E se non si trova più alcuna via d’uscita dalla trappola di un pozzo?
’approccio a un fumetto come Vermicino – L’incubo del pozzo (001 Edizioni, 2011) deve avvenire con la consapevolezza che si tratta di un’opera destinata a lasciare un segno. Il peso delle ossessioni di cui l’autore Maurizio Monteleone cerca di liberarsi si deposita in parte sulle spalle del lettore, che viene fatto testimone di una vicenda accaduta realmente e conclusasi tragicamente con la morte di un bambino di sei anni.
Il racconto tratta infatti un famoso caso di cronaca avvenuto in Italia nel 1981, in un piccolo comune vicino a Roma, quando il piccolo Alfredo Rampi rimase intrappolato all’interno di un pozzo artesiano profondo 80 metri. Per tre lunghi giorni intorno a quello strettissimo buco nel terreno si raccolse tutto il Paese, grazie anche alle telecamere che ripresero in diretta tutte le ultime 18 ore dei tentativi di salvataggio.
Fu forse quello uno dei primi casi di cronaca in Italia a trasformarsi in uno spettacolo per l’opinione pubblica, avvinta allo schermo televisivo per assistere impotente alla lotta tra la vita e la morte. Maurizio Monteleone faceva parte della squadra di speleologi che dalle prime ore venne chiamata a intervenire sul posto. All’epoca non esisteva ancora la protezione civile e questi volontari erano meglio attrezzati e più preparati rispetto ai Vigili del Fuoco, soprattutto visto che l’unico modo per raggiungere Alfredo era calarsi a testa in giù in un pozzo profondo decine di metri ma largo appena una quarantina di centimetri.
Vermicino è il racconto di quelle ore, scritto e disegnato dallo stesso Monteleone a mente fredda dopo quasi trent’anni dalla tragedia. Il tratto della matita è calmo anche nelle scene più concitate, tutto è già avvenuto e non c’è motivo di calcare nervosamente i tratti. Si nota talvolta persino l’utilizzo della squadra per delineare i tratti geometrici di un edificio o del cono d’ombra del pozzo. Nelle didascalie l’autore parla in prima persona, quasi come si trattasse di un diario, e la sensazione di sincerità è rafforzata dalla mancanza del ripasso a china, che lascia invece spazio alle scale di grigi consentite dal solo utilizzo della matita. Questa immediatezza non va però confusa con l’approssimazione: Monteleone è un autore maturo, capace di costruire una sceneggiatura solida dal ritmo incalzante che intrappola il lettore quasi a volerlo condurre con lui in quell’angusto e oscuro cunicolo. Durante la lettura i muscoli si contraggono involontariamente, come a voler aiutare il protagonista a spingersi un po’ più in giù, a farsi largo con le spalle nelle strettoie del pozzo e a resistere mentre i capillari sul suo viso scoppiano a causa della pressione sanguigna. Alla fine della lettura si viene contagiati dall’ossessione che, forse, se si fosse agito diversamente, se si fosse tenuto duro, la vita di Alfredo avrebbe potuto essere salvata e sarebbe stato lui, oggi adulto, a raccontare quella sua terribile esperienza. Purtroppo, in questo caso non c’è un lieto fine; non c’è nemmeno un cattivo con cui prendersela, sebbene ci siano state molte e diffuse responsabilità.
Molto si è costruito e immaginato attorno a questo episodio nei mesi e negli anni a seguire. Fra ipotesi di complotto che arrivavano a coinvolgere addirittura i famigliari e polemiche sul conflitto tra “salvatori” istituzionali e privati cittadini, il racconto dell’incidente di Vermicino è il racconto di un’Italia che cambia, che non si riconosce, che si scopre nobile e al tempo stesso vile, premurosa e al tempo stesso morbosa, vittima e al tempo stesso colpevole. Intorno a quel pozzo l’Italia entra nella società dello spettacolo, dove le narrazioni si sovrappongono a tal punto che nessuno si ricorda più quale sia la verità e a un certo punto smette anche di chiederselo.
Trent’anni dopo Maurizio Monteleone prova a fare il punto: ora che il pozzo non è più sotto i riflettori e che il corpo del piccolo Alfredo Rampi è stato estratto solo per essere sepolto di nuovo, forse c’è il modo di guardare a quei fatti con occhi diversi, per capire se almeno da quell’esperienza abbiamo imparato qualcosa o se semplicemente lo spettacolo va avanti senza memoria e senza storia.
Vermicino – L’incubo del pozzo è un fumetto che ha la forza di un classico, qualcosa che dovrebbe essere letto in tutto il Paese e magari inserito nei programmi scolastici, perché in quel pozzo dovremmo lasciare tutti qualcosa di noi se in cambio vogliamo capire un po’ meglio chi siamo e cosa possiamo diventare.
di Matteo Nepi
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