«Certi nascono umani. Altri ci mettono una vita a diventarlo»
Chuck Palahniuk, Rabbia
Dal sanscrito rabbahs nasce la nostra parola “rabbia”, che ha come principale significato “fare violenza”.
La parola viene anche usata per identificare una delle malattie probabilmente più antiche mai conosciute, della quale si hanno testimonianze fin dal 1930 a.C. nella Mesopotamia. Il virus che provoca la rabbia è un tipo di Lyssavirus, tutte le specie a sangue caldo possono contrarla e gli animali infetti possono trasmettere all’uomo la malattia, effettuando così un salto di specie. Si tratta quindi di una zoonosi, un’infezione trasmissibile da un animale all’uomo.
I Lyssavirus hanno una simmetria elicoidale, sono avvolti e hanno solo un filamento genomico ad RNA negativo. L’RNA è strettamente legato alla nucleoproteina virale che contiene a sua volta l’informazione genetica; il genoma codifica poi cinque geni ordinati. Il morso di solito è la via di infezione più frequente, infatti il virus è presente nei nervi e nella saliva dell’animale affetto. La peculiarità dell’animale ormai infetto è l’aggressività, per questo può mordere e attaccare qualunque altro animale o persona nelle vicinanze, senza nemmeno essere stato provocato. Il patogeno virale che ha infettato l’ospite può modificarne il comportamento per permettere una maggior trasmissione ad altri ospiti e quindi alla sua replicazione.
Il virus, a partire poi dalla cellula nervosa o muscolare attaccata, inizia la propria replicazione. Sulla sua membrana esterna vi sono delle punte trimeriche che come un puzzle si accoppiano perfettamente con un recettore cellulare specifico, l’acetile. Questo aggancio permette al virus di entrare direttamente nella cellula tramite una pinocitosi, di seguito riversa le sue proteine e l’RNA nel citoplasma della cellula invasa. Da lì inizia la sintesi proteica a partire dall’mRNA, utilizzando anche i nucleotidi presenti nel citoplasma. Se ci sono abbastanza proteine nel citoplasma allora la polimerasi inizia a sintetizzare nuovi filamenti negativi di RNA virale, i virus una volta accumulati e colonizzata la cellula ne fuoriescono.
Si è scoperto artificialmente nell’arco dell’Ottocento che questo tipo di diffusione virale non avviene tra i volatili, che risultano pressoché immuni. Il virus invece si è evoluto in modo da poter infettare anche i vertebrati a sangue freddo.
Si conoscono 7 genotipi e 4 sierotipi di Lyssavirus e sono stati recentemente isolati da chirotteri euro-asiatici quattro nuovi virus. I Lyssavirus sono classificati in due gruppi filogeneticamente correlati, ma con diverse caratteristiche di patogenicità e immunogenicità: al primo gruppo appartengono RABV, DUVV, EBLV e ABLV, al secondo gruppo LBV e MOKV.
La variabilità genetica è legata a mutazioni in posizione 333 nella glicoproteina G del virus, che comportano la comparsa di varianti più patogene. La glicoproteina G ha proprietà immunogene che stimolano la produzione di anticorpi neutralizzanti, su cui si basa poi la protezione vaccinale.
Il virus è in grado di infettare tutte le specie di mammiferi e ciascun genotipo virale è adattato a una particolare specie responsabile del mantenimento del ciclo epidemiologico. Se invece il virus passa ad altre specie, generalmente la malattia si manifesta ed estingue in una breve serie di passaggi.
Subito dopo l’infezione il virus entra nella fase di eclisse, durante la quale si replica nel tessuto muscolare circostante, ma senza determinare lesioni cellulari profonde tali da stimolare reazioni infiammatorie e immunitarie. In questa fase il virus viene difficilmente isolato, ma se sono presenti anticorpi può essere neutralizzato. La fase successiva è quella della migrazione centripeta: dopo molti giorni o mesi, il virus raggiunge le terminazioni nervose demielinizzate e migra seguendo un flusso retrogrado lungo gli assoni dei tronchi nervosi periferici verso il midollo spinale e da qui verso l’encefalo. Il virus colpisce e danneggia soprattutto i neuroni. Una volta giunto nell’SNC si manifestano i primi sintomi clinici e il virus comincia a replicare. Successivamente, nella fase di migrazione centrifuga, il virus si distribuisce seguendo le vie nervose verso tessuti periferici, in particolare ghiandole salivari e terminazioni della cavità oronasale. L’escrezione virale, e quindi la possibilità di contagio di nuovi individui, avviene solo dopo la replicazione nell’SNC e la colonizzazione delle ghiandole salivari.
Le reazioni immunitarie si vedono solamente dopo la replicazione virale nell’SNC e non nella fase di incubazione, data la scarsa quantità di antigene virale e la sua posizione “eclissata” nella sede di inoculo. Le reazioni immunitarie si esprimono solamente dopo l’avvenuta replicazione virale nell’SNC e non nella fase di incubazione, data la scarsa quantità di antigene virale e la sua posizione “eclissata” nella sede di inoculo.
Nell’uomo la rabbia dà i primi sintomi come un’influenza che si sviluppa in modo variabile con un periodo di incubazione di solito tra i 2 e i 12 giorni. I sintomi sono: paralisi, ansia, insonnia, confusione, agitazione, paranoia, terrore, allucinazioni e delirio. La malattia segue fasi abbastanza precise: quella prodromica in cui si possono rilevare semplici sintomi influenzali come febbre e cefalea; quella di latenza o rabbia furiosa in cui si sviluppa l’idrofobia, si tratta di un laringospasmo che si verifica durante l’atto del bere; la fase terminale in cui ormai il virus si è diffuso in tutto il sistema nervoso e i sintomi diventano neurologici. La sintomatologia più diffusa, circa del 75%, è di tipo furioso, che sviluppa con sintomi di forte aggressività e irascibilità, oltre che allucinazioni, idrofobia e iperestesia. Raramente si può ritrovare una sintomatologia di tipo paralitico.
La rabbia inizialmente veniva anche chiamata “idrofobia” perché si notava una difficoltà di deglutizione nelle persone affette da rabbia. Da questo sintomo si scatenano a cascata una serie di effetti domino per cui, il rabbioso, non riuscendo a placare la propria sete, aumenta la produzione di saliva. Solo l’idea di bere o ingerire liquidi provoca spasmi e dolori ai muscoli della gola per chi è contagiato dalla malattia. Tutto questo si può ricondurre al fatto che il virus si moltiplica e assimila nelle ghiandole salivari, quindi per potersi diffondere attraverso il morso deve poter amplificare la propria trasmissione tramite eccessi di saliva.
Esistono poi diversi tipi di rabbia in base alle differenti sintomatologie: rabbia furiosa, in cui vi è una marcata iperattività, con agitazione, autolesionismo, tendenza alla morsicatura o l’idrofobia. Un animale in questo stadio può essere feroce, perdere ogni paura e attaccare un altro animale o l’uomo. Rabbia muta, fase nel decorso clinico di questo disturbo caratterizzata da uno stato di stupore e dall’incapacità di inghiottire. Rabbia paralitica, caratterizzata da paralisi dei muscoli deglutitori e, perciò, scolo di saliva. La paralisi ascendente, simile a quella che si riscontra nella mielite transitoria, è un sintomo predominante e precoce. Rabbia selvatica o silvestre, forma propagata da animali selvatici come volpi, tassi, faine, martore, donnole, moffette, manguste, procioni, lupi e pipistrelli. Rabbia urbana, rabbia propagata principalmente da cani e gatti domestici non immunizzati.
Il virus della rabbia è quindi un’infezione che colpisce principalmente il sistema nervoso causando l’infiammazione dell’encefalo e del midollo spinale. Il sistema nervoso viene a tal punto compromesso che le reazioni comportamentali sono controllate dal virus stesso e non più dall’organismo; un piccolo virus può essere in grado di gestire i nostri stimoli come meglio crede, tutto per la sua sopravvivenza.
Bibliografia
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di Veronica Fiocchi
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