Simula ovattate morbidezze
casto candore di zucchero a velo.
Può vantare un’apatica indifferenza,
una soffice apparenza, ma fredda
in sostanza, e diventare spietato
quando si cerca di scalfirne appena
quell’involucro d’elegante cortesia
che il pallore dissimula d’un vuoto.
2
è un cristallo esangue il sole mattutino
bianca luce d’affievolite risonanze.
Verso svaporate linee d’orizzonte
arduo è percorrere le innevate strade.
Attenti alle incrinature nel silenzio,
si seguono orme appena impresse
e quasi allo sguardo impercettibili,
passo dopo passo, che alle spalle,
scricchiolando, subito svaniscono.
(Vi sono fredde strade dove una neve
si forma per desueto processo naturale,
imbiancando in un incipriarsi lieve
l’asfalto e qualche insegna di metallo).
Il bianco non permette nascondigli,
non concede suture minime d’ombra
né impercettibile piega d’orizzonte,
alle esangui palpebre socchiuse,
oh, le sue gradazioni sono infinite
dal bianco al bianco, e così ci si avventura,
senza lasciar tracce, senza ricordare
quell’ansia indicibile nell’attraversamento.
3
l’artico biancore dell’alba.
Dilaga in immacolati veli
di nevischio e gocce di lucore;
sotto sfilacciate nuvole di panna
finge orizzonti di diafano cristallo.
Qui, indizi d’orme cancellati
sono ghiaccio nei cuori assiderati.
Dietro, folate di vento boreale,
davanti è invetriata glaciazione
linea/orizzonte tagliente di cristallo.
5
si mostra anemico e glaciale,
e ti sfinisce con falsa benevolenza.
Sembra languido lo sguardo,
occhi d’eccessiva trasparenza,
affusolate dita, unghie esangui
arrotondate; si lascia invadere,
sporcare entro le riposte pieghe:
velandosi di penombra, smuore.
Ma, subitaneo si riprende, abbaglia
e, spietato, in sé tutto raggela.
6
dell’algida purezza del bianco,
quella perentoria assenza d’alternative
che il bianco squaderna impavido.
Né la macchia meno scialba, il difetto
meno irrisorio, corrompono la certezza
di quel suo proclamarsi incontaminato.
Duole, se lo guardi, sentirsi in colpa
a fronte della sua ostentata integrità.
Levando limpidi occhi alla sua luce,
chi può dire sottovoce: sono innocente?
7
incolori, che vereconde soffocano
in diuturno e insonne lavorio.
Pare non produrre tormento alcuno
questo suo fervore ininterrotto
ma torpori casti, futilmente esigui
una bianca quiete d’ospedale
mentre cela abissi raggelanti;
Fosche macchie d’un oblio crudele
entro garze in fruscianti strati
entro ruvide lenzuola immacolate.
8
ed esemplare verecondia.
Può definirsi sopito rancore, tuttavia,
quell’aculeo accuratamente celato,
come sotto immacolato soggolo,
innocente e pallidamente sororale?
Occhi gelidi, pupille di vuoto splendore
entro l’arco dilatato dell’orbita
mostra con fare disarmato.
Così, spoglio, il nitore è crudele:
seppure elargito con discrezione
trafigge straziando inesorabile.
9
quando s’esibisce supponente;
sebbene appaia tanto affabile,
è navigato fingitore, il bianco.
È belletto il suo candore,
maschera d’integrità ostentata.
Non ti ascolta nel livido silenzio
elegante turris eburnea raggelata.
Dunque, volgigli le spalle
allontanati con ferma discrezione.
10
il bianco ha un’indole rapace,
odia il guizzo della fiamma
quel consumarsi breve della luce;
quel fuggevole mutar dell’ora
quel trascorrere veloce
del giorno verso l’imbrunire.
Il bianco è permanente,
non sopporta il divenire, mentre
invita all’apatia costante
alla perpetua e assonnata tregua.
(Prediligono il bianco,
diafani gli angeli dei troni
dei principati e delle dominazioni.
Veste immacolata tunica
l’angelica legione).
11
detesta il rosso sopra ogni cosa,
quelle deturpanti macchie
purpuree e celesti e viola,
quelle sfrontate fioriture
d’eccessivo sfarzo nei giardini
(sopporta il giglio se immacolato
e il negletto biancospino).
Odia il bianco oltremisura
quel sovraccarico belletto
in faccia a certe dame petulanti.
12
sulla vastità di lande silenziose
negli inverni a settentrione
al lume di caste aurore boreali.
Il bianco s’industria a dominare
il chiuso d’assiderate stanze
d’orfanatrofi inaccessibili, desueti
manicomi ancora funzionanti
(oh! le umili camice di forza
e i mal stirati camici
com’erano congrui al luogo),
ospedali dove si benda e cura
corpi pallidi di creature esangui.
E, similmente, intende prevalere
dove regna un tacito assopirsi,
dove del divenire non si dice
il passato più non si ricorda
e tutto in smorta quiete giace.
13
quella messa a nudo clamorosa
d’impudiche gemme
screziate di purpureo
custodite in alveo candido di gelo
sbocciate premature all’improvviso
che deturpano l’immacolata coltre
dell’innevato piano
in silenzio e perenne tregua.