La verità è ricurva – e astratta

Trasgressioni attorno all’estetica di Roberto Floreani

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo al dibattito sul concetto di cultura inaugurato il 13 dicembre scorso durante la serata “Sic et Non – Simpliciter“. Il 14 gennaio p.v., dalle 18.00 alle 20, seguirà una seconda parte dell’iniziativa, sempre alla Corte dei Miracoli, via Mortara 4.

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Chiunque fosse interessato a contribuire al dibattito con un proprio articolo può inviarlo per mail a: collabora@latigredicarta.it.

arte astratta kandinskij

Il dibattito sull’arte contemporanea, a un secolo dall’orinatoio di Duchamp, ha prodotto un ampio novero di tesi, ermeneutiche, rappresentazioni che dimostrano, da un lato, la pregnanza dell’estetica, dall’altro il carattere ripetitivo e scarsamente originale della meme-filosofia del nuovo millennio (rappresentazione mimetica della tradizione filosofica, a essere generosi). All’interno di questo a tratti deprimente contesto, brillano, fortunatamente – o, meglio, coraggiosamente – alcune rare eccezioni. Nel loro novero si conta la recente proposta – al contempo teoretico-estetica e storico-interpretativa – offerta da Roberto Floreani nel suo Astrazione come Resistenza[1].

Floreani, uno dei più importanti astrattisti contemporanei italiani, nonché studioso di Avanguardie, scrittore e saggista, ci conduce a colpi di “immagini in parole” all’interno della storia eroica dell’arte astratta. A cogliere la natura intrepida dell’Astrazione è stato fra i primi il filosofo francese Jean Baudrillard, indimenticabile teorico dell’abissale nozione di simulacro e autore del celebre Il Complotto dell’arte (apparso sul quotidiano Libération il 20 maggio 1996): di contro all’arte nichilista che alimenta l’insignificanza del non-sense, scrive l’autore francese, «l’astrazione è diventata la grande avventura dell’arte moderna […] l’astrazione fa ancora parte di una storia eroica della pittura, di una decostruzione della rappresentazione, di una frammentazione dell’oggetto»[2].

A questa avventura è dedicata l’opera di Floreani. Un viaggio nella storia del Novecento, sino alla stretta contemporaneità, ma soprattutto uno sguardo disilluso rispetto all’interesse cronachistico, muovendosi piuttosto il saggio verso la ricostruzione di una storia astorica, se accettiamo questo paradossale binomio come una forma di accostamento – Annäherung, “avvicinamento”, direbbe Ernst Jünger – alla dimensione originaria della potenza anagogica dell’Astrazione. Una storia, senza dubbio, perché calata nella temporalità, nelle esistenze umane, nelle prassi concrete mediante cui queste si estrinsecano; una trans-storia, d’altronde, in quanto manifestazione immanente e sensibile del trascendente invisibile – l’arte, infatti, come scrisse Paul Klee, «non ripete le cose visibili, ma rende visibile»[3].

In questa interferenza fra storia e sovrastoria – per citare una felice espressione dell’intellettuale austriaco Walter Heinrich – matura l’intera genealogia dell’arte, eppure l’Astrazione, nella prospettiva abilmente squadernata da Floreani, vi assume un ruolo particolarmente emblematico. Tale primazia dipende, così intuisce il nostro, dalla capacità dell’arte astratta d’incorporare, mediante stilemi, tecniche, modalità espressive nuove, una idea arcaica di artista, dal contenuto fortemente spirituale – e, pertanto, sovratemporale, come i rapporti intessuti dall’Astrazione con il pensiero teosofico, antroposofico e, più in generale, esoterico-religioso emblematicamente rappresentano.

arte astratta floreani

L’arte astratta si oppone radicalmente agli assunti fondamentali della modernità – materialismo, progressismo, scientismo, verismo estetico, dittatura della sfera privata – e pure, a nostro avviso, della postmodernità – relativismo, fine della storia, pensiero debole, indifferenzialismo estetico, predominio della spettacolarizzazione (Guy Debord). L’arte astratta richiama, infatti, la potenza estatica dell’estetica, la funzione trasfiguratrice dell’arte, la chiamata dell’interiorità, un’antropologia assiale della verticalità che non può esplicarsi se non in un pensiero forte. Un modo d’intendere se stessi e la realtà che ci circonda per nulla rigido, monotico, riduzionista, passatista, al contrario pervicacemente vitalista, esuberante, pretenzioso, fedele a se stesso, sinolo di forma, stile e spirito.

Pertanto: Arte Astratta come Resistenza.

Non come rivolta teleologicamente orientata, in odore di razionalismo e progressismo, bensì quale folle danza sull’abisso, marcia tesa alle stelle, dissipazione del genio per tramite dell’insufflazione pneumatica dell’Altrove. Arte astratta, risolutamente resistente – e non, deo gratias, resiliente – e ribelle. In tedesco parleremmo di Widerstand – “resistenza”, appunto. Che, forse non a caso, è il nome di una fondamentale rivista di primo Novecento, ideata da Ernst Niekisch e frequentata da Ernst Jünger, in cui s’immaginò un’altra idea di Europa. Abisso, decisione, rivoluzione erano le idee-guida che animavano questo sogno lucido, nonché alcune delle nozioni predilette da Niekisch, quasi un mantra capace di rinsaldare, di contro agli sfaldamenti spontaneisti, infantili e piccolo borghesi, la risolutezza del carattere degli uomini-dinamite.

Ecco che l’Arte-Vita, la proposta esistenziale della poetica futurista, oggi viene sovente riesumata nella cultura mainstream come riduzione della vita a un’estetica angusta, dai confini stretti, proprio l’opposto dell’auspicio marinettiano: non più sublimare relazionalmente arte e vita, bensì ridurre la vita a estetica commercializzabile. Ossi, la levigatezza di cui parla il filosofo Byung-Chul Han, commentando aspramente l’opera di Jeff Koons. Questa, in quanto superficie di superficie, ha un carattere essenzialmente simulacrale: tende alla negazione non solo della dimensione spirituale, ma anche di quella materiale, entrambe ridotte a un semplice like o a un wow, come peraltro auspicato dallo stesso Koons[4].

L’arte astratta è invece, per Floreani, un pharmakon contro le banalità del politicamente corretto, che oggi all’arte prescrive d’indagare tutta una serie di tematiche – l’ecologia, l’immigrazione, la discriminazione di genere – secondo stilemi ormai banali nella loro consunta ripetitività: «Tutti eventi perfettamente allineati ai comandamenti della comunicazione internazionale, che, vale la pena ricordare, sembrano miracolosamente essere baciati e condivisi simultaneamente dai media, dalle superpotenze, dal Consiglio Europeo, dalle multinazionali e dai magnati multimiliardari a varie latitudini, in America come in Cina, in Russia come in Svizzera, in un’improbabile, impossibile convergenza d’intenti, sospetta per fino per i più ingenui. […]. Mascherati da intenti sociali e da grandi progetti, troppo spesso spacciati come umanitari, gl’interessi dei più influenti alimentano la vertigine del nuovo millennio, che si sta risolvendo in una semplice sostituzione dei principi essenziali di natura etica con altri, dove la convenienza e il tornaconto assumono un valore imprescindibile»[5].

Il rischio per l’arte d’avanguardia contemporanea di subordinarsi, spesso per miope autocensura, al paradigma culturale figlio del “capitalismo della sorveglianza” (Shoshana Zuboff) è assai comune. Il fenomeno si lega a un conformismo incapace di proporre altro rispetto al mainstream, sottoposto al ricatto dell’attualità, insipiente rispetto alla radicale problematizzazione che l’arte – come la filosofia – sempre comporta, e su cui pochi oggi s’interrogano (per superficialità o mancanza di coraggio?). Floreani, con sguardo anti-neutrale, squaderna con chiarezza il tema e propone, al di là della pars destruens sin quipercorsa, un paradigma culturale costruttivo e originale, nella misura in cui si radica nell’Origine. Ecco il destino provocatorio dell’arte astratta: farsi cuore pulsante di un’altra (post)modernità, un «controcanto al pensare dominante» (così lo scrittore Davide Brullo ha definito l’ «identità marziale» della poetica di Floreani[6]).

Duchamp orinatoio

L’Astrazione lumeggiata nel saggio è dunque un’arte per nulla ingenua, spontanea, naturalistica. S’incardina tutta su una «disciplinata devozione» di matrice spirituale, tesa a una trascendenza immanente che si dà precisamente al centro del vortice della dissoluzione contemporanea. Di contro alla pretesa riduzionistica operata da molte interpretazioni critiche, l’Astrazione è arte dell’incanto e della meraviglia, arte scientifica, certamente, ma solo nel senso degli alchimisti, dei magi rinascimentali e dei litomanti, non certo dei positivisti moderni. Al temaallude uno dei passaggi più potenti del saggio: «Come nella tesi induista dell’avvicinamento alla propria morte ad ogni perdita del seme, l’artista, affidando ogni opera compiuta al mondo, risponde alla sua componente profonda affidandole una parte di sé, alimentando quindi il proprio straniamento, la destabilizzazione, lo squilibrio, ma adoperandosi immediatamente nell’intento del ripristino di un nuovo equilibrio, finalizzato alla nuova spinta vitale, proiettata verso la creazione di un’altra opera»[7]. È segnatamente questa visione «la grande lezione che l’Astrazione frequenta da oltre un secolo, passando attraverso le sue diverse anime, cercando la sintesi corpo-mente-spirito anche nella pratica spirituale e meditativa: gran parte degli artisti più rappresentativi in quest’ambito cercano storicamente nello spirituale l’attimo di sincronizzazione perfetta tra l’afflato interiore, l’intenzione e l’azione, ricercando in profondità la propria geometria interna»[8].

Proprio da qui la sua emarginazione negli scenari contemporanei, una discriminazione che ha colpito l’intera Astrazione, ma che ha con maggior vigore danneggiato la sua “versione” italiana – ab origine futurista, e quindi strutturalmente incompatibile con il mainstream. «Troppo spesso, con ogni evidenza, il primo detrattore dell’arte italiana parte quindi dall’Italia stessa, dall’interno del “sistema”»[9]. Eppure, l’isolamento del non-allineato, dell’Inattuale, del Waldgänger (il Ribelle jüngeriano), dell’Intempestivo (nel senso nietzscheano) non proclama la sconfitta dell’artista astratto, piuttosto l’urgenza della sua resistenza, il monito all’importanza della sua impersonale testimonianza. «La dannazione reale si rivela semmai quella che deve accettare chi si omologa, il presenzialista, certamente non chi vi si sottrae, come testimoniato in modo esemplare dai diari allucinati e allucinanti di Andy Warhol e dei suoi 15 minuti di celebrità, o dal Manuale per giovani artisti di Damien Hirst, costellati da servile e umiliante epigonismo, abusi di varia natura, disperazione e suicidi»[10].

L’Astrazione ambisce così a sfidare la Post-Arte oggi dominante, si oppone alla provocazione fine a se stessa, capace di raccogliere un consenso immediato e generalizzato delle masse disabituate al pensiero critico. Lo ha in vista Floreani quando scrive: «L’Astrazione contemporanea […] può sembrare appartata, spesso silenziosa, raccolta, a tratti sotterranea, pur annoverando, ancor oggi, testimonianze costanti e attendibili in ogni angolo del mondo, ricca di una continuità consapevole della portata storica della sua origine. Astrazione che si muove, secondo tradizione, per piccoli passi ponderati ma inesorabili, scanditi da una ricerca il più delle volte alimentata da testi illuminanti: con buone ragioni, si può quindi affermare che l’Astrazione gode oggi di una continuità selettiva e costante attendibilità nel contemporaneo»[11].

Il Quadrato Nero di Malevič, simbolo assoluto del Suprematismo, nella sua purezza cromatica fine a se stessa compendia la potenza totalizzante dell’Astrazione, la sua ambizione a farsi icona ultra-moderna per una rivitalizzazione spirituale di quel tempo della povertà che, come evocato da Hölderlin e glossato da Heidegger, ci circonda.

Malevič è solo uno dei numerosissimi artisti su cui l’attenzione enciclopedica di Floreani si sofferma. È in compagnia, fra gli altri, di Balla, Kandinskij, Evola, Scully, Hilma af Klint, Brâncuși, Rothko, Fontana, Mondrian, Prampolini, Dorfles, Colla, Dorazio, Villa, Consagra… Particolare attenzione viene attribuita poi alla “Via italiana all’Astrazione”, un percorso fra autori celeberrimi e correnti meno note che suggerisce una occasione mancata, per l’arte del nostro Paese, di veder riconosciuta una carica di originalità mondiale – una disfatta dovuta ad opposizioni estere ma anche ad incomprensioni da parte di certa critica nostrana, nonché persino di alcuni artisti, sedotti dalle sirene dell’“internazionalità”. Un limite culturale cui l’opera di Floreani vuole porre rimedio.

malevic quadrato nero

Sui giganti citati, d’altronde, non vi è spazio per l’adorazione museale: la penna critica di Floreani cala come una scure – falce analitica che distingue, separa, discerne: così taluni maestri, come Kandinskij, vengono ridimensionati nella loro portata storica; altri autori, meno noti al grande pubblico (ma anche agli addetti ai lavori), come Hilma af Klint o Marianne von Werefkin, vengono valorizzati – senza enfasi retorica, piuttosto con l’intenzione di mettere a punto le posizioni critiche che a volte la letteratura secondaria, mossa da una scrittura compulsiva, che perde di vista le fonti e si alimenta in modo autoreferenziale, tende a nutrire, trasformando taluni artisti in iconici simulacri. A Balla, ad esempio, Floreani rivendica l’autentica paternità dell’Astrazione: «Un’obiettiva analisi delle Compenetrazioni iridescenti, realizzate da Giacomo Balla nel 1912-14, modifica, di fatto, la primogenitura mondiale dell’Astrazione, che passa da Vasilij Kandinskij, più propriamente capostipite di un’Astrazione espressionista, a Giacomo Balla, antesignano dell’Astrazione formale vera e propria. Attribuzione rilevantissima, anche perché, da quella fatidica data del 1912, l’analisi di una Via italiana all’Astrazione assume un’attendibilità del tutto differente»[12].

La Post-Arte, protagonista del sistema dell’arte contemporanea, e l’Astrazione, con la sua storia eroica, sono quindi due modalità contemporanee alternative per vivere il presente e l’avvenire, due “stili” mediante cui popolare, rispettivamente di non-senso e di mysterium spirituale, l’indagine estetica. Le rivendicazioni dell’arte astratta «manifestano, anche in un periodo storico dominato dal materialismo e dal cinismo, una ricerca assoluta di profondità, di condivisione nei confronti di un messaggio che travalichi il senso della storia dell’arte per approdare alle soglie del non conosciuto, dove la sensibilità e l’interiorità schiudono porte segrete, conducendo l’artista alla ricerca del loro significato e quindi a sondare le ragioni della sua stessa esistenza»[13].

Insomma, l’artista astratto delineato da Floreani, quell’artista che è anche curatore, teorico, critico e veggente, «si oppone alla post-storia o alla società senza storia, integrando con l’interiorità la necessità di evolversi, pur non perdendo la propria identità, nonché rimediando, con il senso del sacro alimentato dalla spiritualità, alla deriva transumanista e omologante, contraria alla natura stessa dell’uomo e alla sua combinazione corpo-mente-spirito»[14].

Nelle opere astratte, ogni rappresentazione allude così all’autobiografia dell’artista, è, negli esiti, «quasi un autoritratto».

Se allora la verità, come insegna il Nietzsche dionisiaco, il profeta della solitudine siderale e del pathos della distanza, è ricurva, noi possiamo notare che essa è anche astratta. Ricurva, in quanto il suo palesarsi, il suo farsi evento, avviene nel circolo, o meglio, nella spirale del tempo, in quella stella danzante che abbatte ogni concrezione logocentrica – «Tutte le cose dritte mentono»[15], è eternato in Also sprach Zarathustra. Astratta, perché, come spiega la fredda prosa de-lirante di Evola, il rinvenimento di aletheia non è mai riposto nella ragione, né nel sentimento “umano troppo umano”, tantomeno nel placido comfort degli spazi culturali borghesi, bensì in un rivoluzionario sguardo sul mondo, affermativo e autonomo, «un metodo astratto, un metodo non pratico, della purità e della libertà»[16], vero e proprio «metodo dello spirito» capace di fare «astrazione delle poche luci mistiche agitate qua e là nell’oscura ed illusoria vicenda della storia»[17].

Note

[1] De Piante, Milano 2021

[2] J. Baudrillard, Il complotto dell’arte, trad. di L. Frausin Guarino, SE, Milano 2013, p. 18

[3] P. Klee, Confessione creatrice e altri scritti, trad. di F. Saba Sardi, Abscondita, Milano 2004, p. 13

[4] Cfr. B.-C. Han, La salvezza del bello, trad. di V. Tamaro, nottetempo, Milano 2019, p. 10

[5] R. Floreani, Astrazione come Resistenza, cit., p. 86

[6] D. Brullo, Dal Caos al Cosmo (contro il politicamente corretto). Dialogo con Roberto Floreani, in «Pangea. Rivista avventuriera di cultura & idee», 12 novembre 2021, https://www.pangea.news/astrazione-resistenza-floreani/

[7] R. Floreani, Astrazione come Resistenza, cit., p. 162

[8] Ibidem

[9] Ivi, p. 72

[10] Ivi, p. 76

[11] Ivi, p. 50

[12] Ivi, p. 219

[13] Ivi, p. 340

[14] Ivi, p. 90

[15] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, trad. di M. Montinari, Adelphi, Milano 2010, p. 184.

[16] J. Evola, Arte astratta, in J. Evola, Teoria e pratica dell’Arte d’Avanguardia, con un saggio introduttivo di C.F. Carli, Mediterranee, Roma 2018, p. 152

[17] Ibidem

di Luca Siniscalco

Autore

  • Professore incaricato di Estetica (Università degli Studi di Milano-eCampus-UniTreEdu), collabora a varie realtà culturali e editoriali come autore, curatore ed editor. Nel tempo libero è sabotatore culturale. È nella redazione esterna de La Tigre di Carta.

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