura della meritocrazia, nelle sue versioni neoliberiste culturalmente avanzate e moderne quanto di quelle retrive. Può stimolare la riflessione attorno ai rapporti, pedagogicamente rilevanti, tra oggetto e soggetto della conoscenza, così come quello tra natura e cultura. Argomenti non collocati solo sui piani teorici, ma anche in quelli delle concrete pratiche sociali.
Antonio Gramsci è insomma un antidoto alla semplificazione, alla resa incondizionata del pensiero alla realtà esistente, alla pedagogia esortativa e alla educazione accomodante, e in questo senso va valorizzato. Nel suo caso si può ben affermare “ben scavato vecchia talpa”. Si tratta ora di ascoltarlo e di indirizzargli tutto il riconoscimento che merita.
di Sergio Tramma
[1] Nonostante Lettera a una professoressa avesse ampiamente dimostrato la nature selettiva economica e meritocratica di quella scuola pur parzialmente riformata.