L’attesa in coda in autostrada può essere stressante, ma è l’occasione per osservare un fenomeno e modellizzarne una dinamica… stellare
La precarietà dettata dal senso dell’attesa è una sensazione che ci riporta inevitabilmente al nostro passato più recente: l’attesa che il lockdown giungesse alla sua conclusione, l’attesa di rivedere i propri cari vincolati dai confini comunali o regionali, l’attesa di poter tornare ad una (nuova) normalità, l’attesa che ci si potesse risvegliare dall’incubo pandemico… In questa esperienza che ci ha accomunato, abbiamo potuto verificare come, più di ogni altro stato mentale, l’attesa sappia rendere estremamente concreto il concetto di “tempo”: “attendere” presuppone che esista un momento t0 in cui da uno stato A si passa al tanto sospirato stato B, dopo un intervallo di tempo adeguato perché ciò avvenga.
La fisica moderna concepisce il tempo come una distanza tra due eventi dello spaziotempo; una distanza che, dice Einstein, varia in base alla velocità cui viaggia l’osservatore. Immaginando di far muovere un orologio lungo un percorso chiuso con una velocità pari all’80% della velocità della luce (che non è proprio una robetta – diciamolo), una volta tornato al punto di partenza l’orologio segnerà un tempo inferiore (circa il 60%) rispetto a un orologio sincrono ma rimasto fermo. Quasi a dire che se mentre sei in attesa ti occupi di qualcos’altro, forse il tempo ti passerà più velocemente (ma non dite ad Einstein che ve l’ho detta così o mi fa togliere la laurea). La prospettiva di investire il tempo in attesa in modo alternativo, tuttavia, credo possa rispecchiare un modo di vivere la realtà “da fisico”. Mi spiego meglio: mentre attendo che una situazione si risolva o che un processo si completi, lo spirito curioso del fisico che è in me spesso si distrae dall’attesa stessa, con il desiderio di comprendere il processo, smontare il fenomeno, capirne il senso, studiarne la dinamica e prevedere delle conclusioni
Ad ognuno di noi almeno una volta è successo di rimanere in coda in autostrada, bloccati in un ingorgo di traffico che sembra interminabile e poi magicamente si è dissolto senza una apparente spiegazione. In queste situazioni credo sia spontaneo chiedersi come questo evento possa avvenire e magari, ripercorrendo con la mente la situazione, impostare un approccio osservativo-sperimentale all’analisi dell’evento. Se non pensate di aver mai fatto questo tipo di esperienza, vi posso rivelare che ci sono stati proprio dei fisici[1] (ma anche matematici e ingegneri) che invece hanno speso tempo ed energie nel tentativo di modellizzare il traffico in situazioni anomale come quella di cui sopra, al fine di comprendere il sistema dinamico e… essere più preparati la prossima volta.
L’approccio è stato quello di modellizzare il traffico come un liquido che scorre, con le auto paragonate a gigantesche molecole d’acqua, così che si possa poi studiarne una sua propria “fluidodinamica”. Pensiamo ad un’auto in panne che blocca il traffico su una strada a singola corsia; le auto che arrivano dietro di lei freneranno e rimarranno bloccate. Quando si riesce a liberare la carreggiata, le auto non potranno ripartire tutte coordinate con un moto “rigido”, poiché ogni guidatore aspetterà che l’auto che precede si muova per partire anche lui. Ogni vettura in ripartenza ritarderà allo stesso modo, fino a far “evaporare” l’ingorgo partendo dall’estremità anteriore a valle. L’immagine è quella di una vera e propria “onda di evaporazione” che si muove nella direzione opposta alla direzione del traffico, fino a dissolvere completamente l’ingorgo[2].
Stupisce che modelli dinamici di questo tipo si applicano anche a contesti ben meno quotidiani, come quello delle galassie a spirale. Ebbene sì, anche le stelle a modo loro rimangono bloccate nel traffico: C.C. Lin e Frank Shu[3] a metà degli anni Sessanta proposero un modello di onde di densità per giustificare la formazione e persistenza della struttura a spirale di molte galassie. I bracci a spirale sono zone del disco galattico dove la densità del materiale è maggiore del 10-20% rispetto agli ambienti circostanti. In realtà non si tratta sempre dello stesso materiale in movimento rigido ma piuttosto un “giro di giostra” a turni ben definiti. Pensiamo ad esempio ad un’autostrada trafficata (il disco galattico), dove un camion si muove al rilento sulla prima corsia; le auto della sua corsia rallenteranno e si concentreranno dietro di lui in attesa di poterlo superare e riprendere la loro più naturale velocità. Ebbene, se il camion rappresenta l’onda di densità che percorre il disco, il materiale che incontra nel suo percorso si addensa andando a formare i pattern dei bracci a spirale; superata la perturbazione, le stelle tornano a orbitare alle loro velocità originarie. Quanto tempo son rimaste in coda? Più o meno qualche milione di anni. Proprio vero quel che dice l’I Ching: «Se sei verace hai luce e riuscita». Pensiamo quindi alle stelle imbottigliate nel disco galattico, la prossima volta che ci ritroviamo in coda in autostrada.
Note
[1] Shin-ichi Tadaki et al (2013), Phase transition in traffic jam experiment on a circuit, in «New Journal of Physics», vol. 15, ottobre 2013
[2] Le animazioni anni Novanta di trafficwaves.orgsapranno rendervi più chiara la mia descrizione.
[3] C.C. Lin, F. H. Shu, On the spiral structure of disk galaxies, in «Astrophysical Journal», vol. 140, agosto 1964.
di Amedeo Bellodi
Credits:
Figura 1. Ma Joseph, Luci del traffico di Taiwan.
Figura 2. ESO, La galassia a spirale M61.