Il Pozzo di San Patrizio: echi irlandesi a Orvieto

Qual è la storia del famoso Pozzo di San Patrizio?

La qual opera, che fu cosa ingegnosa, comoda e di maravigliosa bellezza […] È certo che gl’antichi non fecero mai edifizio pari a questo né d’industria, né d’artifizio[1]


vasari, nelle sue celebri Vite, descrive così l’opera ingegnosa di Antonio da Sangallo il Giovane.

Il Pozzo di Orvieto è un’opera ingegneristica di straordinario fascino, costruita con una grande maestria e dovizia di particolari, la cui storia si intreccia con quella della città umbra e con quella del celebre santo protettore dell’Irlanda.

Antonio Cordini, detto da Sangallo il Giovane, nipote dei celebri architetti Giuliano e Antonio, detti da Sangallo dalla contrada fiorentina in cui abitavano, nacque a Firenze il 12 aprile 1484. Grazie all’influenza dei due zii materni, anch’essi architetti affermati, ebbe fin da giovane familiarità con le tecniche costruttive. A differenza dei maestri Bramante e Raffaello, pittori prima di essere architetti, egli giunse all’architettura dalla pratica del costruire. Seguì gli zii a Roma, dove nel 1512 venne chiamato come assistente di Bramante alla Fabbrica di San Pietro. Noto per aver innalzato le centine degli archi della grande cupola progettata dal maestro marchigiano, che per la loro conformazione richiedevano un’elevata perizia tecnica, il Sangallo era all’epoca considerato uno degli esperti di costruzioni più rinomato. Ricevuta l’eredità di Raffaello come capocantiere della Fabbrica nel 1520 e impegnato nella costruzione delle fortificazioni dello Stato Pontificio sotto Clemente VII, è considerato, insieme ai suoi maestri, una delle figure chiave per l’evoluzione del metodo progettuale dell’architettura moderna e in modo particolare per la formazione di Palladio[2].

Da carpentario e artigiano, già come assistente del maestro Raffaello, il Sangallo divenne architetto e iniziò a interessarsi di teoria dell’architettura e della progettazione. Oltre al contributo come primo architetto e capo cantiere della Fabbrica fino alla sua morte, nel 1546, egli lavorò anche a Villa Madama e progettò e costruì, tra i tanti, uno dei più famosi palazzi della famiglia pontificia: Palazzo Farnese a Roma.

A seguito del Sacco di Roma del maggio 1527 e a causa della crisi politica ed economica che ne conseguì, l’attività edilizia attraversò un periodo di stallo. Per qualche anno rallentarono anche gli incarichi del Cordini, che fu spesso costretto a trovare occasioni di lavoro per committenti privati non solo a Roma, ma anche fuori città.

Proprio nel 1527 egli progettò a Orvieto il celebre pozzo di S. Patrizio, ingegnosa opera legata alle fortificazioni della città e necessaria ad assicurarne l’approvvigionamento idrico in caso di assedio.

La costruzione fu ordinata dal Papa Clemente VII, rifugiatosi nella città umbra per sfuggire alla catastrofe del Sacco. La particolarità del progetto di Sangallo consiste nel ricavare un vuoto partendo da un pieno, processo inverso al concetto stesso del costruire: venne scavato lo spesso strato tufaceo su cui è poggiata la città fino ad arrivare all’argilla e, una volta raggiunta l’acqua, la fonte di S. Zeno, vennero ricostruiti in laterizio la struttura del pozzo e le scale elicoidali. Sangallo progettò una corona circolare di due cilindri cavi, l’uno che scivola all’interno dell’altro, larga circa 13 metri. La scala si sviluppa come una doppia elica che scende per oltre 60 metri nella profondità della collina su cui è costruita la città: una vera e propria discesa negli abissi della terra. Le due scale a chiocciola, una di 248 e l’altra di 247 gradini, indipendenti e non comunicanti fra loro, illuminate da 70 finestroni ad arco che si aprono con regolarità, vennero progettate in maniera tale che le persone e i muli che scendevano per rifornirsi dell’acqua non si incontrassero, creando intralcio, con chi stava risalendo in superficie[3].

Sangallo venne ispirato dalla scala della Villa del Belvedere in Vaticano, progettata da Bramante nel 1507, che sicuramente aveva avuto modo di studiare durante i suoi anni di apprendistato a Roma come aiutante nel suo studio, anch’essa legata in origine a una sorta di cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, e dalla semplicità e robustezza delle scale martiniane urbinati. Antonio Cordini creò un geniale sistema elicoidale che rappresenta una variante sul tema della scala spiraliforme, utilizzato come soluzione pratica a un problema “ingegneristico”: l’impresa colpì profondamente il Vasari, che la descrisse nelle sue Vite con le parole entusiastiche di sopra. Il progetto venne terminato solo nel 1537, durante il papato di Paolo III Farnese, successore di Clemente VII e uno dei principali committenti di Sangallo.

Scendere la scalinata del pozzo, con un movimento rotatorio che porta il visitatore quasi in uno stato di ipnosi, sembra condurci verso l’ignoto, verso la profondità della terra, verso un lungo viaggio nel buio dove alla fine si incontra l’acqua, fonte della vita stessa. È per questa analogia che la storia del pozzo di Orvieto si lega alla leggenda irlandese, diffusa nel Medioevo, della caverna di San Patrizio. Vissuto tra il 370 e il 461 d.C., dopo anni di schiavitù si avvicinò al Cristianesimo, consacrato vescovo in Gallia da San Germano d’Auxerre, Patrizio ricevette da Papa Celestino I il compito di evangelizzare le isole britanniche, in particolare l’Irlanda, dove si stabilì, predicando e insegnando nella lingua locale, appresa durante gli anni di prigionia ai confini con la Scozia.

Si narra che un giorno Cristo stesso avesse indicato a Patrizio, trasformato dalla leggenda (cfr. la Vita Tertia del santo) in eroe taumaturgo, una misteriosa caverna, probabilmente una grotta naturale, un pozzo che la tradizione identifica nel lago Derg, o Lago Rosso nella contea del Donegal e chiuso nel 1497 per volere del Papa Alessandro VI, attraverso il quale un cavaliere irlandese divenuto religioso, Owain, entra nell’oltretomba percorrendo la valle dell’Inferno e assistendo a varie pene e tormenti demoniaci, per poi giungere a una montagna dove numerose anime giacciono in perfetta immobilità finché non sopraggiunge una bufera che le scuote e abbatte; infine il cavaliere raggiunge un prato rigoglioso dove vivono le anime del paradiso terrestre, dal quale però sarebbe rimasto fuori[4].

Secondo la leggenda Patrizio, indicando ai fedeli la grotta, avrebbe dovuto mostrare loro le pene dell’Inferno, invitandoli ad avventurarsi nei meandri della caverna sino a raggiungerne il fondo: in cambio costoro avrebbero ottenuto la remissione dei peccati e l’accesso al Paradiso.

Il Pozzo di San Patrizio è una delle leggende agiografico-escatologiche che sono state indicate come presumibili fonti della Commedia di Dante[5], anche se egli stesso opera la rivoluzione che vede il Purgatorio tolto da sottoterra, distinguendolo dall’inferno, per farne una scala che ascende al paradiso diversamente da quanto è raccontato nella leggenda della discesa del cavaliere Owain nella caverna e sebbene la montagna del purgatorio che appare nella prima versione della leggenda abbia un preciso parallelismo con quella descritta nel poema dantesco[6].

Il pozzo di Orvieto inizialmente chiamato “Pozzo della Rocca”, data la sua funzione di riserva di acqua ad uso della rocca fortificata, dopo un breve periodo in cui ebbe anche l’appellativo di “Purgatorio di San Patrizio”, in epoca ottocentesca assunse il nome attuale di Pozzo di San Patrizio, per volere dei frati del convento dei Servi ai quali era nota la leggenda del santo irlandese, giungendo così ai nostri giorni, e simboleggiando qualcosa che non ha fine, una pozzo senza fondo che non si riempie mai, che impegna numerose risorse ed energie ma che non porta a raggiungere alcun obiettivo.


Note

[1] G. Vasari, Vita d’Antonio da Sangallo Architettore Fiorentino, in Delle vite de’ più eccellenti Pittori Scultori et Architettori scritte da M. Giorgio Vasari Pittore et Architetto Aretino. Primo Volume della Terza Parte, In Fiorenza, Appresso i Giunti, 1568 (I ed. ivi 1550), pp. 313.

[2]  C.L. Frommel, Sul metodo progettuale nei disegni di Bramante, Raffaello e Antonio da Sangallo il Giovane per San Pietro in Palladio e la Roma di Antonio da Sangallo il Giovane, Atti del Seminario (Vicenza, 2016), a cura di H. Burns et al., Venezia 2019 (“Annali di architettura”, 30), p 123.

[3] P. Portoghesi, M. Tabarrini, S. Benedetti, Le Scale coclidi di Borromini in Borromini e gli Spada: Un palazzo e la committenza di una grande famiglia nella Roma Barocca, Roma, Gangemi editore, 2008, p. 81.

[4] L. Bieler, Purgatorio di San Patrizio, in A.A. V.V. Enciclopedia dantesca, Treccani, 1970.

[5] Ibidem.

[6] Di Fonzo, La leggenda del «Purgatorio di S. Patrizio» nella tradizione di commento trecentesca, Comunicazione tenuta presso il Dipartimento di Italianistica della Sapienza di Roma il 10 giugno 1997 in Dante e il locus inferni. Creazione letteraria e tradizione interpretativa a cura di S. Foà e S. Gentili, «Studi (e testi) italiani» 4 (1999), p. 68.

di Caterina Frittelli

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