Resilienza nel mondo animale e vegetale
‘Cause just like the seed
Everything wants to live
We are burning our fingers
But we learn and forget,
You cannot eat money
(Aurora, The Seed)
Quante volte avete desiderato o deciso di fuggire da un evento spiacevole o dannoso? In un momento in cui il nostro Paese è diventato area di contenimento e zona rossa immagino vi sarà venuto il desiderio di scappare… e se foste radicati al suolo senza la possibilità di muovervi?
Le piante affrontano da sempre questa situazione di radicamento: non scappano di fronte a un predatore, né per sfuggire ad ambienti o situazioni disagevoli. Non hanno la possibilità di sfruttare il movimento come strumento di difesa, eppure sopravvivono e si diffondono da milioni di anni. Il motivo principale è la loro capacità di distribuirsi; potrà suonarvi strano, ma in questo caso la diffusione vince sulla concentrazione e la specializzazione. Le piante distribuiscono in tutto il corpo le funzioni, in modo che non ci siano organi specializzati, e ogni piccola parte può occuparsi di qualunque cosa. Quindi, non essendoci concentrazione, la sopravvivenza non viene pregiudicata per un malfunzionamento singolo o un parziale danno esterno.
Per questo motivo, già negli anni Settanta C.S. Holling usò il termine “resilienza” con riferimento al mondo vegetale. Le specie arboree sono in grado di superare un trauma senza perire, reagendo e mettendo in atto strategie di resilienza in maniera innata, adattandosi alle circostanze. Come il Mite del nostro esagramma, che persevera gradualmente e silenziosamente seguendo una lieve brezza, così le piante si radicano lentamente al suolo e resistono alle difficoltà.
Il mondo vegetale e animale viene messo alla prova da catastrofi naturali, da cambiamenti climatici o dall’impatto dell’uomo. Molti ecologi studiano l’influenzamento indotto da e ad alcune specie, che vengono spostate forzatamente da un ambiente a un altro per analizzare le variazioni ecologiche che provocano.
Appena fuori Santa Barbara, in California, si è condotto un esperimento di trasferimento di insetti stecco (Timema cristinae) da una vegetazione compatibile con il loro mimetismo a una totalmente incompatibile, col risultato che gli insetti sono immediatamente diventati bersaglio dei predatori, i quali attaccavano anche i bruchi e i coleotteri. Quindi, per un carattere fuori posto, gli insetti di quella zona sono stati decimati. A distanza di tempo gli ecologi hanno osservato che il carattere di mimetismo degli insetti stecco (i pochi sopravvissuti) era gradualmente mutato nelle generazioni successive, adattandosi meglio alla colorazione della vegetazione del nuovo habitat.
A partire dal 1977, l’ecologo Thomas Schoener e il suo team hanno intrapreso nelle Bahamas esperimenti su due popolazioni di lucertole (Leiocephalus carinatus e Anolis sagrei); le due specie vivono su isole diverse dell’arcipelago, quindi la specie Leiocephalus è stata spostata nelle zone di habitat degli anoli per simulare un cambio di ecosistema. Come conseguenza si è verificato il crollo delle popolazioni degli anoli; i pochi rimasti si erano rifugiati sugli alberi per sfuggire al nuovo predatore Leiocephalus. Nel 2011 gli studi sono stati interrotti da due uragani abbattutisi sulle isole, che hanno quasi annientato le popolazioni del Leiocephalus e degli anoli. Ora però, con la ricolonizzazione, gli studiosi hanno notato che gli anoli hanno sviluppato come caratteristica frequente delle zampe più lunghe, utili sia per sfuggire ai predatori che alle tempeste.
Ancora, la Daphnia o pulce d’acqua, studiata nel lago di Costanza, si è dimostrata in grado di regolare la propria taglia corporea in base al livello di nutrimento a disposizione, così come le piante attuano lo stesso meccanismo di modulazione dello sviluppo, trasformando la propria anatomia in base alle condizioni mutate. Su una spiaggia antartica alcuni ricercatori hanno trovato delle alghe kelp del genere Durvillaea. Si tratta di organismi che non crescono in quegli ambienti, e, infatti, dopo le analisi del DNA, è emerso che provenivano da oltre 20.000 km di distanza. Sono sopravvissute a correnti oceaniche e venti polari che le hanno trasportate nel territorio più isolato della Terra e sono riuscite anche a stabilirvisi.
L’Hedera helix, che bistrattiamo ed estirpiamo come infestante, è amante di terreni umidi e mezz’ombra, ma si è trovata costretta a sviluppare la resistenza alla siccità e al gelo per sopravvivere; ha anche incrementato la capacità di assorbimento di inquinanti come il benzene; quindi, oltre a essere campionessa di resilienza, poiché resiste in ambienti non ideali per la sua crescita, fitodepura l’aria che respiriamo.
Nel XVIII secolo gli inglesi, che tanto invidiavano il colore rosso delle tinture spagnole, scoprirono il segreto della cocciniglia. Decisero che l’Australia era il luogo con il clima ideale per le cocciniglie e per il fico d’India del genere Opuntia, dove l’insetto viveva. Appena impiantate in Australia le cocciniglie morirono e i fichi, ormai inutili, furono abbandonati a loro stessi, arrivando nel 1920 a coprire fino a 30 milioni di ettari e creando un problema di invasione.
Si può dire che anche le piante, che paradossalmente sembrano totalmente statiche, in realtà colonizzano territori lontani e inospitali. Attualmente la forza principale che modifica gli ambienti dall’interno è il riscaldamento globale. Alcune specie forestali come il Fagus sylvatica, il Quercus ilex, il Picea abies e la Betula pendula stanno variando le proprie latitudini in base ai mutamenti climatici.
Tutti questi cambiamenti, apparentemente isolati, impattano sui vari ecosistemi che non sono per nulla statici, ma rappresentano successioni di mutamenti interni. Essi si autoregolano, mantenendo condizioni di equilibrio e attuando trasformazioni quando una comunità viene distrutta o modificata; questa dinamica è la successione ecologica, nella quale l’ecosistema si evolve attraverso vari stadi, fino ad arrivare alla comunità climax, uno stadio finale, benché provvisorio, di maturità, stabilità e autosufficienza, in armonia ed equilibrio omeostatico con il clima e con gli altri biosistemi.
Il processo di successione ecologica è quindi un percorso evolutivo dell’ecosistema, dipendente dalle modificazioni dell’ambiente fisico-chimico e dagli organismi in esso presenti.
Nel 1977 i ricercatori J. Connell e R. Slatyer proposero un quadro di successioni per meglio capire i processi di interazione tra le specie. Secondo la classificazione i meccanismi possono essere basati su: successioni per facilitazione, quando la colonizzazione delle specie tardive è facilitato da quelle precedenti; successioni per tolleranza, se le specie tardive non sono né facilitate né aiutate da quelle più precoci; successioni per inibizione, se le specie precoci rendono difficoltoso l’inserimento di altre specie.
In base al substrato di origine si dividono poi in successioni primarie quando si originano da ambienti sterili, dove non era presente nessuna comunità, e perciò si tratta di una biogeocenosi che ha bisogno di moltissimo tempo per realizzarsi; e successioni secondarie, quando le nuove comunità si sviluppano in ambienti già occupati, ma che hanno subito una perturbazione più o meno forte (ad esempio incendi o inondazioni).
Sia le successioni primarie che quelle secondarie sono soggette ai cambiamenti autogeni, cioè quelli legati alle attività organiche in una comunità. Ad esempio, la quantità di illuminazione in un ambiente dipende dalla componente arborea: nei primi stadi di una successione, l’abbondanza di luce permette la crescita rapida di piante eliofile; in seguito, con l’aumento di zone d’ombra, le specie sciafile sostituiscono le eliofile.
La successione è perciò il risultato di cambiamenti dovuti a tolleranze all’ambiente e al susseguirsi delle capacità competitive degli organismi in risposta ai mutamenti autogeni dell’ecosistema.
Per quanto invisibili, le relazioni tra i viventi raccontano di un mondo di complesse connessioni, una rete che collega anche le specie più distanti tra loro, unite dalla lotta per l’esistenza. Gli organismi che sembrano piegarsi davanti ai mutamenti sono in realtà in grado di resistere alle fluttuazioni dell’ambiente; gli esempi dimostrano che le comunità influiscono attivamente sull’ambiente fisico, e non sono alla mercé dello stesso.
L’intero pianeta, come un unico essere vivente, crea uno stato di omeostasi per bilanciare tutte le possibili oscillazioni e mutazioni. In piena pandemia forse non si danno più per certi i gesti e le banalità quotidiane; in condizioni normali siamo talmente immersi e circondati da vita e da esseri viventi da darlo per scontato. La capacità di cooperazione è una delle caratteristiche fondamentali del mondo vegetale: pur combattendo le proprie battaglie, gli insetti e le piante imparano a conviverci.