Un viaggio indietro nel tempo fra i sapori della Recherche
Chiudete gli occhi e pensate a quel sapore che ogni volta è capace di farvi tornare indietro nel tempo.
Sono sicura che ce n’è uno. Nel mio caso è il gusto dolcissimo dei gelsi neri, che mi riporta nei pomeriggi di luglio della mia infanzia in cui, mal celando la paura per i serpenti e ostentando invece massima indifferenza nei confronti delle ortiche, seguivo mio nonno nell’orto per farmi allungare i frutti da quegli alberi ancora troppo alti.
Nel caso di Marcel Proust – che ve lo dico a fare – è il gusto burroso e agrumato della petite madeleine inzuppata in una tazza di tè che gli dischiude il mondo incredibilmente dimenticato delle domeniche mattina a Combray, a casa della zia Léonie, la vecchia casa di campagna grigia dove andava a villeggiare da bambino con i genitori e la nonna e da cui si dipartivano due passeggiate: la strada “di Swann”, con i biancospini, i lillà, i fiordalisi e i fiori di melo, e la strada “di Guermantes”, con il fiume, i girini, le ninfee e i botton d’oro. E di lì giù con un’ondata irrefrenabile di ricordi olfattivi e gustativi, in cui il retrogusto lasciato dalla madeleine si rifrange fino a riempire sette volumi. Nessuno scrittore può tener testa a Proust come concentratissimo gourmand, capace di cogliere distintamente le più lievi sensazioni offerte dal mondo per servircele con grazia sul piatto. Perché in fondo, la Recherche, variamente paragonata a una cattedrale, a una sinfonia, a un affresco, forse somiglia più che a ogni altra cosa a una magnifica, interminabile merenda.
Eccovi il menù.
Per cominciare – come dicevamo – petite madeleine e tè o, per chi lo preferisce, infuso di tiglio. Françoise, l’eterna cuoca prima di zia Léonie e poi al servizio del narratore, aggiungerà a tavola marmellate, biscotti, brioche, crostata alle mandorle, formaggio alla crema e i lamponi raccolti dal vicino di casa Swann. E guai a dire: «Ho finito, non ho più fame», sarebbe una villania pari ad alzarsi prima della fine di un’esecuzione proprio sotto il naso del compositore. Françoise è di buon cuore ma anche tirannica: pensate che per un mese intero ha preparato asparagi solo per fare un dispetto a una sguattera tragicamente allergica che le stava antipatica.
Delle sue tante specialità è uno però l’indiscusso capolavoro: il bœuf en gelée, l’arrosto di manzo con carote in gelatina, un pezzo scelto alla macelleria delle Halles con la stessa scrupolosità con cui Michelangelo sceglieva i suoi blocchi di marmo nelle cave delle montagne di Carrara.
Quella di Françoise è una cucina aristocratica, sì, ma genuina. Tutt’altro carattere hanno i piatti modaioli che si mangiano nel clan dei Verdurin, dove vengono serviti insalata giapponese e vini ostentatamente costosi. Anni fa Charles Swann, che pure era un uomo raffinato, era un ospite abituale di questi bizzarri mercoledì da Madame Verdurin; pure svogliatamente, aveva preso a corteggiarvi una civetta del demi-monde di nome Odette de Crécy che aggiungeva sempre al suo tè «a cloud» di panna, perché le cose dette in inglese le sembravano tutte più gustose. Pur non essendo affatto il suo tipo, Swann si era abituato a lei, e una sera non trovarla da Madame Verdurin, e poi non trovarla neanche alla Maison Dorée, né da Tortoni, né al Café Anglais, e cercarla come un pazzo in tutti i dannatissimi ristoranti di Parigi ancora aperti a quell’ora della notte, e infine trovarla proprio alla Maison Dorée (ma com’è possibile, aveva già controllato!), gli fa scoprire di essere disperatamente geloso. E per questo innamorato. E qui la merenda viene un po’ a guastarsi.
Seguono mousse di fragole spiluccate durante penose gite in Normandia, bavaresi al caffè amare di bugie, qualche litro di Château Margaux e Lafite per lavare via il sospetto degli amanti, poi la certezza, infine quello che rimane della gelosia, e quindi dell’amore. Solo allora si può imbandire il banchetto di nozze.
Il posto a tavola per il nostro narratore si aggiunge molti anni dopo, quando Swann e Odette sono diventati i genitori di Gilberte, il suo primo adolescenziale amore con la passione per le cake, perché anche lei come maman pensa che le cose dette in inglese siano più gustose. Gilberte invita Marcel ogni pomeriggio ai suoi goûter, le merende pretenziose durante le quali gli serve il Christmas pudding, gli fa sopportare le chiacchiere delle sue amiche, lo prende un po’ in giro e poi lo scarica.
Per riprendersi Marcel se ne va in vacanza con la nonna a Balbec, sulla costa normanna, a mangiare splendidi branzini. Il ristorante dell’hotel è un viavai di personaggi del gran mondo, un’amica della nonna gli presenta quello che sarà il suo miglior amico: l’aristocratico Robert de Saint-Loup. Ma più che dalle vettovaglie scintillanti e dalle cerimonie dei camerieri è attratto dal mondo esotico di sandwich al formaggio Chester e pic-nic da spiaggia di un gruppo di scalmanate fanciulle in fiore – o meglio in bicicletta – capeggiate dalla spavalda Albertine. Il loro primo incontro avviene mentre lui finisce di mangiare un éclair, un dettaglio casuale a cui le circostanze forniscono un posto indimenticabile nel quadro dell’inizio della loro storia.
Dobbiamo pazientare per poter farne un altro morso; nel frattempo torniamo a Parigi, dove ci terrà occupati l’essere stati miracolosamente ammessi nel salotto di Oriane de Guermantes, la zia di Saint-Loup e la donna più ammirata di tutto il Faubourg Saint-Germain – ovvero la crème de la crème di Francia. Qui non troveremo nessun piatto “originale” come dai Verdurin, solo la semplicità disarmante, che Françoise avrebbe apprezzato, del pollo à la financière con tartufo e Madera, del cosciotto di montone in salsa béarnaise, del filetto alla Stroganoff. Come non rimanere inebriati da questo sfarzo, dal chiacchiericcio svagato, snob, che fa eco al tintinnio dei cristalli e delle porcellane? Come sospettare che sotto tutto questo luccicore ci siano Sodoma e Gomorra?
Prima di arrivare sbronzi alla fine torniamo ad Albertine. Pure distrattamente, succede che Marcel inizia ad assaggiare le sue guance rosa; pur pensando di poter fare a meno di lei, si ritrova a sospettare, desiderare, ingelosirsi e per questo innamorarsi. Una storia già sentita? Ecco, allora avrete già immaginato che la merenda tornerà a guastarsi, e stavolta sarà pure peggio.
Marcel tenta morbosamente di acchiappare questa ragazza inafferrabile, troppo attratta dalle donne per lasciarsi segregare nel lussuoso appartamento di un uomo che la appesantisce con sontuosi mantelli e la soffoca di lillà. Che seduzione, invece, il mondo esterno, le erbivendole che passano per la via e fanno salire le loro voci alla finestra promettendo fagiolini freschi!
Albertine scappa e la fuga le costa la vita. A questo punto il narratore sente il bisogno di alzarsi da tavola per fare una pausa, si concede un viaggio a Venezia. Che gran spreco che è stata questa interminabile merenda – gli viene da pensare. Le ha sacrificato ambizioni, gioventù, tempo. Ora non ne resta niente, se non una forte nausea.
Eppure… se non avesse oziato tanto attorno a questo pasto, la risacca emotiva scatenata dalla madeleine non sarebbe stata così ricca di sfumature. La sua vita da gourmand gli ha fatto prendere nota di tutti gli ingredienti necessari per ricrearla ad arte: adesso gli sono a portata di mano come uova, burro e farina per Françoise. Bisogna solo mettersi a cucinare.
Ricetta della madeleine
Ingredienti
175 g farina
150 g zucchero
175 g burro
3 uova
1 cucchiaino lievito
1 cucchiaio miele
1 pizzico sale
2 limoni grattugiati
Preparazione
Sciogliete il burro a bagnomaria e quando è tiepido aggiungetelo alle polveri che avrete setacciato e alla scorza di limone.
Ricordate il criterio di Françoise: un capolavoro richiede materie di prima scelta. Se i limoni saranno profumatissimi le vostre madeleine saranno irresistibili. Mescolate l’impasto con una frusta, aggiungete il miele e lasciate il composto liscio e cremoso per un po’ in frigo.
Nel frattempo preriscaldate il forno e imburrate gli stampini (li trovate in qualsiasi supermercato in Francia oppure su Internet).
Versate l’impasto negli stampini e infornate per 13 minuti a 200 gradi. In questi magici minuti si doreranno e crescerà loro una pancina e in men che non si dica saranno pronte da gustare.
Buon viaggio!