Il letargo e gli stati di quiescenza di animali e piante
E se fossimo vicini a scoprire la chiave per ottenere la vita eterna?
Come sempre piante e animali ci precedono nel saper rispondere al meglio a ciò che li circonda, adattandosi al cambiamento. Sia piante che animali, infatti, quando necessario praticano l’anabiosi, o “vita latente”. Si tratta del rallentamento o interruzione momentanea delle funzioni vitali, in base agli stimoli ambientali.
Studiando meglio la fisiologia della vita latente potremmo forse arrivare a conoscere un modo per aumentare la nostra longevità. Questo studio parte da una scoperta: il primo e unico primate, il “chirogaleo medio” (Cheirogaleus medius), lemure del Madagascar, che va in ibernazione. Molto probabilmente per questo motivo è più longevo degli altri, infatti può arrivare fino a 30 anni di vita.
Gli animali utilizzano il letargo o l’ibernazione soprattutto per riuscire a sopravvivere a periodi in cui il clima è particolarmente rigido e ostile.
In natura, sia organismi vegetali che animali inducono l’ibernazione o la quiescenza. Gli esseri endotermi controllano questa fase e regolano metabolicamente un cambio interno della loro temperatura in modo volontario. Gli ectotermi invece, subiscono il processo di riduzione della temperatura interna in modo involontario, adattandosi alla temperatura circostante, per questo si può meglio definire come stato di quiescenza.
Lo stato di quiescenza si innesca seguendo una cascata di processi. In seguito a una condizione di anossia, cioè in mancanza di assorbimento di ossigeno, i mitocondri bloccano il processo di produzione di ATP, poiché la fosforilazione ossidativa non può iniziare senza la presenza di ossigeno. Di conseguenza, a cascata, tutti i processi metabolici cellulari vengono interrotti. È necessaria una predisposizione genica a questo processo, altrimenti l’organismo, in mancanza di ossigeno, si danneggerebbe a tal punto da arrivare al collasso.
Ci sono poi meccanismi più specifici che riguardano sempre il processo di ibernazione, si tratta ad esempio del torpore, della diapausa e della criptobiosi. Il torpore è uno stato simile al riposo notturno, in cui vengono recuperate le energie e viene attuato ad esempio da mantidi e moscherini. Moltissimi insetti invece utilizzano il meccanismo della diapausa, che prevede la sospensione dello sviluppo di un organismo in modo temporaneo, in attesa di condizioni più favorevoli.
Le larve di locuste ad esempio, quando le fonti di cibo scarseggiano, entrano in diapausa e interrompono la fase di sviluppo dell’apparato riproduttivo, per poi riprenderla nella stagione umida, quando raggiungono lo stadio adulto.
La criptobiosi è il metodo di ibernazione più estremo in assoluto, perché non solo vengono rallentati i meccanismi metabolici, ma vengono totalmente arrestati. Gli organismi per eccellenza che utilizzano questo processo sono i tardigradi, sembra che possano addirittura essere in grado di sopravvivere nello spazio.
Ci sono vari stimoli esterni che possono innescare la criptobiosi: se avviene in assenza di acqua si tratta di anidrobiosi, se è in assenza di ossigeno si dice anossibiosi, se invece dipende da un calo di temperature sotto lo zero allora si tratta di criobiosi. L’anidrobiosi viene utilizzata anche dalle cosidette “resurrection plants”(ad esempio la Selaginella lepidophylla), le quali, pur seccandosi completamente, possono sopravvivere per anni e tornare in stato vegetativo in presenza di acqua.
Quasi tutte le altre piante utilizzano principalmente la quiescenza o dormienza per sopravvivere, non entrano quindi in stato di letargo. Durante la quiescenza la pianta ferma la crescita e smette di produrre nuovi apparati fogliari, anzi li perde. Le piante applicano poi lo stato di quiescenza ai semi, infatti se i semi sono pronti a germogliare ma le temperature esterne sono sfavorevoli, allora applicano la dormienza dei semi. La crescita del seme viene quindi sospesa finché non sussistono condizioni climatiche migliori per germogliare. Un seme della pianta di Silene stenophylla è stato fatto germogliare pochi anni fa dopo essere stato in dormienza sotto il permafrost siberiano per 30mila anni.
Gli uccelli, essendo endotermi, potrebbero tranquillamente entrare in letargo o in ibernazione, invece utilizzano la tecnica del torpore. Solo il succiacapre di Nuttall d’inverno preferisce attuare la tecnica dell’ibernazione nascondendosi tra le rocce, invece di migrare come fanno tutti gli altri volatili.
Ma perché l’ibernazione e lo stato di torpore interessa così tanto i biologi e i medici? A parte il desiderio umano di raggiungere una sempre maggiore longevità, sarebbe molto utile dal punto di vista terapeutico.
Ovviamente non siamo geneticamente predisposti per andare in letargo e per rallentare volontariamente il nostro metabolismo, anche se nel passato ci sono state leggende di folkore su uomini russi che dormivano per metà anno per superare le carestie invernali. Nel 2002, però, i medici dell’Istituto di Clinica Neourologica di Bologna hanno studiato un paziente che spontaneamente entrava in stato di torpore.
Gli studiosi stanno cercando di approfondire un modo per indurre un rallentamento del metabolismo, in maniera controllata. L’ipotermia terapeutica viene già utilizzata in alcuni interventi molto invasivi, ma si tratta ancora di una procedura molto pericolosa, poiché il nostro corpo tenta in tutti i modi, per sopravvivenza, di non assecondare l’abbassamento della sua temperatura ma di combatterlo. L’ideale sarebbe trovare un modo per innescare internamente uno stop del metabolismo portando l’organismo nello stato di dormienza, questo renderebbe molto meno pericolosi interventi come i trapianti d’organo.
L’ibernazione sta destando così tanto interesse nel campo scientifico poiché porta ad un cambiamento totale nella fisiologia dell’organismo, tutti gli organi si devono adeguare infatti a un metabolismo rallentato senza danneggiarsi.
Sembra che gli animali in letargo siano anche meno vulnerabili alle radiazioni. Sia l’aspetto dell’effetto radioprotettivo che dell’assenza di atrofia muscolare sarebbero di utilissima applicazione nei viaggi spaziali, i quali sono resi complessi per l’equipaggio umano, se il viaggio dura diversi mesi.
Durante l’ibernazione rallenta tutto ciò che ha a che fare con il metabolismo cellulare e la proliferazione e questo potrebbe bloccare momentaneamente anche la crescita di cellule tumorali. Non corrisponderà di certo ad una cura, ma sicuramente può aiutare a capire come rallentare il processo cancerogeno.
Persino i filosofi potrebbero interessarsi di letargo e ibernazione, dal punto di vista della coscienza. Secondo i neuroscienziati la capacità di coscienza cambia in base alle connessioni neurocorticali, infatti negli stadi di sonno e veglia passiamo da uno stato di non-coscienza a uno di coscienza. Ma in ibernazione non c’è né coscienza né non-coscienza. Infatti, è stato osservato che negli animali ibernanti l’attività corticale non è la stessa di quella che si presenta nel sonno, ma è più simile a una veglia più rallentata. Quindi anche in questo caso lo studio dell’ibernazione darebbe risposte nel campo neurofisiologico, per capire meglio come avviene la graduale scomparsa di coscienza.
Come scrisse Schopenauer «Il bisogno di sonno sta in rapporto diretto con l’intensità della vita cerebrale, cioè con la lucidità della coscienza. Quegli animali la cui vita cerebrale è debole e ottusa, dormono poco e hanno il sonno leggero, per esempio i rettili e i pesci, al quale riguardo ricordo che il letargo invernale è un sonno quasi solo di nome, cioè è una inazione non solo del cervello, ma dell’intero organismo, dunque una specie di morte apparente. Gli animali di intelligenza elevata dormono profondamente e a lungo. Anche gli uomini hanno tanto più bisogno di sonno, quanto più il loro cervello è sviluppato, in quantità e qualità, e quanto più esso è attivo».
Bibliografia:
– Mark B. Roth e Todd Nystul, La vita sospesa, in Le Scienze, n. 443, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso Spa, 1º luglio 2005.
– TI Storer, RL Usinger, RC Stebbins e JW Nybakke, Zoologia, Zanichelli, 1982.
– Hermann, Dirk M. et al. Afferent projections to the rat nuclei raphe magnus, raphe pallidus and reticularis gigantocellularis pars demonstrated by iontophoretic application of choleratoxin. Journal of Chemical Neuroanatomy Volume 13, Issue 1, June 1997.
– Nakamura, Kazuhiro et al. The Rostral Raphe Pallidus Nucleus Mediates Pyrogenic Transmission from the Preoptic Area. The Journal of Neuroscience, June 1, 2002.
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